Contabilità con anomalie, un inventario che lascia dubbi, indicatori la cui combinazione fornisce una prova presuntiva che autorizza il Fisco alla rideterminazione dell’imposta.

È legittima la ricostruzione induttiva di ricavi non contabilizzati operata dall’ufficio in presenza di alcuni indicatori di anomalia contabile quali l’appiattimento verso il basso dei ricavi dichiarati e delle percentuali di ricarico rispetto ai ricavi puntuali di riferimento e ai valori minimi desumibili dagli studi di settore nonché la disparità per difetto rilevata rispetto agli stessi elementi relativi a esercizi analoghi.
È quanto affermato dalla Corte suprema con la sentenza n. 1000 del 21 gennaio 2015.

La vicenda processuale
I contribuenti, gestori in società di un discount specializzato nella vendita di occhiali e simili, impugnavano gli avvisi di accertamento loro notificati a mezzo dei quali l’ufficio, rilevando all’esito di una verifica a carattere generale, disposta per l’anno 2002, gravi irregolarità nella tenuta della contabilità, aveva proceduto alla ricostruzione induttiva dei ricavi, mediante l’applicazione della percentuale di ricarico risultante dalla media ponderata, e alla rettifica degli imponibili dichiarati, liquidando le maggiori imposte con relativi interessi e sanzioni.
I giudici di merito, accogliendo le doglianze di parte, annullavano gli avvisi di accertamento.

La Commissione tributaria regionale, in particolare, censurando previamente l’operato dell’ufficio per aver sottoposto a verifica soggetti congrui e coerenti, osservava che la ricostruzione dei ricavi nella specie era avvenuta in modo del tutto astratto, concludendo che “non solo non vi erano le condizioni che consentissero di utilizzare l’accertamento induttivo di cui all’art. 39, comma 2, ma l’accertamento stesso, per come è stato impostato e realizzato, non fornisce dati attendibili, tanto più che si applicano quelli del 2004 all’esercizio 2002”.

Ricorreva in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, facendo valere, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, del cpc, l’omessa e insufficiente motivazione, in quanto la Ctr:

  • non aveva tenuto presente che la ricostruzione dei ricavi era avvenuta al lordo dei costi dedotti dai ricavi per sei tipologie di merce inventariate e che non risultava alcuna contabilizzazione né di costi né di ricavi per quanto riguarda le custodie per occhiali
  • aveva qualificato come astratto il criterio di ricostruzione (applicazione della percentuale di ricarico medio ponderato) utilizzato dall’ufficio
  • aveva affermato l’illegittima utilizzazione di costi riferiti al 2004 senza tenere conto che l’utilizzo di dati relativi all’anno 2004 anziché 2002 non aveva alterato il risultato, trattandosi di un rapporto (prezzo di acquisto/prezzo di vendita) il cui andamento, come riconosciuto dalle parti, era coerente coi dati rilevabili dallo studio di settore.

La pronuncia della Cassazione
Nell’accogliere il motivo di ricorso della parte pubblica attinente il vizio di motivazione della sentenza impugnata, la Corte suprema ha salvaguardato l’operato dell’ufficio che muovendo da alcuni indicatori di anomalia contabile, aveva proceduto a rideterminare le percentuali di ricarico prendendo a riferimento tutte le tipologie di prodotti inventariati mediante il criterio della media ponderata e, sulla base dei risultati ottenuti, aveva determinato la scostamento reddituale oggetto poi di contestazione con l’atto impositivo.

Osservazioni
L’ufficio, come previsto dall’articolo 39, comma 2, del Dpr 600/1973, è legittimato alla ricostruzione induttiva dei ricavi nelle diverse fattispecie prescritte dalla norma.
In particolare, qualora “le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica – l’ufficio ha il potere di determinare il reddito d’impresa – sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni” semplici, ovvero prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

La Corte suprema, nel descrivere il procedimento che il giudice deve seguire in materia di prova per presunzioni, ha specificato che “il procedimento che deve correttamente seguirsi per raggiungere una prova per presunzioni consta infatti di due momenti valutativi; in primo luogo, occorre che il giudice proceda a valutare in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli che non abbiano rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi” (Cassazione, sentenza n. 13819/2003).

La prova per presunzioni costituisce, dunque, l’esito di una complessa attività valutativa del giudice, che si articola in due fasi: la prima attinente all’esame di ogni singolo elemento di fatto al fine di individuare quelli rilevanti, in quanto dotati di precisione e gravità rispetto alla tesi accertativa dell’ufficio; la seconda volta alla combinazione degli elementi così individuati, al fine di valutare se essi siano concordanti, ossia se, combinati tra loro, siano idonei a integrare la prova presuntiva dedotta dall’ufficio.

In tale prospettiva, risulta irrilevante che uno o ciascuno degli elementi di fatto presi in considerazione dal giudice sia di per sé non sufficiente a integrare tale prova.
Premesso, altresì, che secondo il consolidato orientamento di legittimità, ricorre il vizio di omessa motivazione allorché dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione, e il vizio di insufficiente motivazione quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, nel caso di specie l’errore motivazionale in cui è incorsa la Ctr, nella doppia veste dell’omessa motivazione e dell’insufficiente motivazione, risulta innegabile.

La Corte d’appello, invero, rilevando che il ragionamento dell’ufficio “è ancora meno percepibile quando si perviene ad una ricostruzione dei ricavi del tutto astratta” e motivando questa conclusione con l’affermazione che “le custodie degli occhiali non vengono pagate, ma l’azienda le compra e le paga, quindi non incideranno sui ricavi, ma sui costi di sicuro si; lo sconto del prezzo di vendita del 10% riconosciuto su alcuni prodotti non tiene conto di quella particolare filosofia di mercato che ricorre strutturalmente alle offerte come metodica di promozione; le percentuali di ricarico… non sono attendibili per un negozio affiliato ad una catena di discount che fa del prezzo basso la propria politica di penetrazione sul mercato” e, infine, che “l’accertamento stesso, per come è stato impostato e realizzato, non fornisce dati attendibili, tanto più che si applicano quelli del 2004 all’esercizio 2002” segue un itinerario motivazionale che, per quanto si possa stimare rispettoso dell’autonomia decisionale che compete al giudice di merito nella valutazione del materiale probatorio portato alla sua cognizione, è tuttavia in pari tempo omissivo, considerato che manca di esaminare alcuni snodi fattuali emersi in sede di verifica, in grado se adeguatamente valutati, di orientare diversamente l’esito della lite, e insufficiente, in quanto il ragionamento sviluppato a supporto della decisione si mostra obiettivamente lacunoso.

In breve, l’ufficio, muovendo da alcuni indicatori di anomalia contabile, rappresentati dall’appiattimento verso il basso dei ricavi dichiarati e delle percentuali di ricarico rispetto ai ricavi puntuali di riferimento e ai valori minimi desunti dagli studi di settore, e dalla disparità per difetto rilevata rispetto agli stessi elementi relativi a esercizi analoghi, aveva proceduto a rideterminare le percentuali di ricarico prendendo a riferimento tutte le tipologie di prodotti inventariati mediante il criterio della media ponderata e, sulla base dei risultati ottenuti, aveva individuato lo scostamento reddituale oggetto poi di contestazione con l’atto impositivo.

Ciò considerato, per la Cassazione “i giudici di appello hanno frettolosamente ignorato questo quadro circostanziale, prescindendo da ogni considerazione delle modalità operative seguite dall’ufficio per pervenire all’accertamento, giudicato incongruamente astratto; e nel far questo hanno altresì trascurato di soppesare l’efficacia argomentativa di taluni elementi addotti a fondamento della decisione (custodie degli occhiali, utilizzazione dei costi del 2004) alla luce delle puntuali rimostranze dispiegate criticamente dall’ufficio”.
Ne è derivato la cassazione delle sentenza impugnata, con rinvio alla Ctr per un nuovo giudizio.

 

 

FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate

AUTORE: Dora De Marco

 

 

 

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