La definizione agevolata elide il debito fiscale, ma non opera sui crediti vantati dal contribuente, i quali restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’ufficio.
Con la sentenza 20433/2014, la Corte di cassazione, ponendosi in linea con precedenti orientamenti giurisprudenziali, ha ribadito che, nell’ipotesi di operazioni inesistenti, dalle quali scaturisca un credito Iva, l’erario non è tenuto, per automatico effetto del condono eventualmente esercitato dal contribuente, a procedere al rimborso, né gli è inibito l’accertamento diretto a dimostrare l’inesistenza di detto credito.
Secondo la Corte, infatti, il condono fiscale elide, in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera alcun effetto sui crediti che il contribuente eventualmente vanti nei confronti del fisco. Detti crediti, pertanto, restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’ufficio.
Inoltre, ad avviso del Supremo collegio, siffatte considerazioni non solo sono conformi a quanto sostenuto dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 27 luglio 2005, n. 340, ma inoltre non si pongono in contrapposizione con quanto disposto dal comma 9 dell’articolo 9 della legge 289/2002, ai sensi del quale “La definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate”.
La disposizione da ultimo richiamata, infatti, va interpretata nel senso che il condono non può determinare alcuna modifica di detti importi e non nel senso che questo faccia venir meno il potere di rettifica dell’Amministrazione finanziaria (in senso analogo, ex plurimis, Cassazione 18 giugno 2014, n. 13840, e 12 gennaio 2009, n. 375).
Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di evidenziare come ogni condono o sanatoria ponga il contribuente di fronte a una libera scelta fra trattamenti distinti e che non si intersecano tra loro: o coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo, ove spettanti, eventuali rimborsi, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza la possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto sulla linea del procedimento fiscale ordinario (Cassazione 8 settembre 2008, n. 22559).
Secondo la Cassazione, infine, l’orientamento interpretativo sin qui brevemente richiamato deve trovare applicazione nei confronti non solo delle ipotesi di definizione agevolata di cui all’articolo 9 della legge 289/2002, ma anche a quelle di cui all’articolo 15 della medesima legge 289/2002, nella quale oggetto di definizione non è l’imposta (come nel caso dell’articolo 9), ma la “lite potenziale” fra Fisco e contribuente.
Infatti, l’effetto “limitato alla lite” della definizione di cui all’articolo 15 rende ancor di più indipendente il rapporto giuridico relativo ai crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del Fisco, i quali restano così soggetti all’eventuale azione accertativa.
FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate