La legge 190/2012 risulta un contenitore di interventi, legati dal fil rouge della prevenzione dei fenomeni di corruzione e di maladministration, e rappresenta un fattore di significativa discontinuità nel panorama nazionale.
Approfondiamo il tema con una serie di interventi; nel primo, etimologia e propensione alla corruzione.

La parola corruzione origina dal latino corruptioonis (dacorrumpere), e cioè disfacimento, degenerazione, il rompere qualcosa; è oggi intesa come “l’opera di chi induce gli altri al male”. Il significato del termine, collegato all’esercizio deviato della funzione pubblica, è comunemente negativo, e in questo senso va la definizione dell’economista indiano Bardhan Kumar Pranab: “la corruzione è l’utilizzo del pubblico ufficio per un guadagno privato”. In altri termini, le manifestazioni corruttive, pur se diffuse in tutti i campi della vita di relazione, sono prevalentemente concentrate nei settori dell’economia, in particolare in quelli ove si manifesta l’esercizio di una pubblica funzione, in questo senso superando l’ormai angusto ambito del rapporto di pubblico impiego, anche se nel comune sentire il fenomeno è percepito come limitato al comportamento illecito del pubblico dipendente che mira a un vantaggio economico “privato” e indebito.

L’espressione “vantaggio privato” conduce poi verso scenari assai estesi: nella corruzione, il vantaggio per il pubblico funzionario corrotto può essere costituito, ad esempio, dall’assunzione di personale segnalato, in quanto la dazione o promessa illecita può essere rappresentata non solo da una somma di denaro, ma da qualsivoglia “altra utilità”. Per “altra utilità“ si intende così qualsiasi bene che costituisca per il soggetto pubblico (o anche per un terzo, cui è destinato) un vantaggio, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale (financo i favori sessuali rientrano in tale categoria in quanto costituiscono un vantaggio per il pubblico funzionario che ne ottenga la promessa o l’effettiva prestazione), quindi anche non necessariamente economico, ma comunque giuridicamente apprezzabile (Cassazione, 351/1998).

In altri termini, nella nozione di “utilità” rientrano non solo accrescimenti di natura patrimoniale, ma anche quei “vantaggi sociali” percepiti, dalla collettività come utili, le cui ricadute patrimoniali siano mediate e indirette (Cassazione, 24656/2010, con riguardo ad attività di mediazione svolta dal corruttore per alimentare e favorire le aspettative di carriera del corrotto). Se pertanto un’assunzione “di comodo” rileva incontrovertibilmente come apprezzabile “utilità” per la configurabilità del reato, risolvendosi in un vantaggio patrimoniale quantomeno per il terzo (l’assunto), beneficato dal pubblico ufficiale corrotto (Cassazione, 45930/2011) con un posto di lavoro, compie un atto contrario ai propri doveri d’ufficio anche il presidente di Commissione d’esame di Stato che favorisce i privatisti nel superamento della prova in cambio di soggiorni vacanza (Cassazione, 36251/2011).

Il meccanismo corruttivo non è quindi limitato al mero profitto monetario, ma si estende sino a rappresentare un mezzo utilizzato dall’uomo per soddisfare i bisogni “dell’Auto-Realizzazione” e “dell’Ego”, conformemente alla classificazione dei bisogni formulata dallo psicologo Abraham Harold Maslow. Tali bisogni (il “Bene”) sono prevalentemente conformati su una accezione materialistica economica, anche se il fenomeno può avere a oggetto comportamenti che si limitano a infrangere regole morali ed etiche. Questo fenomeno di malcostume, indipendente dalla apprezzabilità o meno del vantaggio economico perseguito, è stato definito da Robert Klitgaard (docente universitario statunitense) “un reato basato sul calcolo”, nel quale “le persone tendono a corrompere o a essere corrotte quando i rischi sono bassi e le ricompense grandi”.

La propensione alla corruzione
La propensione alla corruzione è stata espressa in sintesi dallo stesso Klitgaard nella formula C = M + D – A (C = corruption; M = monopoly; D/S = discretion – segretezza; R/A = accountability –responsabilità).
Secondo lo studioso, il livello di corruzione aumenta proporzionalmente alle possibilità che uno o più soggetti dispongano di un bene in via esclusiva o se trasparenza e responsabilità siano basse.
La corruzione è tanto più ricorrente quanto più alto è la somma del valore del monopolio (per ottenere quel bene devo rivolgermi all’unico produttore oppure a quei pochi produttori uniti da un accordo di cartello, ovvero la situazione contraria, con un unico compratore che può unilateralmente decidere se acquistare o meno un certo bene – ad esempio, lo Stato per le forniture di navi militari) e della segretezza (la procedura di aggiudicazione è priva di trasparenza).
La responsabilità, nel nostro sistema giuridico, è costituita dalle molteplici forme di responsabilità (civile, penale, amministrativa, amministrativo-contabile o erariale, dirigenziale e da risultato), a seconda delle regole che vengono infrante.
Se gli elementi monopolio e segretezza assumono valori elevati (ad esempio, ancora le forniture militari), efficace strumento per diminuire la propensione alla corruzione può essere rappresentato dall’alta probabilità della certezza di una punizione severa e rapida, più che il mero inasprimento delle pene edittali.

I soggetti appaiono essere maggiormente propensi alla corruzione quando da essa riescono a massimizzare un utile personale, cercando nel contempo di giungere a un punto di equilibrio che sia vantaggioso anche per gli altri “giocatori” della partita. Il meccanismo della corruzione, nel caso di un valore C molto alto, trova un punto di equilibrio nella convenienza per tutti gli attori alla corruzione. In uno scenario di questo genere (ad esempio, il valore elevato di C è determinato soprattutto dalla limitata responsabilità), in un gioco “cooperativo” (i giocatori hanno interessi in comune, quanto meno per la sua durata, non sono in contrapposizione e, in alcuni casi, sono anzi portati ad associarsi) ogni “giocatore” (politico, portaborse, funzionario, imprenditore) è proteso alla scelta che massimizza l’utile, cioè alla corruzione. Nella corruzione, questi aspetti tendono a migliorare il “pay-off” (pagamento illecito), garantito dalla vincolatività degli accordi.

Le misure da attuare per contrastare la corruzione sono innanzitutto rappresentate da un affinamento, in una logica di deterrenza, del quadro normativo, unitamente a una concreta azione di prevenzione attraverso lo sviluppo del senso civico.

Nel secondo appuntamento dell’approfondimento: eziologia del fenomeno e classificazione della corruzione.

L’eziologia del fenomeno
Un’indagine fondata su un modello della corruzione “causa-effetto” ha portato a individuare più cause del fenomeno:

  1. socio–culturali: la mancanza di valori etici o la presenza di retaggi culturali e politici può alimentare la convinzione della liceità di comportamenti contrari alle regole
  2. socio–politiche: una ridotta stabilità politica dei sistemi di governo influenza negativamente la stima dei cittadini nelle istituzioni e li spinge a condotte illecite, comunque ritenute più conformi alle proprie esigenze personali
  3. economiche: influiscono sul radicamento del fenomeno corruttivo in modo decisamente più rilevante rispetto alle precedenti cause. Tra esse rilevano:
    • una limitata libertà di iniziativa economica
    • un’eccessiva inflazione, deflazione, recessione
    • dazi doganali all’importazione
    • una bassa diffusione della ricchezza nel Paese, cui corrisponde un maggior desiderio di migliorare la propria posizione sociale, anche con comportamenti illeciti
    • scarsa qualità e inefficienza degli interventi pubblici in settori fondamentali per la collettività, la cui propensione all’illegalità a danno dello Stato di conseguenza cresce
  4. legislative e amministrative: insufficienza di norme anti-corruzione e loro debole attuazione.

La diffusione della corruzione ha ricadute etico-sociali, come l’allontanamento dalla partecipazione alla politica e lo scarso affidamento verso la Pa, e anche economiche, in particolare sulle piccole e medie imprese, a causa dell’aumento dei costi dalle stesse sostenuti e della conseguente recessione, che tende a contrarre le entrate erariali, incidendo sugli investimenti come una “tassa occulta”.
Altresì, genera inefficienze economiche, diminuisce l’efficacia delle spesa pubblica e impedisce la corretta fruizione dei “beni pubblici puri”, che nascono come “beni non escludibili” (un bene non è escludibile al consumo se non è possibile impedirne il consumo qualora lo si voglia fare) e “non rivali” (il loro consumo da parte di un individuo non ne riduce la disponibilità per gli altri) e dai quali non dovrebbe essere permesso trarre un profitto privato.
Le misure da attuare per contenere ed eliminare il fenomeno, con alla base una precisa individuazione delle sue cause, sono innanzitutto rappresentate da un affinamento, in una logica di deterrenza, del quadro normativo (in Italia, peraltro, notevolmente rafforzato dalla novella del 2012), unitamente a una concreta azione di prevenzione attraverso lo sviluppo del senso civico. A ciò, si dovrebbe aggiungere il coinvolgimento dei destinatari del servizio pubblico, così da far crescere la capacità di rilevazione e di denuncia delle situazioni corruttive, di per sé stesse di non agevole individuazione in quanto attuate con una pluralità di atti, per lo più occulti.

La classificazione della corruzione
La corruzione può essere classificata in funzione del comportamento del soggetto pubblico coinvolto:

  • politica: in senso soggettivo, per la qualità dell’autore, o in senso oggettivo, per la natura degli interessi coinvolti. Il corrotto cerca di mantenere lo status ricoperto o di indirizzare a proprio interesse il processo elettorale, ad esempio con comportamenti nepotistici, false promesse, benefici agli elettori per condizionarli nel voto
  • burocratica: il suo sostrato fondamentale è nell’apparato e nel funzionamento della pubblica amministrazione. Chi ricopre cariche amministrativo-burocratiche, ad esempio, cerca, pur senza violare apparentemente le norme, di favorire e velocizzare l’esecuzione di servizi pubblici dei quali il cittadino avrebbe comunque dovuto beneficiare, ovvero viola o applica in maniera distorta leggi o regolamenti, ovviamente per un fine illecito (ad esempio, rallentando i tempi di conclusione del procedimento per indebolire la resistenza del privato alla dazione indebita). È qui possibile distinguere tra corruzione burocratica vera e propria (il soggetto pubblico esercita comunque le proprie funzioni, pur se con distorsioni applicative della normativa) e “state capture”, forma di corruzione nella quale le azioni di individui, gruppi o imprese per un interesse privato influenzano significativamente un processo di decision–making (fase di elaborazione) statale
  • economica: si manifesta nel mercato e si realizza con il passaggio di beni materiali o monetari, che vanno ad accrescere il patrimonio personale del pubblico dipendente o funzionario (un esempio, è il peculato, con il quale l’intraneus si appropria di un bene dell’amministrazione)
  • corruzione sociale: non è rilevante tanto la forma con cui si realizza la malversazione in cambio del compimento di favori, quanto piuttosto il fatto che il flusso di beni materiali e monetari non arricchisce un singolo soggetto, ma l’organizzazione di cui fa parte. È spesso considerata meno riprovevole della corruzione economica, perché il denaro è condiviso dai membri del gruppo di appartenenza, anche se deriva da un grave decadimento della morale collettiva.

Con riguardo alla dimensione dell’episodio, si distingue invece in:

  • grand corruption: la corruzione più pericolosa, che si manifesta quando le alte decisioni politiche, le successive fasi di progettazione e realizzazione sono fortemente inquinate da azioni di corruzione, ad esempio, nei processi decisionali relativi a stanziamenti ingenti inquinati da illecite prassi o dazioni per garantire che le gare d’appalto siano aggiudicate a soggetti previamente individuati
  • petty corruption: realizzata con azioni di piccola dimensione, è l’uso deviato (abuso) di unofficium pubblico per ottenere un beneficio privato nell’erogazione di un servizio di routine al cittadino o alla piccola impresa. Prevede il pagamento di modeste somme di denaro o utilità, corrisposte, ad esempio, per sveltire le pratiche.

Due studiosi statunitensi (Andrei Shleifer, economista russo americano e professore di Economia dell’Università di Harvard, e Robert Vishny, economista americano, docente di Finanza alla Chicago Booth School of Business) hanno affermato che la corruzione non è sempre il frutto di accadimenti singoli e scollegati fra loro, ma può anche costituire un vero e proprio, ben organizzato, network criminale. Si distingue quindi:

  • corruzione caotica: i burocrati agiscono in assoluta indipendenza l’uno dall’altro, con l’eventualità che il cittadino debba pagare tangenti a più funzionari per lo stesso servizio o nell’ambito dello stesso procedimento amministrativo, senza però essere certo che il servizio gli sia poi effettivamente fornito
  • corruzione ben organizzata, nella quale la gestione dell’intero sistema della corruzione è monopolistico e centralizzato, nelle mani di un soggetto unico (monarca, dittatore, partito politico, capo della burocrazia), che garantisce quanto e a chi pagare e l’effettività della prestazione (spesso illecita) richiesta.

Un’ulteriore classificazione è quella ritraibile dal codice penale. L’articolo 319 individua la corruzionepropria (“per un atto contrario ai doveri d’ufficio”), mentre l’articolo 318 definisce quella impropria(già “per un atto d’ufficio” e ora “per l’esercizio della funzione”). La differenza risiedeva nell’oggetto dell’accordo (un atto rispettivamente contrario o conforme ai doveri dell’ufficio). Attualmente in Italia, dopo la riforma “Severino” del 2012, l’atto dell’ufficio è presupposto indispensabile della sola corruzione “propria” (articolo 319 cp), mentre quella “impropria” non richiede più un necessario collegamento a uno specifico atto del funzionario.

Sempre dal punto di vista penalistico, la corruzione può essere classificata come antecedente osusseguente (a seconda che la dazione o la promessa precedano il compimento dell’atto di ufficio o, in assenza di un precedente accordo, facciano seguito a esso). Con la riforma dello Statuto penale della Pa del ’90 sono state eliminate dall’articolo 319 le differenze sanzionatorie, mentre nell’articolo 318, dopo la riforma “Severino” del 2012, non c’è più traccia di tale distinzione.

Altresì, la corruzione si distingue in attiva e passiva: nella prima, viene osservata la condotta del privato, che dà o promette l’utilità; viceversa, in quella passiva, rileva l’azione del pubblico agente, che si realizza con la ricezione della dazione o l’accettazione della promessa. Questa differenziazione origina dalla specularità delle condotte del pubblico agente e del privato e, in funzione della tecnica normativa, adottata possono prevedersi due distinti e autonomi reati, oppure uno solo, fondato sull’incontro delle rispettive condotte): in alcuni ordinamenti stranieri (e anche negli atti comunitari e internazionali sulla corruzione), corruzione attiva e corruzione passiva costituiscono autonome incriminazioni.

La legge 190/2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”, entrata in vigore il 28 novembre 2012, è stata varata per superare l’inadeguatezza dell’ordinamento nazionale, in attuazione del recepimento degli impegni internazionali assunti con la sottoscrizione delle Convenzioni di Mérida e di Strasburgo.
Pur nell’innegabilità dell’annoso ritardo dell’intervento, la risposta al fenomeno corruttivo resa dal provvedimento sembra adeguata, in quanto non limitata solo a un formale adeguamento agli obblighi assunti a livello internazionale e all’inasprimento delle sanzioni dei delitti contro la Pa.

La legge ha una struttura di contenitore, limitata a due articoli: il primo, di ben 83 commi, mostra una evidente attenzione nel disciplinare materie anche fortemente disomogenee (tra l’altro, prevede modifiche a codice penale, codice di procedura penale, codice civile, legge 241/1990 e ai decreti legislativi 167/2000, 165/2001, 231/2001, 163/2006), con un coordinamento assai complesso tra le disposizioni introdotte o modificate, soprattutto a causa del diverso rango delle fonti interessate e della necessità di prevedere l’armonizzazione della normativa regionale con quella statale. Il secondo, invece, di due soli commi, è la clausola di invarianza finanziaria o di spesa.

Il legislatore della “Severino”, nel testo poi approvato dal parlamento, ha operato una valutazione su cause, effetti e azioni di possibile contrasto del fenomeno, conformando la norma a tale analisi:

  • la corruzione ha origine e si sviluppa nella Pa, ma ha sempre un impatto esterno, per l’influenza che essa esercita sui rapporti economici nella società
  • la lotta alla corruzione deve avere origine nella stessa Pa, attraverso sistemi di verifica interni non solo dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma anche della sua legittimità
  • l’attività di controllo deve far capo a ben individuati organi, responsabili di eventuali omissioni.

Gli elementi di maggiore rilievo della legge 190/2012 sono risultati, di conseguenza:

  • creazione di una Autorità nazionale anticorruzione, con compiti di controllo e indagine sulla pubblica amministrazione
  • designazione di responsabili per il contrasto alla corruzione in tutti gli enti pubblici, inclusi quelli locali, con rotazione di cariche e incarichi nei settori più a rischio
  • accountability e trasparenza dell’attività delle amministrazioni pubbliche, in particolare nel settore degli appalti e degli incarichi in società controllate
  • inasprimento delle pene e, in alcuni casi, ridefinizione dei reati di corruzione e concussione, nonché recepimento della nuova fattispecie di “traffico di influenze”
  • tutele per i dipendenti pubblici che denuncino episodi di corruzione.

La riforma è stata ritenuta un “provvedimento omnibus”, di complessa sostenibilità in quanto va a disciplinare una eterogeneità di situazioni, per lo più rientranti nell’alveo dell’attività amministrativa e dell’organizzazione aziendale pubblica, ma comunque anche rilevanti in ambito penale. A questo si aggiungano i rischi derivanti dall’eccessiva tipizzazione delle norme introdotte o novellate, così da generare l’effetto opposto a quello auspicato e lasciare margini di impunità per nuove forme d’illegalità, non individuate dalla legge e dai provvedimenti delegati.

È indubitabile che il legislatore ha dato priorità alle funzioni di prevenzione nonché di controllo e monitoraggio, ma nel contempo ha in parte trascurato la precisa individuazione a fini sanzionatori dei criteri di valutazione delle responsabilità da illeciti.
Tuttavia, la necessità di sviluppare una efficace azione di prevenzione direttamente nell’ambito della funzione amministrativa, per anticipare la funzione di repressione propria dell’Autorità giudiziaria, sono state risolte soprattutto grazie alla valenza disciplinare attribuita al nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

Così, per contrastare più efficacemente il fenomeno della corruzione, l’attività di prevenzione ha assunto il decisivo ruolo di concorrere nella dissuasione dei dipendenti e, più in generale, dei soggetti rivestiti di una pubblica funzione dal porre in atto azioni illecite, sviluppandone la correttezza e incidendo positivamente sull’etica dell’Amministrazione pubblica. L’interesse all’aspetto morale si accresce e diffonde attraverso i codici etici e di comportamento, legati a un adeguato sistema di responsabilità disciplinare e a una efficace disciplina delle incompatibilità, con una opportuna formazione, con l’innalzamento del livello di trasparenza amministrativa, con il ricorso a procedure di controllo e deterrenza quali gli audit interni.

La legge 190, tuttavia, non tiene conto che le dimensioni e le tipologie organizzative delle pubbliche amministrazioni sono mutevoli e variegate e che gli enti più piccoli, soprattutto quelle autonomie locali impegnate nell’erogazione dei servizi primari alla collettività e al tempo stesso afflitte da carenza di risorse umane ed economiche, incontrano difficoltà crescenti tanto più le loro dimensioni sono ridotte.
Il fenomeno corruttivo è fortemente collegato alla trasparenza dell’azione amministrativa, da intendersi, dal punto di vista dei soggetti portatori d’interessi, come facoltà loro riconosciuta di assumere liberamente informazioni su comportamenti, atti e decisioni della Pubblica amministrazione nonché sui profili personali dei titolari degli organi. La trasparenza è infatti un elemento profondamente collegato alla facilità di comprensione dell’azione amministrativa, giova alla sua semplificazione ed è strumento di realizzazione dell’accountability.

Anche gli obblighi di pubblicazione, declinazione del principio di trasparenza, non risultano differenziati da ente a ente per tipologia, dimensione e caratteristiche organizzative; manca inoltre un qualsiasi elemento atto a chiarire le zone di sovrapposizione con la normativa sul trattamento dei dati, in particolare quelli sensibili. Altresì, quantunque si parli diffusamente di esigenze di pubblicazione nella legge 190 e nei provvedimenti delegati, in particolare nel Dlgs 33/2013, informazioni, prescrizioni di dettaglio e note tecniche di elaborazione dei dati di obbligatoria pubblicazione appaiono eccessivamente sintetiche, con la conseguente necessità di ricorrere alla consultazione dei documenti di prassi. Manca ancora un concreto sviluppo dell’indispensabile collegamento fra performance e trasparenza.

Le Convenzioni Onu di Mérida (articolo 33) e Ue di Strasburgo (articolo 9) hanno previsto (nel primo caso, non come obbligo, ma come facoltà per gli Stati membri) l’inserimento nelle normative nazionali di recepimento di apposite clausole di riservatezza a tutela di chi intenda denunciare casi di corruzione. Il legislatore nazionale, con la legge 190/2012, avrebbe forse potuto sviluppare maggiormente le indicazioni delle convenzioni, e questa tendenza può già essere rilevata dalla limitatezza dello spazio dedicato allo whistleblowing (un solo comma nella legge 190 e un solo articolo, il 54-bis, nel Dlgs 165/2001), il che non ha al momento permesso di disciplinare tutte le fattispecie di segnalazione di ipotesi di corruzione.

Prima di dar conto, seppur sommariamente, dell’impianto della norma, sembra opportuno sviluppare alcune considerazioni sull’impatto dell’entrata in vigore della norma sulle Pubbliche amministrazioni.
Non si può escludere che, in alcuni casi, le Pa si siano mostrate inizialmente tese più alla “cultura dell’adempimento”, privilegiando il rispetto degli aspetti meramente formali e la pedissequa puntualità nelle tempistiche e nelle procedure, che alle prioritarie finalità perseguite dal legislatore e alle logiche di efficacia, efficienza ed economicità che informano l’azione amministrativa.
La corruzione trova infatti terreno fertile nell’eccesso di norme e oneri procedimentali, nella ridotta qualità della burocrazia e in sistemi sanzionatori inefficaci. La norma non può essere in grado di attingere tutte le fenomenologie di abuso della funzione pubblica, ma l’individuazione di efficaci strumenti di contrasto ha comunque permesso di sviluppare una “cultura della responsabilità”.
A questo si deve accompagnare la crescita di un’altra cultura, quella degli obiettivi, accompagnata da meccanismi premiali per i dirigenti che sviluppino efficaci azioni, coerenti con l’impianto normativo, così da realizzare concretamente il contrasto alla corruzione: “prevenire la corruzione significa innanzitutto puntare su un’amministrazione efficiente ed efficace. La corruzione trova terreno fertile nell’eccesso di norme e oneri burocratici, nella scarsa qualità della burocrazia e in sistemi sanzionatori percepiti come inefficaci. Le attività di prevenzione e di promozione della trasparenza devono essere sostenibili, in relazione alla dimensione e alle caratteristiche organizzative e funzionali delle amministrazioni. Va superata la cultura dell’adempimento e promossa la cultura del risultato” (A piccoli passi verso la trasparenza: l’impegno delle Pubbliche Amministrazioni italiane contro la corruzione. Autorità Nazionale Anticorruzione 30 maggio 2013).
Dopo le iniziali diffidenze proprie della prima fase di attuazione della normativa, le pubbliche amministrazioni, per garantire l’effettività del controllo sociale, stanno avvertendo sempre più l’esigenza di pubblicizzare a beneficio dei cittadini e delle altre categorie di stakeholders l’attività sviluppata e di rendere conto dell’azione amministrativa esercitata, dei servizi resi alla collettività e, più in generale, della performance.

I primi commi (da 1 a 8) individuano i soggetti ai quali, a livello centrale, sono assegnati i compiti di attuazione delle misure anticorruzione e della lotta all’illegalità nella Pubblica amministrazione.
In coerenza con l’iniziale previsione di una Autorità nazionale anticorruzione, il legislatore, al comma successivo, stabilisce che Civit (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 13 del Dlgs 150/2009) operi quale Autorità nazionale anticorruzione, per assicurare azione coordinata, attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella Pa. In particolare, la Commissione:

  • collabora con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni regionali e internazionali competenti
  • approva il Piano nazionale anticorruzione predisposto dal dipartimento della Funzione pubblica, di cui al comma 4, lettera c)
  • analizza le cause e i fattori della corruzione e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto. A livello periferico, spetta a ogni Amministrazione o Ente porre in atto, secondo le linee guida dettate dall’Autorità, i provvedimenti più efficienti ed efficaci a prevenire e contrastare la corruzione
  • originariamente, poteva esprimere pareri facoltativi agli organi dello Stato e a tutte le Pa di cui all’articolo 1, comma 2, Dlgs 165/2001, in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico. Ora, in forza delle modiche apportate dal Dl 69/2013, la funzione consultiva è circoscritta alle seguenti ipotesi: esprime parere obbligatorio sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonché sulle circolari del ministro per la Pa e la semplificazione in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico
  • esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni (articolo 53 del Dlgs 165/2001) allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all’applicazione del comma 16-ter (incompatibilità lavorative per un triennio per i dipendenti cessati dal rapporto di pubblico impiego)
  • esercita la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure adottate dalle Pa e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste
  • riferisce con una relazione al Parlamento entro ogni 31 dicembre sull’attività di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella PA e sull’efficacia delle disposizioni.

Anac, per l’esercizio delle funzioni ispettive, ha la facoltà di richiedere notizie, informazioni, atti e documenti, ordinare l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani e dalle regole sulla trasparenza ovvero ordinare la rimozione di atti o comportamenti che contrastino con tali piani e regole. In tal caso, Anac e le Pa interessate danno notizia sui siti web istituzionali dei provvedimenti adottati e tempestiva comunicazione dell’avvenuta pubblicazione al dipartimento della Funzione pubblica (Dfp).

Nel comma 4, è contenuta la disciplina sulle funzioni originariamente assegnate al Dfp (come accennato, ora trasferite ad Anac), in conformità alle linee adottate dal Comitato interministeriale, istituito e disciplinato dal presidente del Consiglio dei ministri. Esse consistono nel coordinare l’attuazione delle strategie di prevenzione e lotta alla corruzione, anche attraverso la predisposizione del Pna; promuovere e definire norme e metodologie comuni coerenti con gli orientamenti internazionali; predisporre modelli standard delle informazioni che ne consentano la gestione e analisi informatizzata; definire i criteri di rotazione dirigenziale in settori esposti alla corruzione e per evitare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici, anche esterni.

Tra i soggetti che rivestono un ruolo primario nella lotta alla corruzione vi sono anche l’autorità di Governo nella provincia, e cioè il prefetto (comma 6) e la prefettura (commi 52 seguenti), in quest’ultimo caso in tema di comunicazione e informazione antimafia. Il prefetto, su richiesta, fornisce supporto tecnico e informativo agli enti locali per la predisposizione del Piano triennale di prevenzione della corruzione, assicurandone la corrispondenza con le linee guida del Pna.
La Scuola nazionale dell’Amministrazione ha invece il compito di predisporre percorsi di formazione dei dipendenti alla legalità e all’etica morale, soprattutto di quei settori in cui il rischio di abusi è più elevato.

In un’ottica di supporto, le pubbliche amministrazioni centrali definiscono e trasmettono (comma 5) ad Anac:

  • un piano di prevenzione della corruzione, che fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio
  • procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Sna, i dipendenti chiamati d operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari.

Le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui ai commi da 1 a 57, in quanto di diretta attuazione del principio di imparzialità di cui all’articolo 97 della Costituzione, sono applicate in tutte le Pa di cui all’articolo 1, comma 2, Dlgs 165/2001 (comprese quindi anche quelle “non privatizzate”). Per regioni e province autonome, enti locali, nonché enti pubblici e soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo, sono previste intese in sede di Conferenza unificata per definire gli adempimenti volti alla piena e sollecita attuazione delle disposizioni della legge.

 

 

FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate

AUTORE: Federica Rachele Badano

 

 

 

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