Nei primi giorni di gennaio tutti gli organi d’informazione italiani, d’improvviso, sembrano aver compreso che qualcosa non funziona nel sistema di affidamento delle grandi opere pubbliche. Il caso è scoppiato quando si sono accorti che, poco prima di capodanno, era stato chiuso un tratto della statale Palermo Agrigento inaugurato appena sei giorni prima, dopo la realizzazione di lavori per la sostituzione di un viadotto. La notizia che campeggiava sui titoli parlava del crollo di quello appena realizzato.
In realtà, il danno è stato ben più limitato, perché non ha ceduto un pilone e nemmeno si è spezzata una campata. C’è stato il cedimento del rilevato stradale che si approssima al viadotto. É ovvio che un fatto simile non dovrebbe avvenire, ma se succede sempre più spesso che ci siano piccoli e grandi incidenti di questo tipo, bisognerebbe cominciare a chiedersi perché. Il solito tweet del presidente Renzi che annunciava fuoco e fiamme contro i responsabili ha immediatamente acceso il circo mediatico, ma ha finito per distrarre dalla vera questione.
Infatti, dichiarazioni del tipo “chi ha sbagliato pagherà” partono dal presupposto che alla base vi sia l’errore del singolo e non l’inefficienza di un sistema. E quindi una responsabilità soprattutto della politica che dovrebbe governare piuttosto che farsi pesantemente condizionare dagli interessi economici.
Dopo gli anni eroici del boom economico, in cui hanno oggettivamente contribuito a rendere più moderno il nostro Paese, negli anni ottanta le grandi infrastrutture sono diventate per lo più lo strumento per alimentare un sistema tangentizio che è cresciuto assieme al livello di corruzione della politica e della burocrazia. Per comprendere come in quegli anni stava cambiando l’Italia, sarebbe sufficiente percorrere qualche chilometro dell’autostrada A1 e compararla con qualsiasi altra grande arteria realizzata successivamente. Da un lato si avrà un’autostrada costruita in poco tempo, con costi in media con gli altri paesi europei e con una qualità progettuale visibile anche a un occhio inesperto. Dall’altro, strade inserite male nel paesaggio circostante, che si deteriorano rapidamente e necessitano di continue manutenzioni, cioè una rappresentazione molto esemplificativa del nostro degrado.
Negli anni novanta la normativa italiana ha poi recepito lo spoil system di cultura anglosassone, senza però il senso di responsabilità che l’accompagna in quei paesi. Insomma, in pochi anni è stata cancellata la competenza, l’autonomia e l’autorevolezza di una burocrazia che dovrebbe rappresentare molto più della classe politica l’apparato statale.
Preso atto infine dell’inaffidabilità di quella stessa burocrazia si è ritenuto utile affidare ai privati sempre più compiti tra quelli che prima erano del pubblico. Tutte le grandi opere oggi vengono affidate a un “contraente generale”, un soggetto privato a cui si consente di essere al contempo controllore e controllato: redige il progetto, nomina e paga il direttore dei lavori, il collaudatore in corso d’opera, affida i lavori in subappalto. Se a tutto ciò si somma il fatto che i grandi appalti si assegnano ormai con ribassi che sempre più alti, ci si rende conto di come il pubblico abbia quasi del tutto rinunciato a un reale controllo sulla qualità delle opere. Anzi, si ha sempre più l’impressione che le opere si appaltino più sulla spinta degli interessi di chi deve progettarle e realizzarle che al fine di modernizzare il Paese.
Questo sistema che avrebbe dovuto conseguire maggiori risultati in termini di efficienza e trasparenza ha completamente fallito: i tempi di realizzazione della grandi opere si sono ulteriormente allungati e i giri di mazzette associate ai grandi appalti odierni appaiono ben più grossi di quanto avvenne negli anni di tangentopoli. Bastano queste brevi e oggettive constatazioni per comprendere quindi come andare a caccia del colpevole sia una semplificazione utile solo a non affrontare il problema, che è quello della ricostruzione dell’apparato pubblico dello Stato e delle Regioni.
Bisognerebbe ridare dignità alla burocrazia pubblica restituendole autonomia dal potere politico, per poi riaffidarle il ruolo che dovrebbe assolvere: tutelare gli interessi dei cittadini e non delle cordate politiche d’appartenenza. Avrà voglia il Governo di assumersi la responsabilità di una tale profonda rivoluzione?
FONTE: Associazione dei Comuni Virtuosi