Il contribuente deve fornire idonea documentazione per dimostrare la sua estraneità oggettiva e la non connessione con il mancato pagamento dell’Iva da parte del debitore principale.
È legittima la cartella di pagamento emessa ai sensi dell’articolo 60-bis del Dpr 633/1972, che stabilisce il principio di responsabilità solidale, da parte del cessionario, nel pagamento dell’Iva, in caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente, per cessioni di beni effettuate a prezzi inferiori al loro valore normale (Ctr Venezia sentenza 1595 del 16 ottobre 2014). Incombe sul ricorrente l’onere di provare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili.
La vicenda processuale
La controversia verte sul mancato versamento dell’Iva da parte di un venditore nazionale di autoveicoli usati provenienti dal mercato comunitario e acquistati da un intermediario commerciale italiano.
In particolare, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 60-bis del Dpr 633/1972, l’ufficio ha notificato al ricorrente la “Comunicazione di debito solidale – Invito ad adempiere”, in quanto risultava aver effettuato acquisti per operazioni relative a beni inclusi nel Dm 22 dicembre 2005 a prezzi inferiori al rispettivo valore di mercato. Con tale atto, il contribuente era stato invitato a fornire l’eventuale prova contraria. In assenza di riscontro veniva notificata la relativa cartella di pagamento.
In sede di impugnazione della “comunicazione”, il ricorrente ha eccepito svariati vizi relativi alla diretta notifica della cartella, non preceduta da avviso di accertamento, e alla violazione del diritto di difesa. I giudici hanno rigettato sia il primo ricorso sia l’appello, condannando il contribuente anche al pagamento delle spese di lite.
La norma e la sua applicazione
L’articolo 60-bis del Dpr 633/1972 dispone, tra l’altro, che: “Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze – che è stato emanato il 22 dicembre 2005, individuando le seguenti categorie di beni: autoveicoli, motoveicoli, rimorchi; prodotti di telefonia e loro accessori; personal computer, componenti e accessori; animali vivi della specie bovina, bovina e suina e loro carni fresche – su proposta degli organi competenti al controllo, sulla base di analisi effettuate su fenomeni di frode, sono individuati i beni per i quali operano le disposizioni dei commi 2 e 3. 2. In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta. 3. L’obbligato solidale di cui al comma 2 può tuttavia documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta 3-bis (…)”.
Questa disposizione è stata inserita nel corpo del decreto Iva da due Finanziarie, quella del 2005 e quella del 2008.
Con la prima, legge 311/2004, è stata introdotta la parte che dispone il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto per la cessione di alcuni beni, da individuarsi attraverso un decreto ministeriale, e che obbliga anche l’acquirente, qualora la cessione avvenga a un prezzo inferiore al valore normale e la correlata imposta non venga pagata dal venditore.
Con legge 244/2007, è arrivato, invece, il comma 3-bis. Questo prevede che, nel caso in cui il corrispettivo indicato in un atto di cessione di beni immobili non sia conforme a quello effettivo, il pagamento della maggior imposta e della relativa sanzione spetta, in via solidale, anche al cessionario, pure nell’ipotesi in cui quest’ultimo non dovesse agire nell’esercizio d’impresa, arte o professione.
La responsabilità in solido è stata introdotta dal legislatore del 2004, per contrastare, in particolare, le frodi carosello, evitando che il cessionario di beni di importazione, per i quali non sia stata versata l’Iva dovuta dal cedente, pur non concorrendo all’evasione di imposta, si avvalga indebitamente dell’anomala riduzione del prezzo di vendita, conseguente al mancato versamento di quanto spettante all’Erario. La finalità della norma in commento è, dunque, quella di rendere più efficace l’azione di contrasto alle frodi Iva, prevedendo una responsabilità solidale del cessionario per la maggiore imposta accertata in capo al cedente, oltre la sanzione (circolare 41/2005).
La previsione di una responsabilità solidale, a livello comunitario, trova la sua legittimazione nell’articolo 21, paragrafo 3, della VI direttiva.
In realtà, detta disposizione permette agli Stati membri di adottare misure in forza delle quali un soggetto è obbligato in solido a versare una somma a titolo di Iva dovuta da un altro soggetto indicato come debitore da una delle disposizioni di cui ai nn. 1 e 2 del detto articolo.
La norma dev’essere interpretata nel senso che essa consente a uno Stato Ue di adottare una normativa per cui un soggetto passivo – a favore del quale è stata effettuata una cessione di beni o una prestazione di servizi e che era a conoscenza del fatto o aveva ragionevoli motivi per sospettare che la totalità o parte dell’imposta dovuta per tale cessione o tale prestazione, ovvero per qualsiasi altra cessione o prestazione precedente o successiva, non sarebbe stata versata – può essere obbligato a pagare tale imposta in solido con il debitore.
In ambito comunitario, il tema della responsabilità solidale è trattato dalla direttiva 2006/112/Ce che, agli articoli 205 e 207, prevede espressamente la possibilità di estendere a un soggetto diverso dal debitore la responsabilità per il versamento dell’imposta sul valore aggiunto.
La Corte di giustizia Ue si è espressa più volte in merito alla compatibilità comunitaria di provvedimenti nazionali recanti regimi di responsabilità solidale per il versamento dell’Iva, con particolare riguardo al rispetto dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità.
In proposito, si segnala la sentenza 11 maggio 2006, causa C-384/04, con la quale i giudici europei, chiamati a esprimersi sulla compatibilità comunitaria di un regime nazionale di responsabilità solidale introdotto dall’Inghilterra (per certi aspetti simile al “nostro” articolo 60-bis del Dpr 633/1972), hanno chiarito che gli Stati membri possono ritenere un soggetto responsabile per l’assolvimento dell’Iva qualora questi, al momento in cui abbia effettuato l’operazione, sapesse o avesse ragionevolmente dovuto sapere che, nella catena di cessioni, l’Iva non sarebbe stata assolta. Non sussiste, in tal caso, almeno in linea di principio, alcun elemento di contrarietà rispetto ai principi ispiratori della sesta direttiva.
Sul piano sostanziale, lo schema giuridico è il seguente: qualora il cedente non provveda al versamento dell’imposta dovuta e la cessione è stata effettuata a un prezzo inferiore al valore normale, il cessionario “è obbligato in solido al pagamento della predetta imposta”. Trattasi di una presunzione relativa, in quanto il cessionario può documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta.
L’articolo 60-bis, dunque, prevede una responsabilità solidale del cessionario, per il pagamento dell’Iva non versata dal fornitore, qualora ricorrano contestualmente i seguenti presupposti:
- che l’operazione riguardi la cessione di alcuni tipi di beni, compresi nel Dm 22 dicembre 2005
- che il cedente non abbia assolto agli obblighi di versamento dell’Iva relativa alle operazioni predette
- che la cessione sia effettuata a un prezzo inferiore al valore normale.
Giurisprudenza di merito
Ritornando alla vicenda in esame, la parte ricorrente lamentava l’illegittimità della procedura attivata dall’ufficio ai sensi dell’articolo 60-bis. Nello specifico, la parte asseriva che la cartella di pagamento non fosse stata preceduta dalla notifica di un avviso di accertamento.
In merito, in via principale, i giudici ritengono legittima la procedura di cui all’articolo 60-bis, evidenziando che “la procedura relativa alla solidarietà passiva del cessionario rientra fra le operazioni di riscossione del tributo e ….. non può essere considerata valida la difesa in merito alla mancata notifica di un avviso di accertamento in quanto tale atto viene posto a carico dei debitori principali e non anche dei debitori solidali e in ogni caso il contribuente era stato posto nella condizione di conoscere, entro i termini di legge, l’esistenza della sua solidarietà per il tributo non versato dal debitore principale”.
Inoltre, in ordine all’altra eccezione sollevata dalla parte ricorrente, relativa alla violazione del diritto di difesa, i giudici evidenziano che il contribuente è stato reso edotto dell’esistenza di solidarietà passiva con la notifica della “Comunicazione di debito solidale – Invito ad adempiere”, che ha preceduto la notifica della cartella di pagamento.
Preme evidenziare che, come correttamente statuito dai giudici di appello, la citata norma è di natura riscossiva e prevede, a carico dell’obbligato solidale, l’onere di documentare sia che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili sia che le operazioni di acquisto non sono connesse al mancato pagamento dell’Iva da parte del debitore.
L’esistenza della solidarietà passiva del contribuente per le operazioni soggette a Iva comporta, in sede contenziosa, la necessità di porre in essere una diligenza professionale; tale diligenza non è assolta con la semplice affermazione di parte, occorre fornire una documentazione atta a dimostrare la sua estraneità oggettiva.
Nel caso esaminato dai giudici veneziani, il contribuente non ha fornito idonea documentazione “atta a dimostrare la sua estraneità oggettiva e la non connessione con il mancato pagamento dell’Iva da parte del debitore principale, per cui ritiene legittima l’applicazione della normativa contenuta nell’articolo 60-bis a suo carico”.
Allo stato, in assenza di pronunce della Corte di cassazione, in merito al corretto ambito di applicazione del citato articolo 60-bis – in aggiunta ai richiami della giurisprudenza comunitaria – si segnalano altre pronunce di merito che hanno confermato l’operato dell’ufficio anche in relazione all’onere probatorio.
Nello specifico, si segnala la sentenza n. 2 del 14 gennaio 2013, con la quale la Ctp di Treviso si è espressa ribadendo che non sussiste l’illegittimità della cartella per la mancata emissione di un avviso di accertamento, in considerazione del fatto che “stante il vincolo di solidarietà posto dal citato articolo a carico del cessionario, non v’era bisogno dell’emissione di altro avviso, proprio perché unica è la prestazione, unica è la causa dell’obbligazione e unico è il suo titolo” (cfr Ctr Roma 3184/2014, Ctr Molise 43/2014, Ctr Friuli-Venezia Giulia 28/2012 e Ctp Massa Carrara 367/2011).
FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Emtrate
AUTORI: Nunziata Masiello, Filomena Scarano