A dieci anni dal varo del Codice dell’Amministrazione Digitale, il passaggio dalla carta al documento informatico stenta a decollare. E i pochi innovatori sono spesso osteggiati.

Fra tre mesi compie dieci anni di vita il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. 82 del 7 marzo 2005), modificato ed integrato innumerevoli volte.

A distanza di dieci anni, possiamo dire che l’informatizzazione della PA ha fatto dei passi in avanti ma siamo ancora lontani da risultati accettabili.

Qualche esempio: art. 3 bis – Domicilio Digitale del Cittadino; art. 62 – Anpr, Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente; art. 62 ter – Ana, Anagrafe Nazionale degli Assistiti; art. 64 – Spid, Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità Digitale di cittadini e imprese, sono ancora solo belle parole che stentano a tradursi in procedure e strumenti operativi.

Ma il ritardo più eclatante a mio avviso riguarda l’applicazione dell’art. 40 e dell’art. 63, ossia l’obbligo per la PA di formare i documenti con mezzi informatici e di trasmetterli per via telematica, nonché di ricevere istanze, denunce e quant’altro dai cittadini e dalle imprese sempre con mezzi telematici.

Di questi argomenti sui quali si è scritto e si scrive tanto, vorrei dire la mia su uno in particolare, ossia suldocumento informatico firmato digitalmente, che nelle intenzioni del legislatore doveva diventare il fulcro su cui basare la rivoluzione digitale, in quanto di per sé innovativo e dirompente rispetto ad una realtà pubblica fatta quasi esclusivamente di “carta”.

I vantaggi del documento informatico rispetto al documento cartaceo sono infatti parecchi e di grande portata: risparmio di carta, toner, stampanti, tempo; possibilità di utilizzo contemporaneo in uno stesso documento di elementi multimediali; possibilità di firma anche fuori sede; incontestabilità del firmatario del documento; possibilità di firmare in pochi secondi cartelle intere di documenti; possibilità di trasmissione a distanza in tempo reale; drastica riduzione dell’ingombro spaziale; conservazione veloce e sicura; semplificazione nelle ricerche e nell’estrazione dei documenti.

Ma se la legge lo impone e se i vantaggi sono così numerosi e così importanti, perché nelle amministrazioni pubbliche si continua a formare i documenti originali, in larghissima misura, su supporto cartaceo?

Le motivazioni sono da ricercare innanzitutto nella difficoltà, in particolare da parte della dirigenza, di accettare il fatto che il documento informatico ha la stessa validità del documento cartaceo e quindi può sostituirlo in tutto e per tutto.

È un fattore psicologico, più che tecnico od organizzativo, che impedisce al dirigente, abituato per anni a trattare solo con la carta e ad apporre la sua bella firma autografa in fondo al documento rigorosamente cartaceo, di accettare che un documento virtuale, impalpabile, che può solo vedere su uno schermo, con una firma che si risolve nell’introdurre una card o una pendrive in una fessura e digitare un Pin, è valido tanto quanto l’amato documento cartaceo.

Questo conservatorismo non riguarda solo i dirigenti ma è trasversale, trova appoggi in buona parte degli organi politici, dei funzionari e del personale in genere che, anche per motivi anagrafici, non è in genere molto propenso al “nuovo”.

Un ulteriore motivo è il cattivo esempio che proviene dalle amministrazioni centrali che continuano imperterrite a formare i loro documenti originali su supporto cartaceo. Questo induce facilmente le amministrazioni periferiche e gli enti locali a giustificare i propri inadempimenti con la facile scusa “se neanche loro applicano il Cad…”.

Un altro motivo è che l’avvento dello scanner ha, di fatto, mitigato il senso di colpa dei dirigenti e dei dipendenti pubblici per il mancato adempimento dei dettami del Cad. La procedura operazionale più diffusa oggi nella PA è questa infatti: il testo del documento viene redatto col computer, poi viene materializzato stampandolo su carta e poi, dopo la firma autografa, viene de-materializzato scansionandolo, ottenendo una “copia informatica” del documento originale cartaceo. Quindi: computer, stampante, scanner, questo è la procedura. Vien da chiedersi che senso ha utilizzare tre strumenti quando, usando la firma digitale, basta il primo e, per di più, si ottiene sempre un documento originale, e non una copia con i limiti che questa comporta.

Un altro ostacolo alla diffusione del documento informatico è dato dal fatto che i pochi innovatori che si trovano all’interno delle singole amministrazioni non vengono motivati a diffondere il loro sapere, a proporre soluzioni; anzi, quando lo fanno di loro iniziativa, sono spesso osteggiati.

Che fare?

Un primo passo potrebbe essere stabilire l‘obbligo per tutte le amministrazioni di pubblicare nel link “amministrazione trasparente” presente sul loro sito web i dati sui documenti da loro formati in un anno solare, quanti in originale su supporto informatico e quanti su supporto cartaceo. Già questo, il fatto di essere monitorati, sarebbe uno stimolo a migliorarsi.

Se i ministeri poi cominciassero a dare il buon esempio formando solo documenti informatici sarebbe uno sprone per invogliare anche le altre amministrazioni a seguire sulla stessa strada.

Mi auguro veramente che per il decimo compleanno del Cad gli obiettivi in esso delineati comincino a trovare compimento.

 

 

FONTE: Corriere delle Comunicazioni (www.corrieredellecomunicazioni.it)

AUTORE: Egidio Cogo

 

 

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