Vecchie zone militari cambiano volto in Italia. Lentamente, spazi un tempo inaccessibili possono diventare luoghi di socialità. Un tema di grande attualità, perché il numero delle zone ex militari da convertire a usi civili è destinato a crescere: la Difesa ha individuato 1.830 beni in esubero, dai grandi edifici che ospitavano migliaia di militari alle casermette, i poligoni, i bunker, le aree addestrative. Di questi, 446 sono stati dismessi dal 1996 a oggi e 1.384 sono in via di dismissione. Ma si pone il problema delle risorse per la trasformazione di questo immenso patrimonio immobiliare.Da Udine a Firenze, nelle ex caserme vengono avviati progetti di housing sociale per rispondere alle nuove esigenze abitative.

A Belluno il Comune ha affidato tre edifici della “Piave” a un collettivo di cittadini che intende farne la “Casa dei beni comuni”, uno spazio per incontri, laboratori, concerti. I primi lavori partiranno in questi mesi, grazie a un finanziamento di diecimila euro, ottenuto attraverso una campagna di raccolta fondi dal basso. E ancora: in Friuli Venezia Giulia la caserma “Amadio” di Cormons viene abbattuta per farne un parco urbano, una polveriera si è trasformata in circolo ippico, mentre un vecchio bunker al confine con Austria e Slovenia è diventato una meta turistica grazie all’impegno dei volontari dell’associazione Landscapes, come avviene lungo la “European green belt”, la linea dell’ex Cortina di ferro.

Esperienze che fanno scuola.«Sono esempi di piccole e grandi storie di recupero, battaglie e progetti nati dal basso, per iniziativa di singoli amministratori locali, associazioni, imprenditori, cittadini, che potrebbero fornire spunti per il disegno di una riconversione più ampia, efficiente e coordinata delle aree militari dismesse», afferma Moreno Baccichet, architetto e ideatore del progetto Fortezza Fvg per Legambiente Friuli Venezia Giulia. È questa la regione in percentuale più interessata da servitù e beni militari in Italia, con l’1,67% della superficie totale. La sezione locale di Legambiente, col progetto Fortezza Fvg, ha voluto accendere i riflettori sulla necessità di gestire più di 400 beni demaniali inutilizzati, molto spesso in rovina.

 

BILANCIO IN RITIRATA

 

È la conseguenza della fine della leva obbligatoria, degli stravolgimenti geopolitici post guerra fredda e della spending review, visto che il solo mantenimento di un immobile costa fra i 400 e 500.000 euro all’anno. In diverse delle strutture già dismesse, la Difesa aveva investito parecchio, anche a pochi anni dall’abbandono.

Poi, una volta ceduti, se non si interviene subito gli immobili cadono in rovina nel giro di pochi mesi. Dei 3.500 beni ancora di proprietà della Difesa, con 512 caserme di un certo rilievo, l’obiettivo è conservare solo le strutture strategiche, con un calo evidente nel Nordest e uno spostamento nelle zone meno sviluppate. Beni, quelli dismessi, che potrebbero diventare un’opportunità per il territorio, nel contenere il consumo di suolo, in linea con le indicazioni europee per lo stop entro il 2050, e in funzione turistica, ricreativa, economica e di valorizzazione ambientale.

 

RICONVERSIONE URBANA

 

Ad agosto il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha siglato un protocollo d’intesa con i sindaci di Milano, Torino e Roma per la cessione ai Comuni di un totale di tredici strutture delle Forze armate: un milione di metri quadrati complessivi che dovranno esserericonvertiti a usi civili entro dodici mesi.

Ad aprile il ministro aveva firmato un accordo simile col sindaco di Firenze e aveva istituito una “task force” per velocizzare le dismissioni dichiarando: «Sono beni che da troppo tempo i cittadini vedono non utilizzati nelle loro città e che invece possono essere fonte di lavoro, spazi di vivibilità, di ricchezza e di crescita per il paese». Ma c’è una regione dove non si va in questa direzione. La Sardegna, con 35mila ettari, è la prima in Italia per superficie destinata a uso militare, con oltre il 60% delle servitù nazionali. Il poligono del Salto di Quirra occupa ben 15mila ettari e viene utilizzato anche per il lancio di missili. Seguono Capo Teulada, con 5.700 ettari, e i tremila ettari di Capo Frasca.

Qui all’inizio di settembre è scoppiato un vasto incendio durante un’esercitazione, e si è svolto, sempre a settembre, un corteo di migliaia di cittadini che contestano l’asservimento militare dell’isola.

 

SARDEGNA OCCUPATA

 

Complessivamente sono 80 i chilometri di costa sottratti al turismo e negli splendidi mari sardi si trovano bombe esplose – e pure inesplose – assieme a vari rifiuti bellici. A giugno, al termine della seconda Conferenza nazionale sulle servitù militari, il presidente della Regione Francesco Pigliaru si è rifiutato di firmare il documento d’intenti con il ministero della Difesa e dovrà essere attivato un tavolo di concertazione. Hanno siglato l’accordo, invece, Puglia e Friuli Venezia Giulia.

«Se oggi Pigliaru ha assunto questa posizione è anche risultato dell’impegno che portiamo avanti da anni come associazione, facendo conoscere all’opinione pubblica la gravità della situazione d’inquinamento ambientale e la pericolosità per la salute delle persone – afferma Vincenzo Tiana, presidente di Legambiente Sardegna – Da mezzo secolo la nostra terra è oggetto di bombardamenti. Oggi chiediamo una riduzione immediata delle attività militari e la progressiva dismissione e bonifica dei territori contaminati».

Già nel 2012, nella “Relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro” redatta dal senatore Gian Piero Scanu, si chiedeva la chiusura delle aree di tiro di Capo Teulada e Capo Frasca e la riconversione di quella di Salto di Quirra, previa bonifica e risanamento ambientale. Si mettevano in evidenza la presenza di metalli pesanti, rifiuti militari a terra e a mare, sostanze tossiche in grandi quantitativi, rifiuti pericolosi tra cui amianto, batterie e materiale elettronico. Particolarmente grave risultava la concentrazione di Torio riscontrata su 12 campioni di ossa di pastori che pascolavano le greggi presso il poligono di Quirra. Ma a questi dati non sono ancora seguite azioni efficaci.

Temi al centro del documento di analisi e proposte in materia di servitù militari presentato nei mesi scorsi da Legambiente alla commissione Difesa della Camera dei deputati: sul tappeto resta, poi, il problema dei siti contaminati dai vecchi ordigni risalenti alla Seconda guerra mondiale, oltre 30mila inabissati nell’Adriatico meridionale, e le sostanze inquinanti che derivano dalla pesante eredità bellica fascista, come nella “Chemical city”, in provincia di Viterbo. Insomma, il passato bellico, lontano e recente, lascia un’eredità pesante sul bilancio dello Stato e sull’ambiente.

 

 

 

FONTE: La Nuova Ecologia – Newtork di Legambiente

 

AUTORE: Elisa Cozzarini

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