Premesse digitali: Fantozzi, la multidisciplinarietà e la PA italiana. Ultimamente, guardando con un certo avvilito scoramento cosa succede intorno agli argomenti dell’Agenda Digitale Italiana, vorrei cedere all’istinto e citare Fantozzi: “A me questa Agenda Digitale sembra una c…a pazzesca!”. Eppure c’è chi autorevolmente sostiene che qualcosa si stia muovendo e io lo spero sinceramente, anche se spesso mi sembra che in questo campo manchi del tutto la consapevolezza prospettica mentre oggi più che mai sarebbe indispensabile promuovere una strategia che guardi davvero al futuro, investendo nella formazione di professionalità realmente multidisciplinari, piuttosto che rimanere orientati alle nostalgiche certezze del passato.
L’avvertenza iniziale per chi avrà la pazienza (e spero il gusto) di leggere il seguito di questo articolo è questa: “L’utilizzo dei contenuti può causare effetti desiderati come la fiducia nelle nuove generazioni, la collaborazione e la contaminazione tra campi applicativi apparentemente distanti, la crescita di un pensiero critico”[1]. Provo a fare qualche esempio di ciò che sostengo.
Il Pec-cato originale
Abbiamo un intero sistema paese orientato sulla centralità della PEC e quindi basato sulla (errata) convinzione che i documenti informatici si debbano trasmettere, quando, da ormai più di 10 anni, Jeremy Rifkin ci insegna che siamo entrati nell’Era dell’Accesso e che i documenti (anzi gli oggetti informatici fatti di informazioni, dati e documenti) vanno condivisi e resi accessibili a PA, cittadini e Imprese.
Occorre, quindi, presidiare il proprio patrimonio informativo e documentale, rendendolo accessibile a chi è autorizzato, mentre è inutile, dispendioso e spesso pericoloso “trasmetterlo” via PEC.
La PEC è nata già vecchia come sistema di trasmissione documentale e noi siamo adesso nella palude delle sentenze che ce lo ricordano in modo imbarazzante, in un groviglio di eccezioni a principi generali poco applicabili al mondo digitale.
Questo documento informatico di chi è?
Blateriamo di decertificazione e open data e ancora non abbiamo risolto il problema di tutelare in modo serio il patrimonio informativo e documentale delle PA, garantendone l’interoperabilità e l’accessibilità e preservandone sempre l’indispensabile autenticità. Del resto, come lo si può fare se mancano all’appello proprio le regole tecniche previste dall’articolo 51 del CAD attraverso le quali dovrebbero essere individuate “le modalità che garantiscono l’esattezza, la disponibilità, l’accessibilità, l’integrità e la riservatezza dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture”?
Ci riempiamo troppo spesso la bocca di digitalizzazione documentale quando ancora non sono in vigore le regole tecniche sulla formazione, trasmissione, conservazione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici – che attendiamo da più di tre anni a questa parte -, le quali continuano a essere pubblicate in formato bozza sul sito di AGID (e spesso richiamate in altre normative come se fossero in vigore!).
La verità è che si procede ancora oggi a tentoni, nella completa ignoranza delle nuove esigenze dettate dagli archivi digitali (che devono ovviamente continuare a presidiare il concetto fondamentale di fede pubblica da cui dipende la stessa nostra democrazia[2]) e senza neppure provare a immaginare come sarà realmente il nostro futuro digitale. E invece dovremmo mettere in pratica il prezioso consiglio di Aldo Moro che ci sollecitava nell’esercizio delle nostre azioni a essere indipendenti e a guardare non al domani, ma al dopodomani[3].
Lo stiamo facendo? Possiamo davvero dichiarare di aver avviato i nostri passi verso il dopodomani digitale?
L’incompiutezza digitale
Il sito ufficiale dell’Agenda Digitale Italiana risulta “under construction”, mentre è ancora on line questo sito (del 2012) che è già vecchissimo, eppure descrive ufficialmente la struttura dell’Agenda ed è stato realizzato dalla sua “Cabina di Regia”: perché non riusciamo a dematerializzare neppure ciò che è digitale?
Non si può che dar ragione a illuminati archivisti come Gianni Penzo Doria quando sostengono che la vera dematerializzazione per una PA è e dovrebbe essere lo scarto… e noi invece nella PA digitale accumuliamo informazioni, senza più essere in grado di controllarle e presidiarle. L’importante è che si faccia “digitalizzazione” e si comunichi che si è cominciato a farla.
Poi possiamo anche lasciare il lavoro a metà, tanto già c’è un altro Codice dell’amministrazione digitale da realizzare, in un vortice impazzito di normative che si susseguono, abrogandosi tra loro e contraddicendosi!
Impazzimento informatico
Ultimamente si è aggiunta a tutto questo la Carta dei diritti di internet, che l’Europa ci invidierà e della quale potremo vantarci per i prossimi mesi. Intanto, nella realtà, i cittadini e i professionisti italiani continueranno a combattere ogni giorno con siti web inaccessibili, con PEC che non garantiscono, con fascicoli informatici non firmati; problemi ai quali si tenterà di ovviare con logiche pressapochiste e inverosimili, come quando oggi si chiede agli avvocati nel PCT di attestare l’autenticità di atti estratti dal fascicolo processuale telematico[4], pur se non sono sottoscritti digitalmente dal giudice o dal cancelliere! Come fa un avvocato ad autenticare un atto altrui, tratto da un sistema informativo[5], se non è suo e non è neppure sottoscritto da chi lo ha formato o almeno da chi lo ha fascicolato, archiviandolo in modo adeguato? È una pretesa del tutto irrazionale e la sensazione è che, pur di semplificare, stiamo capovolgendo ogni logica giuridica, facendo percorrere al documento informatico strade impossibili anche nella logica del documento cartaceo.
Rotolando digitalmente
Così si rischia di fare andare tutto a rotoli ed è indispensabile cambiare davvero direzione e farlo in fretta. E per cambiare direzione dobbiamo innanzitutto avere l’umiltà di aprirci tutti al confronto, far dialogare settori diversi, guardare al futuro con logiche multidisciplinari, che facciano sentire tutti i professionisti coinvolti e partecipi di un necessario cambiamento, aprendo la strada a nuove professionalità indispensabili per poggiare su fondamenta solide il cammino digitale, come i manager della digitalizzazione documentale.
Va capovolta la logica semplicistica che ha fatto affondare finora i nostri passi in una melma maleodorante di norme inattuate o frenate da logiche poco aderenti alle nuove esigenze di informazioni, documenti e archivi digitali. E soprattutto dobbiamo aprirci davvero al futuro, osservando con attenzione le nuove logiche dei cittadini nativi digitali e sporcandoci le mani di cambiamento.
Oggi le nostre PA dovrebbero essere già da tempo “open”, consentendo il completamento di istanze e dichiarazioni direttamente on line, con libero accesso alle informazioni, ai documenti e ai procedimenti avviati, e invece siamo invischiati nell’immondizia di siti vecchi e nella complessità a volte inestricabile di mezzi di trasmissione affidati a inutili postini.
L’anno informatico che verrà
Tutto questo accade mentre dovremmo avere, invece, delle PA digitali capaci di orientare i nostri passi verso ciò che accadrà domani, anzi, addirittura dopodomani, quando l’Internet of things avrà un impatto sulle nostre vite di molto superiore a quello che ha avuto finora lo stesso web. Le ultime ricerche in materia parlano, infatti, della possibile presenza entro l’anno 2020 di oltre venticinque miliardi di dispositivi intelligenti che saranno connessi tra loro e comunicheranno con banche dati contenenti miliardi di informazioni, analizzate e processate in tempo reale.
Potremo avere, con gli oggetti che ci circondano, un’interazione finora impensabile. Con l’Internet delle cose cadranno i confini tra mondo fisico e mondo digitale, le potenzialità applicative saranno pressoché illimitate e porteranno a profondi cambiamenti nel tessuto sociale ed economico di tutti i Paesi. La sfida più grande per tutte le PA è quindi stare al passo e lavorare su standard tecnologici che siano davvero sicuri e affidabili: i big data, ad esempio, saranno l’oro nero del prossimo millennio e come ogni preziosa risorsa vanno tutelati da abusi, sprechi e sfruttamento senza limiti.
Le loro condizioni d’utilizzo dovrebbero essere dettate da una normativa moderna e adeguata, che ponga l’attenzione sulla privacy degli utenti, che dia criteri certi e riconosciuti per la gestione in sicurezza di archivi informatici (anche in cloud), che sia in grado di garantire procedure interoperabili e certificate. Le nuove frontiere del diritto per una PA dovranno passare da privacy, gestione dei patrimoni informativi e cristallizzazione di prove informatiche relative non solo a documenti e contratti, ma anche ad accadimenti informatici che spesso genereranno comportamenti sempre più slegati dall’azione diretta di persone fisiche in grado di controllarli direttamente.
Lo stiamo immaginando questo futuro? Davvero pensiamo di fare abbastanza, di poterci adeguare ad esso quando ancora affidiamo i nostri documenti alla PEC?
La vera digitalizzazione
Purtroppo oggi c’è ancora molto da dematerializzare, e non mi riferisco tanto ai documenti quanto alle azioni burocratiche e ai modelli “disorganizzativi” disegnati dalle ultime normative delle quali, nonostante tutto, andiamo fieri.
Proviamo davvero a ripartire, magari proprio dalle nuove professioni da costruire. E magari anche dando fiducia e reali poteri ad AgID, in modo da non sentir parlare di inutili cabine di regia e nuove commissioni altisonanti (e inattive), ma di organismi davvero autorevoli che abbiano capacità reale di azione e cambiamento.
E al neodirettore, Alessandra Poggiani, alla quale voglio comunque dare piena fiducia e appoggio nella delicata azione che ha davanti, chiedo di puntare davvero sul coinvolgimento, sulla multidisciplinarietà e sulla coalescenza necessaria tra professionalità diverse, perché solo così la digitalizzazione potrà basarsi su validi principi giuridici, archivistici e tecnico-informatici.
Ma bisogna agire in fretta se vogliamo che il radioso orizzonte del futuro digitale non rimanga solo un bello spettacolo che ammiriamo da lontano ma divenga realtà quotidiana e concreta per tutti noi.
Note:
[1] Cit. di Maurizio Montalti, presentazione opere esposte presso il MAXXI di Roma – Mostra «tra arte e architettura» – 2014.
[2] The National Archives is not a dusty hoard of ancient history. It is a public trust on which our democracy depends. It enables people to inspect for themselves the record of what government has done (cit. da Society of American Archivist – http://www2.archivists.org/glossary/terms/n/national-archives-and-record…).
[3] Cit. tratta volume ‘Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia’ a cura di Michele Di Sivo, pubblicato dall’Archivio di Stato di Roma.
[4] Ecco qui di seguito l’incredibile testo dell’art. dell’art. 16 bis comma 9 bis L.179/2012, relativo ai (nuovi) poteri di “certificazione” conferiti agli avvocati (e non solo a loro): “9-bis. Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere. Il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al periodo precedente ed attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico. Le copie analogiche ed informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico e munite dell’attestazione di conformità a norma del presente comma, equivalgono all’originale. Il duplicato informatico di un documento informatico deve essere prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all’ordine del giudice”.
[5] Il Ministero della Giustizia ha finalmente nominato un Responsabile della Conservazione per il PCT? È stato realizzato un adeguato Sistema di Conservazione per i documenti e i fascicoli informatici?
FONTE: Forum PA
AUTORE: Andrea Lisi