L’obbiettivo della ripubblicizzazione dei servizi idrici si è arenato in un vicolo cieco. A tre anni dal referendum solo Napoli ha trasformato il servizio da società per azioni (SPA) in house ad azienda speciale.
I successi del movimento stanno nell’aver fermato la Multiutility del Nord, respinto a Cremona il tentativo di far entrare i privati nella gestione in house, impedito al Comune di Roma di vendere altre quote di ACEA, nello scorporo dell’acqua a Trento e -si spera- a Reggio Emilia, e nell’aver aperto in Toscana la discussione sullo scorporo dell’acqua dalle aziende partecipate da ACEA.
L’ostilità dei governi e l’attacco allo stesso referendum erano scontati.Ma ciò non spiega il vicolo cieco in cui si è arenato il movimento. Credo sia tempo di rivedere criticamente non il contenuto della ripubblicizzazione in sé, ma la strategia con la quale è stato perseguito, improntata al rigido spartiacque della coerenza al vincolo quasi ideologico dell’eliminazione delle SPA in house. Prescindendo dalla lettura della realtà, dai rapporti di forza, dalla capacità di farsi capire dalla gente, dai limiti stessi presenti nel risultato referendario che, al di la della volontà degli elettori, di certo fermava l’obbligatorietà all’ingresso dei privati.
Non c’è stato un percorso, dove accumulare forze, con tappe e obbiettivi intermedi da cui ripartire con le alleanze possibili.
Anzi, alla rigidità è stata aggiunta una campagna sulla “obbedienza civile” con relativa autoriduzione delle tariffe, che non poteva che arenarsi.
Ma in questa visione, oggettivamente, tutti i Comuni, tutti i sindaci e tutte le aziende in house non potevano che diventare avversari da attaccare. E il movimento si è connotato come parte di un fronte di giuste “resistenze” ( No Tav, No Mose, No Expo, No Dal Molin, No al gassificatore, No alla precarietà, No agli sgomberi delle case, etc) tenuto assieme dall’involucro politico/ideologico “del fronte antagonista dei beni comuni”.
Uno stretto recinto, nel quale le ragioni dell’acqua, la novità della sua cultura inclusiva, si sono perse assieme all’anima universale, il linguaggio popolare, la capacità di dare passione a tanti e costruire ampie adesioni e alleanze.
Da qui l’impantanamento tra estremismi e interpretazioni giuridiche, localismi, attività sindacali sulla tariffa, ricorsi ai tribunali.
Facciamo una pausa di riflessione per ripartire.
Proviamo a pensare a quei Comuni e (perché no) anche a quelle aziende in house, che resistono all’ingresso dei privati o quelle che vorrebbero disfarsi dei privati, come a nostri interlocutori e possibili alleati.
Perché c’è una relazione profonda tra la volontà di privatizzare i servizi pubblici locali e quella di svuotare d’ogni ruolo e credibilità i Comuni. Una consapevolezza, dovrebbe perciò rafforza l’altra e l’alleanza non è solo una opportunità, ma una strategia politica da perseguire.
Oggi tutte le istituzioni sono sotto attacco e i Comuni sono la prima linea. Vincoli economici, soppressione/privatizzazione, Sblocca-Italia, ne sono l’espressione.
E in prima linea lo sono nel reggere l’urto della reazione dei cittadini per la decadenza dei servizi, del territorio, etc.
Ma ormai la sottrazione di sovranità alle istituzioni ad ogni livello è la politica del nostro tempo. Dalla troika al trattato USA-UE, si va prefigurando un nuovo ordine mondiale che privatizza la politica e la trasferisce alle sedi finanziarie e ai tribunali arbitrari delle Multinazionali.
Un esempio sono gli organismi extra-istituzionali sull’acqua.
Le multinazionali sono diventate soggetti decisionali e attori ufficiali della “governance”, termine che oggi sostituisce i “Governi politici e rappresentativi.”
Il Consiglio mondiale dell’acqua, partecipato dall’ONU, è presieduto da SUEZ e VEOLIA (a loro volta controllate da Goldman Sachs).
Il CEO Water Mandate, delegato dall’ONU, con più di 100 aziende multinazionali di tutti i comparti produttivi, protese ad assicurare acqua alle loro produzioni.
Da una parte lo svuotamento delle istituzioni e dall’altra la mercificazione di tutta l’acqua, il suo prezzo, il full recovery cost, la Borsa dell’acqua e la compra vendita dei diritti allo sfruttamento.
Negli USA-Canada-Cile-Australia, la compravendita dei diritti allo sfruttamento dell’acqua è già operante e per darne una idea il magnate texano Boone Pickens ha comprato un lago in Alaska e lo rivende all’Arabia Saudita e alla Cina.
In Cile, l’acqua dei fiumi è lottizzata e venduta all’asta e la concessione ha la priorità sui bisogni essenziali degli abitanti del luogo. Il “Water Grabbing” è la realtà di tutta l’Africa.
Nella Detroit della crisi dell’auto, 90mila persone sono private dall’accesso all’acqua perché indigenti.
Nell’ambito di EXPO, è la multinazionale Barilla a lanciare un Protocollo mondiale sull’alimentazione, ed è la politica e l’associazionismo ad aderire, mentre a Nestlé viene delegata la piazza tematica dell’acqua, escludendo l’acqua pubblica di Milano.
Tutto il contesto ci vede correre verso il suicidio idrico.
15 milioni di persone all’anno si devono spostare nel mondo solo per effetto di scelte tecnologiche inerenti all’acqua.
Alla domanda di acqua del 2030, verrà a mancare il 40% della risorsa.
Il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città e la metà degli abitanti dei grandi centri urbani vivrà in baraccopoli, con problemi d’acqua potabile, servizi igienici, smaltimento dei rifiuti e reti energetiche.
Una realtà che scarica su Comuni e aree metropolitane i drammatici problemi di questo secolo, al contempo privandoli di ruolo, di poteri e di risorse.
La corruzione e l’impotenza screditano la politica e le istituzioni, dall’ONU in giù, fino ai Comuni, e cresce nei movimenti l’idea di combatterle, di metterle tutte tra i “nemici”. Ma il nostro compito è altro. È quello di riconquistarle, in quanto istituzioni, alla politica, al bene pubblico, alla fiscalità generale per le opere e i servizi di interesse generale. Difendendone il ruolo con la stessa volontà con la quale difendiamo la Costituzione.
Ripartire dall’acqua con i Comuni che vogliono ritrovare l’orgoglio del loro ruolo, la volontà di “disobbedire” e non solo sui diritti civili.
Per mettere in sicurezza l’acqua potabile e i servizi pubblici come la raccolta dei rifiuti.
Per affermare il diritto all’acqua potabile e ai servizi sanitari.
Per costruire una rete di Città dell’acqua (water policy), ma anche di imprese pubbliche e in house, che si muovano con in testa la visione di quale città progettare. Non con l’anarchia dei costruttori, ma con i cittadini, il territorio agricolo e l’acqua circostante. Con i contadini veri con i loro prodotti (food policy). Una rete che in Italia e in Europa sia in grado di fare politica (non vincere sul mercato delle utilities). Soggetti, capaci di conquistare ai governi leggi e direttive.
Per rimuovere assieme gli ostacoli alla riappropriazione delle quote delle grandi società per azioni -A2A, ACEA, IREN, HERA- in mano ai privati.
Per promuovere incontri tra sindaci di tutto il mondo, affinché l’ONU concretizzi quella che è stata una grande vittoria del movimento: la risoluzione del 2010 con la quale l’acqua potabile e i servizi igienici, sono diventati un diritto umano imprescrittibile.
Per costituzionalizzare il diritto all’acqua.
Per Protocolli, Trattati e organismi internazionali garanti del diritto all’acqua e non del suo commercio, che fissino regole, principi, quantità e ne sanzionino le violazioni.
Per impedire la formazione di grandi multi-utility nazionali e quotate in Borsa.
Per dotarsi di una Carta dell’acqua, nella quale gli aderenti si impegnano a:
– promuovere l’acqua pubblica del proprio acquedotto;
– promuovere nelle scuole la cultura dell’acqua;
– fuoriuscire dalla logica della tariffa, garantendo il diritto ai 50 litri al giorno per ogni persona e il risparmio con una tariffa progressiva;
– non togliere l’acqua a nessun cittadino o immigrato, Rom o baraccato;
– dare vita a un fondo con le imprese, per progetti nel Sud del mondo attraverso partenariati pubblico/pubblico.
Il movimento dell’acqua ha indicato a tutti un qualcosa di straordinariamente nuovo.
Qualcosa da cui partire non solo per realizzare gli obiettivi in sé, ma per riprendere a ragionare sul nostro tempo, sulla necessità di una nuova visione della politica e dei movimenti con al centro i diritti universali.
L’abbozzo per trovare la strada perduta da una politica agonizzante e per chiamarla a salvarsi e a salvare la democrazia.
FONTE: Altreconomia (www.altreconomia.it)
AUTORE: Emilio Molinari