Le novità annunciate sei mesi fa dal Governo, sui libri digitali nelle scuole, si sono rivelate un flop: gli insegnanti hanno ripiegato su soluzioni conservative, tradizionali. Il motivo è che non basta annunciare gli investimenti: bisogna farli. E Renzi non li ha fatti.
Vediamo perché: proviamo ad analizzare se il provvedimento Giannini, sei mesi dopo, a “adozioni” avvenute e ad anno scolastico avviato, ha prodotto gli effetti desiderati. Si tratta di un tema molto rilevante per la digitalizzazione della scuola italiana.
1. Le fatiche della libertà: meglio l’adozione obbligatoria.
A una prima analisi delle impressioni di insegnati ed editori scolastici, quello che pare emergere in maniera chiara è che il fatto pochissime scuole si sono avvalse della possibilità di non adottare libri di testo, o di renderne opzionale l’adozione e meno ancora hanno adottato “Libri digitali” o sarebbe meglio dire “Basi dati digitali” per l’apprendimento. La stragrande maggioranza degli insegnati ha mantenuto il “vecchio sistema” cartaceo gutemberghiano e nelle liste di adozione delle scuole, consegnate ai genitori, figurano, ancora tutti i libri di tutte le materie come acquisto “obbligatorio” per i genitori. Il risultato medio di queste scelte è che sia nella scuola primaria sia nelle scuole superiori di primo e secondo grado non sono state rese opzionali le adozioni e i provvedimenti di Giannini non sono stati applicati. Gli insegnanti non hanno, cioè, evitato di adottare i libri di testo anche quando questi, com’è assolutamente evidente nel caso delle Antologie di Italiano, delle Grammatiche e dei volumi di Storia dell’arte, Educazione tecnica, ma anche delle altre discipline che sono drammaticamente sovradimensionati rispetto a quanto possa realmente studiare anche lo studente più zelante, durante un anno scolastico. Inoltre insegnati e dirigenti non hanno minimamente pensato di poter sostituire una parte dei contenuti con contenuti web o materiale digitale prodotto dalla scuola. Il combinato disposto di questi fattori mette ad esempio, un genitore di un ragazzino delle superiori di primo grado, nella condizione di dovere acquistare circa 260 euro di testi scolastici cartacei. Questo è spesso un falso problema, più volte sopravalutato o usato in maniera demagogica: lo smartphone che regaliamo ai nostri figli e il suo abbonamento costa circa lo stesso in un anno. Il vero problema è che gli studenti sono costretti a trascinare tra scuola e casa cartelle o zaini che raggiungono nel caso di mio figlio circa quindici chili e che potrebbero tranquillamente essere sostituiti da una password e un tablet. Poi a scuola non esistono, almeno in quella di mio figlio, sotto banchi o armadietti – ci sono solo nei telefilm americani – e quindi è necessario sottoporre i pargoli a sedute intensive di potenziamento dei muscoli dorsali …. Ora mi si dirà ma esistono i Libri digitali, che possono risolvere il problema, ma come vedremo le scuole senza Internet e gli insegnanti demotivati da troppi “annunci” non li adottano.
2. Il frutto avvelenato delle tre I (incurie).
Prima di insegnare all’Università ho lavorato undici anni in una casa editrice scolastica e molti dei miei amici ancora vi lavorano, in redazioni sempre più deserte a causa della crisi. Quello che emerge dalle discussioni che ho avuto con loro e dal loro osservatorio privilegiato è che la maggior parte dei “Libri digitali” – i primi, in vero, realmente tali – che i grandi editori hanno proposto per l’anno scolastico 2014/2015 come “novità” sono andati invenduti e non sono stati adottati (ho amici sia in Pearson sia in Mondadori sia in Rizzoli). Le basi dati di contenuti digitali e la dematerializzazione spaventano gli insegnanti. Le loro scelte si sono orientate o sulla conferma dei vecchi “libri misti” con CD o PDF on-line davvero di bassa qualità. Nel caso, poi, delle poche “novità” adottate hanno optato per testi molto tradizionali e “rassicuranti” e non su quelli realmente innovativi, i “Libri digitali” appunto. Per questo se de jure i “libri digitali” potrebbero rappresentare una soluzione al problema del costo dei libri ma soprattutto a quello dello spreco di carta e di energie dei nostri figli per trasportare cartelle insostenibili, de facto questo non succede. Allo stesso modo è ampiamente inattuata o attuata al minimo delle possibilità la tanto invocata dematerializzazione della burocrazia scolastica. La scuola italiana ha cioè, finalmente, una “normativa europea” rispetto alla digitalizzazione dei contenuti didattici e alla “dematerializzazione” delle pratiche amministrative ma nei fatti nessuno la attua, ovviamente salvo virtuose eccezioni. Ora in questo processo le responsabilità sono equamente suddivise tra il Ministero, gli editori, e con più attenuanti gli insegnati.
a. Le responsabilità del Ministero. Non sostiene con adeguati finanziamenti in infrastrutture digitali e formazione gli “annunci” di innovazione e le nuove norme, anche quelle future contenute ne “La buona scuola”. Non si può, infatti, avviare, come sta facendo il Ministero, un progetto di una formazione degli insegnanti sul Coding, quando la maggior parte delle aule delle scuole non hanno accesso a Internet e gli insegnanti non sono ancora stati formati ad usare il “registro elettronico” o gli “ambienti virtuali di apprendimento”. Inoltre non si posso bloccare ancora (sono fermi da cinque anni) gli scatti di stipendio degli insegnati, già con i redditi più bassi d’Europa, e pensare che si impegnino poi appassionatamente per la “Buona scuola”.
b. Le responsabilità degli editori scolastici. Non hanno in questi dieci anni mai realizzato gli investimenti necessari alla digitalizzazione dei loro corsi e hanno creduto per molto tempo di evitare il problema adottando la “strategia dello struzzo”. Se gli editori non promuovono i contenuti digitali, gli insegnanti non li adottano e anche le reti di vendita degli editori penso abbiano qualche difficoltà a promuovere basi dati digitali in scuole prive di Internet e infrastrutture. Inoltre gli insegnanti, non si fidano più delle Case editrici, che per lungo tempo li hanno delusi proponendo loro come espansione digitale dei volumi cartacei impresentabili pdf non scaricabili e con un solo un livello di zoom (è così per due libri su tre di quelli che usa mio figlio, in alcuni non esiste neppure l’espansione Web). Si tratta di materiali pochissimo interattivi e davvero inutili…. Sempre gli editori “vendono” i nuovi “Libri digitali”, anche quelli di buona qualità, allo stesso prezzo di quelli analogici, quando negli USA e nel Regno Unito il risparmio per le scuole e le famiglie, ove scelgano la versione digitale degli Handbook, si aggira intorno al 60%! Lo dimostra CourseSmart – il market place di contenuti digitali dell’Associazione degli editori USA e anglosassoni (www.coursesmart.com ).
c. Le responsabilità degli insegnati. Gli insegnanti di fronte alle opportunità offerte dalla nuova normativa in una cospicua maggioranza hanno ancora paura del digitale e preferiscono farsi sedurre dalle voci dei “tecno catastrofiste” di Casati e Carr – per non parlate di Spitzer – (http://www.agendadigitale.eu/competenze-digitali/1002_dilaga-la-tecnofobia-in-italia-allarme-rosso.htm), sulla presunta inefficacia dei contenuti digitali per l’apprendimento, piuttosto che comprendere come il digitale nella sia oramai una necessità improrogabile e non un opzione. Non è nemmeno “credibile” per un insegnante o un dirigente scolastico straniero in visita in Italia, il fatto che solo il 10% delle classi italiane abbia Internet, pensano a uno scherzo … Ovviamente esistono anche insegnanti e dirigenti “innovatori” ma sono una minoranza che non è mai stata riconosciuta né dal punto di vista della carriera – che non esiste per gli insegnati – né dal punto di vista economico: il che aiuterebbe la motivazione.
3. I nuovi contenuti digitali anche prodotti dagli utenti richiedono fatica e impegno che va remunerato.
La nuova normativa sui contenuti digitali sostiene la possibilità da parte degli insegnanti di avviare la produzione di contenuti digitali all’interno della scuola che dopo un’opportuna validazione del Ministero potrebbero divenire un patrimonio condiviso di tutta la scuola italiana. Il punto di vista del Ministero è davvero “utopico”. Solo pochi insegnanti molto motivati sono disposti e sono in grado di progettare prototipi di contenuti di qualità, ma nessuno di loro è in grado di “industrializzare” la produzione e men che meno è in grado il Ministero di validare in forma efficiente i contenuti stessi. Del resto perché gli insegnanti dovrebbero prestare lavoro volontario al di fuori del loro orario di lavoro per produrre contenuti che se realizzassero per un operatore privato (come accadeva e accade nel caso dei libri) garantirebbero loro un equo compenso? I programmatori dell’“open source” mettono a disposizione della comunità di riferimento gratuitamente il loro lavoro perché questo fa crescere la loro reputazione e quindi il “valore” economico delle loro consulenze, oltre che accrescere le loro competenze. Perché per gli insegnati non dovrebbe valere lo stesso principio? Non accade perché oggi gli editori pagano molto meno i contenuti digitale per l’educational rispetto ai testi tradizionali e il Ministero vuole che producano contenuti gratuitamente !
4. Conclusioni
Ecco dunque qual è il patto scellerato tra le diverse componenti della scuola. Il circuito vizioso può essere descritto nel modo seguente. Il Ministero promulga normative adeguate e “annuncia” incentivi per il merito ma nei fatti taglia gli stipendi e non finanzia le infrastrutture digitali. Gli insegnanti frustrati si arroccano su posizioni difensive e rifiutano un’innovazione difficile da praticare. Così anche se i grandi editori – ad esempio Pearson, Mondadori, e RCS e Zanichelli – hanno adeguato le “novità” editoriali agli standard ministeriali dei nuovi contenuti digitali, quest’anno gli insegnanti hanno ripiegato anche nelle nuove adozioni su “soluzioni conservative” e hanno snobbato le nuove proposte degli editori e gli annunci del Ministero. Si esce da questa empasse solo investendo nella scuola: non annunciando investimenti. Devono investire tutti i contraenti del patto scellerato. Il Ministero riformando la carriera degli insegnanti e premiando il merito. Gli editori investendo di più nell’innovazione sui contenuti e abbassando i prezzi. Gli insegnanti provando a sperimentare i nuovi contenuti digitali, adottandoli e seguendo l’esempio delle poche, ma rilevanti esperienze di scuole innovative presenti sul territorio nazionale. C’è molto da fare … . Good nigth and Good luck Mister Renzi.
FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)
AUTORE: Paolo Ferri