Varie esclusioni, clausole e la necessaria attesa dei decreti attuativi limitano la novità positiva del decreto nei confronti della banda larga. Ecco un’analisi dettagliata

Nel settore delle telecomunicazioni siamo ormai abituati alla legislazione a lasagna, con decreti legge che integrano e/o emendano precedenti norme, nel continuo inseguimento dell’evoluzione tecnologica o di nuovi scenari di mercato.

Non fa, quindi, eccezione l’ultimo decreto Sblocca Italia, che all’articolo 6 introduce una serie di novità e semplificazioni del quadro normativo in vigore.

La prima parte dell’articolato presenta un’interessante innovazione (credito di imposta al 50% degli investimenti), che verrà “sperimentata fino a dicembre 2015”. Come tale sarà un banco di prova interessante sia per la messa a punto della strumentazione prevista che per il chiarimento di una serie di aspetti che presentano inevitabilmente degli elementi di possibile ambiguità.

Si parte con due “esclusioni”, visto che il credito di imposta si applica per gli interventi che non sono oggetto di contributi a fondo perduto e per interventi già approvati entro il 31 luglio 2014. Mentre il primo aspetto è di facile applicazione, il secondo presenta un maggiore livello di arbitrarietà e si potrà prestare a qualche discussione, a maggior ragione se si somma al fatto che le aree interessate non devono essere oggetto di prevedibili investimenti da parte di privati nei prossimi due anni dall’entrata in vigore del decreto.

Inoltre, il contributo richiede di superare delle soglie minime di investimento a seconda della dimensione dei comuni e, aspetto sicuramente innovativo, il completamento in tempi certi e predefiniti. Evidenza pubblica degli interventi e impegno di apertura delle infrastrutture a terzi sono atti dovuti nel momento in cui vengono messi in campo risorse pubbliche.

Qualche ulteriore nodo da districare si intuisce facilmente nel punto 7-quater, frase di otto righeche esclude le aree in cui sono già presenti infrastrutture idonee e operi almeno un operatore,  limitando, inoltre, i finanziamenti ad un unico beneficiario. L’associazione dell’esistenza di infrastrutture con la presenza di un operatore può apparire un po’ barocca, mentre l’unico beneficiario risponde all’esigenza di ottimizzare l’impatto, sancendo di fatto l’esistenza di un monopolio naturale.

Di grande importanza è il fronte che si apre con la seconda parte del 7-quater, vale a dire l’applicabilità della misura alle infrastrutture abilitanti prestazioni superiori o uguali ai 100 Mbps. La specifica della disponibilità 24 ore su 24 è sicuramente originale, nel tentativo di escludere soluzioni che raggiungono tale  soglia solo velocità di picco. La misura viene riservata ai comuni con più di 50.000 abitanti (si poteva, forse, omettere) senza previsioni di questi sviluppi prestazionali nei prossimi tre anni (l’onere della prova sarà complesso).

Seguono poi una serie di emendamenti a precedenti testi  nel disperato tentativo di semplificare e snellire le procedure amministrative per la realizzazione delle opere infrastrutturali. Spicca l’apertura alla posa di cavi o tubi aerei, che rappresenta un tema destinato a molte discussioni e difficoltà attuative.  La partita non è ancora vinta e seguiranno, inevitabilmente, nuovi interventi. Per esserne certi basta leggere il punto 5 e decifrare (andando a scorrere la legge del 17 dicembre 2012, n.221) perché alle parole “pertinenze esterne” venga aggiunto “con dimensioni abitabili”.

Fino a qui tutto, abbastanza, chiaro, ma si erge lo scoglio dei fatidici trenta giorni per la definizione delle condizioni, criteri, modalità e altre disposizioni necessarie a dare attuazione al provvedimento, con la spada di Damocle della valutazione del CIPE riguardo al limite degli interventi agevolabili.

 

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Cristoforo Morandini

 

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