Il cuore del tema ha a che fare con l’identificazione di chi ha il potere di scelta su quali siano i servizi utilizzabili dall’utente: l’utente finale stesso o l’ISP? In una rete neutrale è l’utente che decide. Compra “trasporto grezzo” che usa come meglio crede. Gli ISP non discriminano i fornitori dei servizi OTT in base ad accordi “a monte”

Il tema della Net Neutrality è argomento di intensa discussione per molti addetti ai lavori, grandi imprese del mondo dei media e delle telecomunicazioni e, sempre più spesso, anche singoli cittadini, associazioni di consumatori, studiosi del mercato. Troppo spesso, peraltro, questo importante argomento viene affrontato in modo superficiale o distorto (e anche di parte). Ciò non aiuta a chiarire i termini della questione, né a giungere ad un qualche esito che possa rispondere in modo convincente ai bisogni e alle istanze di tutti coloro che sono interessati al tema.

Sinteticamente, il termine Net Neutrality ha a che fare con le tecniche, gli strumenti e soprattutto le policy utilizzate per gestire il trasporto delle informazioni sulla rete Internet. In presenza di Net Neutrality, tale trasporto non è condizionato dagli operatori di telecomunicazioni, che distribuiscono “pacchetti di bit” in modo sostanzialmente indipendentemente dal loro contenuto o, meglio, da chi siano gli originatori e i riceventi di tali pacchetti: oggi la rete Internet è uno strumento di trasporto neutrale, indipentente e ortogonale rispetto ai contenuti che su di essi vengono fatti transitare e agli attori che sono protagonisti di questo scambio.

In questo contesto, esiste una forte e netta separazione tra chi offre servizi di trasporto – gli operatori di telecomunicazione o Internet Service Providers (ISP) – e coloro che invece offrono servizi applicativi – gli Over The Top (OTT) come Apple, Netflix o Google. I primi offrono una “capacità grezza” di trasporto che viene sfruttata da OTT e utenti finali per fruire di servizi applicativi erogati in modo sostanzialmente indipendente rispetto all’ISP.

Il concetto di Net Neutrality è contestato (o messo in discussione) soprattutto dagli ISP secondo i quali gli OTT saturano e caricano la rete, traendone ingenti guadagni, senza contribuire agli investimenti che gli operatori di telecomunicazione devono fare per garantire il funzionamento della rete stessa.

Indubbiamente, l’avvento della rete Internet e delle tecnologie ad essa collegata ha cambiato le dinamiche del mercato delle telecomunicazioni, mutandone anche natura e confini. Tuttavia, per interpretare questo cambiamento in modo corretto e utile per tutti, è vitale partire da un quadro di riferimento e da una analisi della situazione che non siano distorti o penalizzati da argomenti distorcenti.

Argomentazioni fuorvianti

Diverse sono le argomentazioni che vengono spesso utilizzate per sostenere le posizioni contrarie alla Net Neutrality. Ne cito alcune tra le più note.

“Net Neutrality vuol dire rete gratuita o a prezzo politico”

Secondo questa posizione, la Net Neutrality implicherebbe che la rete si trasformi o venga vista come un bene pubblico da offrire gratuitamente o a prezzi controllati. È una interpretazione francamente poco comprensibile, visto che oggi la rete è sostanzialmente neutrale ed esiste un mercato con una molteplicità di attori privati che operano in regime di concorrenza. Non esistono tariffe “politiche” o comunque dipendenti dal fatto che la rete sia neutrale.

“Net Neutrality vuol dire che tutti pagano allo stesso modo”

Secondo altre critiche, dire che la rete è neutrale vorrebbe nei fatti significare che tutti gli utenti pagano “allo stesso modo”. È una affermazione ancora una volta priva di riscontri, visto che sul mercato esistono una molteplicità di offerte che si differenziano per qualità e volumi e, conseguentemente, costi.

“Net Neutrality vuol dire far pagare gli investimenti solo agli operatori”

È l’argomento principe, che deriva anche da fatto che molti OTT si collegano direttamente ai nodi di peering e quindi non pagano un costo di accesso alla rete come invece fanno la gran parte degli utenti privati e business. In questo modo si confermerebbe il principio che gli OTT usano la rete “gratis” e quindi senza contribuire ai ricavi degli operatori e alla relativa copertura di costi e investimenti.

Se è indubbiamente vero che il meccanismo del peering gratuito potrebbe essere ripensato e rivisto alla luce dell’evoluzione del mercato, deve essere anche osservato che in assenza dei servizi degli OTT la gran parte degli utenti non avrebbe motivo di acquistare un servizio di accesso a Internet. In altri termini, è grazie alla presenza dei servizi degli OTT che gli operatori ISP sono in grado di vendere i propri servizi di accesso a Internet. Per cui il tema del contributo degli OTT agli investimenti degli ISP, pur essendo da approfondire e rivedere alla luce delle nuove condizioni del mercato, deve essere ripensato nel suo complesso e non in modo limitativo, parziale o unilaterale.

“Con la Net Neutrality la rete collassa”

Un altro argomento spesso viene evocato è quello secondo il quale una rete neutrale non è in grado di sostenere la crescita del traffico e le sue dinamiche di funzionamento.

In realtà, la rete funziona da anni in modo sostanzialmente neutrale e i malfunzionamenti che si sono verificati non sono certo dipesi dal fatto che essa lo sia o meno.

Un commento finale

Le motivazioni che vengono spesso proposte per dire che la rete non deve essere neutrale appaiono alquanto strumentali. In realtà, gli operatori si trovano a gestire un mercato dell’accesso ad Internet che è sempre più omologabile ad un servizio commodity, dai bassi margini e con scarsa capacità di differenziazione. È il “dumb pipe” che spaventa gli operatori, da sempre alla ricerca di nuove forme di ricavi derivanti da servizi a valore aggiunto.

In realtà, gli operatori non hanno colto molte opportunità emerse in questi anni, o non sono stati capaci di crearne di alternative. Per esempio, pur avendo informazioni pregiatissime sugli utenti (si pensi alle SIM che sono il wallet e l’identificatore dell’utente), non sono stati in grado di fornire servizi diversi dal puro trasporto, come per esempio i pagamenti mobili, in grado di rimpiazzare i ricavi in picchiata del traffico voce.

Per questi motivi, molti ISP vorrebbero stipulare accordi commerciali che definiscano la velocità e le condizioni secondo le quali il singolo OTT è messo nelle condizioni di operare sulle reti di trasporto degli stessi ISP. In altre parole, gli ISP vorrebbero poter incassare una sorta di pedaggio. Di fatto, accadrebbe che l’utente avrebbe servizi OTT più o meno veloci in funzione di quanto essi (OTT) hanno singolarmente negoziato con l’ISP utilizzato da quello specifico utente. In questo scenario, la rete non è più neutrale, ma privilegia chi ha specifici accordi commerciali “aggiuntivi” rispetto a quanto già previsto.

Net Neutrality è libera scelta dell’utente

Per far capire quale sia la vera natura della partita in gioco e il reale snodo intorno al quale si sta discutendo, è possibile provare a riformulare quanto fin qui discusso nel seguente modo.

Gli IPS vorrebbero poter definire accordi commerciali con gli OTT e di fatto gestire i servizi in funzione della presenza o meno di questi accordi. O addirittura vorrebbero avere in esclusiva alcuni servizi particolarmente pregiati e ricercati dagli utenti (come già avviene in parte negli USA). L’utente finale che volesse accedere a certi servizi (Netflix, per esempio) si troverebbe di fatto condizionato nella scelta dell’ISP a cui richiedere l’accesso a Internet. In generale, indipendentemente dalla qualità “grezza” del servizio di accesso che avesse acquistato (“la velocità e capacità del tubo”), l’utente vedrebbe alcuni servizi applicativi come privilegiati o penalizzati in funzione degli accordi che l’ISP ha con essi stipulato. In altre parole, la scelta dei servizi fruibili da parte dell’utente è pesantemente condizionata dall’ISP.

Nel caso di rete neutrale, invece, l’utente finale certamente potrà e dovrà pagare tariffe differenziate per avere velocità e condizioni di accesso ad Internet di maggiore o minore qualità, ma potrà come ora scegliere senza condizionamenti o limitazioni i servizi OTT che preferisce.

In altre parole, nel caso di rete neutrale, l’ISP non ha leve per condizionare gli OTT e chiedere loro contributi specifici. È l’utente che decide “quanto trasporto grezzo” vuole utilizzare. Nel caso di rete non neutrale, è l’ISP che effettua una scelta “a monte”, condizionando le possibilità a disposizione dell’utente finale. Ciò, come sostengono i promotori della Net Neutrality, costituisce anche un freno all’innovazione e alla possibilità per startup e imprese nascenti di competere ed affermarsi in un mercato così fortemente condizionato da pochi grandi player.

In questa ottica, si capisce che il cuore del tema della net neutrality ha a che fare con l’identificazione di chi ha il potere di scelta su quali siano i servizi utilizzabili dall’utente: l’utente finale stesso o l’ISP? È l’utente che liberamente e senza condizionamenti sceglie, oppure è l’ISP che lo fa attraverso gli accordi che sigla (o non sigla) “a monte” con i singoli OTT?

Certamente, il tema della Net Neutrality non è liquidabile con poche battute e deve essere oggetto di studi e approfondimenti. Inoltre, è ovviamente necessario sviluppare posizioni equilibrate che tengano conto di tutte le variabili del problema. Peraltro, come riportano anche alcuni organi stampa (“Momentum is building for a net neutrality compromise”), stanno emergendo delle ipotesi di evoluzione del mercato che, pur preservando la libertà di scelta dell’utente, rendono più flessibile e differenziato il costo che egli decide di pagare (o non pagare) per avere una capacità di “trasporto grezza maggiore”. Si tratta in ogni caso di opzioni che devono conservare il cuore dei principi della net neutrality:

  1.         È l’utente che decide.
  2.         L’utente compra “trasporto grezzo” che usa come meglio crede.
  3.         Gli ISP non discriminano i fornitori dei servizi OTT in base ad accordi “a monte”.

Peraltro, come sottolineava un recente commento apparso sul Washington Post (“Why Internet governance should be left to the engineers”), una materia così complessa andrebbe lasciata all’analisi degli esperti del settore. Troppo spesso, invece, si annunciano interventi normativi o regolatori proposti da chi non ha le basi culturali e le competenze per affrontare questo tema così complesso con le dovute cautele e i necessari strumenti.

In generale, è interesse per tutti trovare un equilibrio del mercato che permetta ai diversi soggetti di operare e svilupparsi al meglio. È però essenziale che le scelte che verranno fatte rispettino alcuni valori unici e irrinunciabili: 1) l’unicità di Internet come strumento di innovazione aperto e neutrale, 2) la libertà e piena facoltà di scelta dell’utente finale.

 

 

 

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Alfonso Fuggetta

 

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