La recente L. 114/2014 di conversione del D.L. 90/2014 recante la “riforma” della pubblica amministrazione modifica in modo rilevante la disciplina (contenuta nella L. 135/2012) riguardante la composizione degli organi amministrativi delle “società pubbliche”.
Si tratta della normativa che aveva stabilito, per le fattispecie diverse dall’amministratore unico, l’obbligo di nominare, in maggioranza, dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione di controllo o di poteri di indirizzo e vigilanza (in caso di partecipazione diretta) ovvero di dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di quest’ultima (in caso di partecipazione indiretta).
Tale obbligo non interessava, però, tutte le società a partecipazione pubblica ma soltanto le società a controllo pubblico (diretto o indiretto) che avevano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90% dell’intero fatturato (strumentali) ovvero le società a partecipazione pubblica integrale.
Peraltro, era stabilita una differente regola in ordine alla numerosità massima dei componenti dell’organo amministrativo: nel primo caso, infatti, delle società strumentali, era individuata una consistenza massima di tre amministratori (di cui due dipendenti dell’ente), mentre – nel secondo – di cinque amministratori (di cui almeno tre dipendenti dell’ente).
Tale disposizione aveva generato notevoli criticità sul piano applicativo, anche a causa delle difficoltà di coordinamento con altre norme pure presenti nell’ordinamento.
La conversione in legge del D.L. 90/2014, pertanto, ha ritenuto di superare così il previgente obbligo di nomina di dipendenti in seno agli organi amministrativi, tanto per le società che – nel 2011 – hanno fatturato per servizi più del 90% alle pubbliche amministrazioni quanto per le società a partecipazione pubblica totale, sia diretta sia indiretta.
La modifica, però, non è destinata ad operare immediatamente, essendo esplicitamente definita una regola transitoria, che stabilisce che «le disposizioni … si applicano a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore» del decreto legge.
Ora la norma si preoccupa di confermare il numero massimo di componenti degli organi amministrativi, di prevedere la possibilità (non più l’obbligo) di nominare i dipendenti in seno ai consigli di amministrazione e di disciplinare il trattamento economico spettante.
In ordine a quest’ultimo due sono gli aspetti salienti da segnalare.
In primo luogo, un obbligo di riduzione del costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, che non può eccedere l’80% del costo complessivamente sostenuto nel corso del 2013.
In secondo luogo, la conferma del principio di onnicomprensività della retribuzione per l’ipotesi (ormai divenuta facoltativa) di nomina dei dipendenti dell’amministrazione pubblica o della società controllante (nel caso di partecipazione indiretta), con il conseguente obbligo di riversare i relativi compensi all’ente o alla società di appartenenza al fine di alimentare il fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio.
E’ stata però introdotta una significativa eccezione a tale regime: i dipendenti nominati in seno ai consigli di amministrazione, infatti, hanno diritto alla “copertura assicurativa” ed al rimborso delle spese documentate sostenute per lo svolgimento dell’incarico.
FONTE: La Gazzetta degli Enti Locali
AUTORE: Marco Rossi