La stagnazione del Pil rischia di far dimagrire gli assegni futuri. E’ questo l’allarme lanciato dal dossier elaborato dall’ex coordinatore generale del servizio statistico attuariale dell’Istituto di previdenza sociale, Antonietta Mundo, rilanciato nei giorni scorsi dalle agenzie di stampa nazionali.
Con il nuovo sistema previdenziale, il rateo pensionistico è frutto dei contributi che ogni lavoratore accumula. I contributi versati sul conto assicurativo del lavoratore vengono infatti ogni anno rivalutati dall’Inps, attraverso un meccanismo simile ad un tasso di interesse. Il tasso di rivalutazione è pari alla crescita media del Pil nominale nei cinque anni precedenti, un valore che è praticamente uguale alla somma tra il Pil reale e l’inflazione. Nel contesto attuale, tuttavia, in cui il Pil decresce e l’inflazione è praticamente pari a zero (con il rischio di diventare deflazione), i contributi rivalutati versati all’Inps invece di aumentare diminuiscono.
Nel 1997 il tasso di rivalutazione dei contributi è stato del 5,5871 per cento. Nel 2012 si è scesi all’1,1344 per cento. Nel 2014, spiega il dossier, «si avrà un tasso di capitalizzazione di segno negativo stimato pari a 0,024 per cento».
Una simulazione sul tema è stata elaborata da Progetica, una delle principali società indipendenti di consulenza italiane sui temi previdenziali. In assenza di crescita la futura pensione, per esempio, di un trentenne di oggi potrebbe essere più leggera del 22 per cento. Se il Pil aumentasse in media del 2 per cento l’anno, il trentenne lavoratore dipendente quando a circa 67 anni lascerà il lavoro, incasserebbe una pensione pubblica pari al 71 per cento della sua ultima retribuzione.
Ma se la crescita del Pil fosse «zero», quella stessa pensione non supererebbe il 49 per cento dell’ultimo stipendio. Lo stesso, anche se in misura minore, sarebbe valido anche per un attuale cinquantenne che con una crescita zero si vedrebbe l’assegno ridotto dell’11 per cento rispetto ad una situazione in cui il Pil marciasse al ritmo del 2 per cento l’anno. Se non si ricomincia a crescere e se non arriva almeno un po’ di inflazione insomma, i futuri pensionati rischiano di essere poveri.
FONTE: Pensioni Oggi (www.pensionioggi.it)
AUTORE: Davide Grasso