Sono la metà del cielo e anche qualcosa di più in termini demografici ma, ancora a metà del 2014, le donne rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese che operano in Italia (circa 1,3 milioni su poco più di 6) e il 45,23% degli occupati dipendenti (7,6 milioni sul totale di 16,6 occupati alle dipendenze). E tuttavia le donne stanno facendo fronte alla crisi con risolutezza e creatività. Anzitutto creando nuove imprese a un ritmo superiore alla media: +0,73% l’incremento dello stock di imprese femminili registrato tra aprile e giugno di quest’anno, contro una variazione media complessiva dello 0,42%. E poi approfittando degli spazi che la crisi ha aperto rispetto alla ricerca di un posto di lavoro: nel 2014 si è ulteriormente ampliata la quota di assunzioni per le quali i datori di lavoro considerano irrilevante il genere del candidato (52,8% rispetto al 48,5 del 2010), con la conseguenza – pur in un quadro che resta negativo per l’occupazione complessiva – di poter concorrere più spesso ad armi pari, rispetto agli uomini, al momento di candidarsi per un posto di lavoro.

Questo, in sintesi, il ritratto del contributo delle donne al mondo dell’impresa e del lavoro che emerge dai dati dell’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere – aggiornati alla fine di giugno 2014 – e dalle indicazioni del Sistema informativo Excelsior, di Unioncamere e Ministero del Lavoro, relativamente ai fabbisogni professionali delle imprese con dipendenti per l’anno in corso.

“L’impresa femminile – ha detto il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello si conferma meno strutturata e più sottodimensionata rispetto alla media dell’imprenditoria nazionale, e proprio per questo ha ampi margini di sviluppo che vanno colti per ridare slancio all’occupazione e alla crescita. Va sostenuto e promosso il desiderio di tante donne, capaci e qualificate, che guardano all’impresa e al mercato come un’opportunità per essere protagoniste del proprio progetto di vita. Di fronte a queste aspirazioni e con un’economia che non riparte, le istituzioni hanno il dovere di dare risposte concrete per facilitare questi percorsi. Il sistema camerale – attraverso la rete dei comitati per l’imprenditoria femminile presenti in ogni Camera di commercio – mette a disposizione strumenti mirati allo sviluppo di questi progetti con iniziative per la formazione, l’accesso al credito, l’internazionalizzazione. Il taglio delle risorse su cui le Camere di commercio potranno contare nei prossimi anni, deciso con la riforma della P.A., renderà certamente il nostro lavoro molto più difficile e auspichiamo non ci impedisca di continuare a svolgere quel ruolo fondamentale di prossimità sul territorio che è proprio dei nostri enti e che le imprese ci chiedono, invece, di accentuare.”

L’istantanea dell’imprenditoria femminile al 30 giugno 2014

L’imprenditoria femminile, a metà del 2014, propone un ritratto fedele del momento che sta vivendo il Paese: da un lato, s’intreccia senza nette demarcazioni con il fenomeno dell’autoimpiego in risposta alla necessità di trovare uno sbocco occupazionale, soprattutto per chi ha perso un lavoro (magari precario). Dall’altro, intercetta il profilo di un’Italia possibile e auspicabile, in cui le maggiori opportunità di benessere verranno dell’incrocio di attività manifatturiere e artigianali con lo sviluppo di servizi ad elevato contenuto innovativo e supportati dalle tecnologie della rete. E dunque fa ben sperare la concentrazione di imprese femminili soprattutto nei servizi alle persone e alle imprese, nel turismo sostenibile, nel recupero delle tradizioni agroalimentari, nella tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e culturale.

A pesare maggiormente sulle prospettivi delle donne che decidono di fare impresa, tuttavia, restano le difficoltà legate alla solitudine decisionale in cui spesso le imprenditrici si trovano a operare, unite alla frequente insostituibilità – per via della struttura organizzativa adottata dall’impresa – della figura dell’imprenditrice nei processi di lavoro e nei rapporti con il mercato. Una condizione, questa, che espone l’impresa ‘rosa’ agli imprevisti legati alla vita personale e famigliare della titolare che spesso finiscono per ricadere sull’azienda, rendendola così più fragile. A queste problematiche servono sia risposte sul campo, come le azioni di formazione e assistenza personalizzata (coaching e mentoring), sia e soprattutto politiche capaci di ascoltare e dare risposte specifiche ai fabbisogni della componente imprenditoriale femminile.

Longevità sul mercato

Rispetto alla media degli imprenditori, le donne che fanno impresa pagano un’esperienza relativamente più ‘breve’ del mercato, misurata sulla base dell’età delle loro aziende. La quota di imprese femminili nate dopo il 2000 – e dunque con meno di quattordici anni di vita – è infatti pari al 65,7% di quelle oggi esistenti (contro il 60,3% della media complessiva), mentre solo il 12,4% può vantare una data di nascita all’anagrafe delle imprese anteriore al 1990 (contro il 16,6% della media).

Il fattore dimensionale

Alla minore esperienza del mercato si associa una più marcata fragilità della struttura organizzativa rispetto alla media delle imprese: il 65,5% delle attività guidate da donne, infatti, è costituito nella forma di impresa individuale, contro una media del 54%. Si spiega anche così la più marcata prevalenza della taglia ‘extra-small’ tra le imprese femminili: il 69,5% conta unicamente sulla titolare o al massimo un addetto (a fronte di una media del 67,5), mentre il 94,2% non supera la soglia dei 5 addetti (91,6 la media). Un’ulteriore conferma che, per le donne, “impresa” fa più spesso rima con “autoimpiego”. Che il mercato sia per molte di esse la risposta obbligata alla difficoltà di trovare un lavoro, emerge anche dal dato territoriale: la quota di micro-imprese femminili (quelle con titolare o al massimo un addetto) è significativamente più alta nel Mezzogiorno – con punte superiori al 75% in Basilicata, Molise, Campania e Sicilia – rispetto al resto del Paese.

Considerando l’attività economica svolta, i settori dove la presenza di micro-imprese ‘rosa’ è più elevata sono l’agricoltura (dove 88,6% delle imprese femminili del settore non superano la soglia di un addetto), le attività finanziarie e assicurative (87,4%), le attività immobiliari (83,6) e quelle professionali, scientifiche e tecniche (78,1).

Uscendo dalla prospettiva ‘micro’ appare poi evidente come, con l’aumentare della dimensione d’impresa, la quota ‘rosa’ si assottigli progressivamente fino a diventare davvero esigua nell’élite delle grandi imprese.  Su un totale di 4.276 aziende con più di 250 addetti, quelle guidate da donne sono appena 230 (il 5,4%), ma se si restringe l’osservazione alle imprese veramente ‘grandi’ (oltre i 500 addetti), su 1.734 aziende ‘extra-large’ quelle guidate da donne sono solo 80 (il 4,6%).

 

Consulta i dati completi: Dati Unioncamere Imprese Femminili

 

FONTE: Unioncamere

 

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