Articolo estratto da Italia Oggi del 27 dicembre 2013 a firma di Loreto Del Cimmuto, direttore di Legautonomie

L’approvazione alla Camera dei Deputati del ddl recante “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di Comuni” rappresenta un passaggio importante dell’attuazione dell’agenda del Governo.
Il provvedimento, sebbene non da tutti condiviso, punta ad una razionalizzazione e semplificazione delle strutture di governo locale – anche per abbattere i costi della rappresentanza politica – e ad un percorso di riordino al termine del quale il sistema dei poteri locali farà leva su due soli livelli istituzionali: il Comune e la Regione.

Un capitolo importante è certamente quello rappresentato dalla istituzione delle città metropolitane e quindi dal superamento, dopo oltre vent’anni, di un dibattito incentrato su un confronto tra modelli teorici, tutti astrattamente validi, in cui la prevalenza era assegnata alla discussione sui confini amministrativi e alla ricerca della mitica “area ottimale”.
Non sottovalutando affatto i problemi connessi al modificarsi della distribuzione del consenso e della rappresentanza politica quando si ridiscutono consolidati assetti istituzionali – da questo punto di vista il modello di governance delineato rappresenta certamente un problema – è tuttavia evidente che anche la discussione sui confini amministrativi ha rappresentato quel limite che ha portato alla frammentazione delle politiche in mille rivoli e alla proliferazione di stratificazioni burocratiche scoordinate tra loro, senza una regia “politica” che indirizzasse le decisioni.

Il modello delineato dal DDl Delrio ha quindi il merito di far partire finalmente il processo, rimettendo anche all’autonomia statutaria e alle decisioni dei territori gli eventuali interventi correttivi; ma rispondendo soprattutto alla necessità di costruire un sistema dei poteri locali più adeguato alle esigenze di sviluppo e ai bisogni dei cittadini e del tessuto economico e sociale, per sostenere la competitività dei sistemi territoriali e l’abbattimento dei costi burocratici e di transazione amministrativa da parte delle imprese.

Sebbene non sia chiaro quali saranno le basi imponibili e le leve dell’autonomia finanziaria delle città metropolitane, dato il totale disallineamento tra i provvedimenti finanziari adottati per fronteggiare l’emergenza dei conti pubblici e il sistema delle deleghe del federalismo fiscale (tema sul quale occorrerà necessariamente ritornare), è comunque il momento di privilegiare i contenuti e di mettere al centro della politica un’agenda urbana e scelte strategiche che fissino obiettivi, metodi e tappe per raggiungerli, anche al fine di dare maggiore elasticità e flessibilità agli stessi modelli istituzionali, prefigurando in questo un successivo e più incisivo intervento da parte delle Regioni.

Da questo punto di vista Il rapporto del “Comitato interministeriale per le politiche urbane” presentato nel marzo 2013 dal Ministro Barca offre una traccia di metodo e di contenuto che non va dispersa, soprattutto in relazione alle nuove attenzioni riservate alle politiche per le città da parte dell’Unione Europea, che ha infatti invitato tutti gli Stati membri a dotarsi di un’Agenda Urbana nazionale; considerando che all’interno del Fondo europeo dello sviluppo regionale (FESR) almeno il 5 per cento delle risorse assegnate a livello nazionale sarà destinato ad Azioni Integrate per lo Sviluppo Urbano Sostenibile.

Il paradigma deve essere quello delle smart cities e il presupposto da cui si parte è che il deficit di innovazione economica e sociale che riguarda l’Italia in particolare, può essere colmato solo partendo da una politica di sviluppo incentrata sulle città e sulle grandi aree urbane, che vanno considerate come “città funzionali” e non come spazi territoriali inclusi in confini amministrativi, con una struttura urbana policentrica,luoghi dell’eccellenza collegati in un network europeo di grandi città che cooperano tra loro.

Un approccio strategico al tema della città metropolitano dovrebbe pertanto partire da alcuni passi preliminari: individuare i punti di forza del sistema territoriale, le sue eccellenze da valorizzare e sulle quali far leva per lo sviluppo futuro dei territori, a partire dalle start up innovative e dalle nuove energie imprenditoriali; individuare le linee di fondo delle trasformazioni produttive per poterle accompagnare e sostenere; individuare i poli delle possibili funzioni di livello metropolitano e le grandi invarianti storico-ambientali da preservare e valorizzare.

Lo stesso piano strategico metropolitano previsto dal ddl Delrio deve essere uno strumento aperto alle forze economiche e sociali. E’ su questo piano che, a monte, andrebbe cercato il consenso dei comuni all’inclusione nella città metropolitana, sul quadro delle opportunità che esso può offrire, sapendo che l’integrazione può anche riguardare, ai margini, livelli più affievoliti di coinvolgimento su singoli programmi, con l’adozione di strumenti pattizi più leggeri, comunque volti ad una ampia integrazione nelle prospettive di sviluppo e di crescita economica.

FONTE: Legautonomie