Il messaggio nella bottiglia, di plastica, è forte e chiaro: una marea di rifiuti sta sommergendo le nostre spiagge. E inquinando il mare. Pneumatici, calcinacci, lattine, gli immancabili mozziconi di sigarette. Sono alcuni fra i rifiuti ritrovati sulle 24 spiagge monitorate dall’indagine “Beach litter” di Legambiente, condotta a maggio durante la manifestazione Spiagge e fondali puliti – Clean up the Med.«I volontari dell’associazione hanno effettuato il campionamento su spiagge libere secondo un protocollo scientifico del ministero dell’Ambiente e di Ispra – spiega Serena Carpentieri, responsabile Campagne di Legambiente – L’obiettivo dell’indagine era quello di capire la quantità e la tipologia di rifiuti presenti sulle spiagge italiane e del Mediterraneo».
La plastica la fa da padrona, con una percentuale del 65% sul totale di 15.215 rifiuti rinvenuti durante il monitoraggio di maggio. Bottiglie, shopper, tappi, polistirolo, secchi, stoviglie e strumenti per la pesca. A seguire, ricoprono a tappeto le nostre spiagge i mozziconi di sigaretta (7%). Sulle 24 spiagge monitorate ne sono stati contati 1.035, il residuo di oltre 50 pacchetti di sigarette. Non mancano ai primi posti in classifica i metalli (6%), con lattine, barattoli e bombolette spray, seguiti dai rifiuti sanitari (5%) come cotton fioc, assorbenti, preservativi, blister. Poi materiali di costruzione al 4% (mattonelle e calcinacci), vetro al 3% (specie bottiglie), rifiuti di gomma (pneumatici, guanti) e tessili (scarpe, vestiti), entrambi al 2%. «La presenza al quarto posto della classifica dei rifiuti sanitari – riprende Serena Carpentieri – è il segnale preoccupante dell’inefficienza dei sistemi depurativi. Ci dicono non solo che servono campagne di sensibilizzazione sui rifiuti da non buttare nel wc, ma che talvolta gli impianti di depurazione sono inefficienti e non riescono a filtrare neanche oggetti di una certa grandezza. II 79% degli oltre 500 oggetti contati è stato infatti registrato sulle spiagge distanti meno di un km da una foce».
Le spiagge monitorate sono situate nei comuni di Genova, Viareggio (Lu), Orbetello (Gr), Scarlino (Gr), Fiumicino e Anzio (Rm), Pozzuoli (Na), Pollica (Sa), Giardini Naxos (Me), Palermo, Agrigento, Gela (Cl), Ragusa, Pachino e Noto (Sr), Catania, Policoro e Pisticci (Mt), Casalabate e Tricase (Le), Brindisi, Polignano a Mare (Ba), San Benedetto del Tronto (Ap). Fra queste, le spiagge con maggiore densità di rifiuti sono quelle di Barcarello a Palermo, del Golfo di Talamone a Orbetello, del porto di Scarlino, la spiaggia Babbaluciara di Agrigento e quella di Coccia di Morto/Pesce Luna di Fiumicino. In queste spiagge è possibile contare fino a quattro rifiuti nella sola superficie occupata da un ombrellone. L’indagine “Beach litter” è stata portata avanti anche in cinque spiagge del Mediterraneo (Grecia, Spagna, Francia e Tunisia), grazie alle organizzazioni di Clean up the Med, per richiamare l’attenzione sull’importanza di avanzare azioni di monitoraggio e di intervento in maniera coordinata fra tutti i paesi costieri. A maggior ragione che i rifiuti marini costituiscono un descrittore della “Marine strategy”, la direttiva europea per l’ambiente marino, che prevede il raggiungimento di uno stato ambientale soddisfacente per tutte le acque marine dell’Ue entro il 2020.
«Il risultato dell’indagine conferma il dato, che avevamo già evidenziato con l’analisi sulla marine litter fatta durante il viaggio di Goletta Verde 2013, che i rifiuti in mare e sulle coste italiane sono ancora un problema irrisolto, con le gravi conseguenze sull’ecosistema marino e costiero che ne derivano – commenta Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – Per questo è necessario attuare concrete politiche di prevenzione a partire dai settori maggiormente responsabili del problema». La “Marine strategy” prevede anche il monitoraggio sulla marine litter, i rifiuti marini, che spesso quando non affondano e degradano in acqua finiscono sulle spiagge. «I macrorifiuti arrivano da terra o dalle imbarcazioni in mare, dove subiscono vari processi di degradazione, si depositano sul fondale o raggiungono la riva. La busta di plastica, per esempio, tende a stare sotto l’acqua e insieme al polistirolo si degrada in frammenti che restano nell’ambiente per molto tempo, con grave danno alle specie marine», spiega Ilaria Campana, ricercatrice senior dell’Accademia del Leviatano, onlus nata nel 2007 per fare monitoraggio sui cetacei che effettua indagini sui rifiuti marini a bordo dei traghetti di linea Livorno-Bastia, Civitavecchia-Barcellona e Palermo-Tunisi. « Attraversiamo aree importanti per la presenza dei cetacei, le zone in cui i predatori cacciano e possono scambiare le buste con la preda, o con meduse e calamari, rischiando così di ingerirle – aggiunge la ricercatrice – Aldilà della zona di caccia gli animali rischiano di restare impigliati e subire ferite da materiali che galleggiano. E anche i delfini corrono questo rischio». A pagarne le conseguenze ci sono pure le imbarcazioni o le attrezzature da pesca. A tutto ciò bisogna aggiungere i costi di pulizia delle aree costiere e le conseguenze sull’appeal turistico. Eppure i rifiuti e i danni all’ambiente aumentano proprio dove maggiore è la presenza umana. «Questo si nota nella tratta sul Tirreno centrale fra Livorno e Bastia», conclude la ricercatrice. Insomma, dove c’è l’uomo ci sono rifiuti. Anche in mare.
FONTE: La Nuova Ecologia – Network di Legambiente
AUTORE: Francesco Loiacono