Italia rimandata in ambiente a Bruxelles. Su 116 procedure d’infrazione aperte dalla Commissione nei confronti del nostro paese, ben 27 riguardano il mancato recepimento o rispetto di norme ambientali. Tra queste spiccano le quattro in materia di rifiuti. È qui che l’Italia rischia maggiormente di essere condannata dall’alta Corte europea. Insomma, oltre al danno ambientale anche la beffa economica. Perché, seppur le direttive comunitarie stabiliscano che il conferimento in discarica dovrebbe considerarsi un’opzione residuale, nel Belpaese è ancora la prima soluzione al problema dei rifiuti. In Italia ci sono ancora 186 impianti attivi, di cui 102 fuori legge; 23 discariche abusive, 28 siti non autorizzati e otto aree inquinate.La regione con il maggior numero di impianti è l’Emilia Romagna (18), seguita da Piemonte (16), Sicilia, Toscana e Trentino Alto Adige (14). L’articolo 14 della direttiva 1999/31 dell’Ue stabilisce che tutte le discariche devono essere oggetto di provvedimenti di chiusura o rese conformi alla direttiva entro luglio 2009. Così non è stato e l’Italia è incorsa in due procedure di infrazione, la 2011/2215 e la 2003/2077.
In Italia finiscono in discarica 222 kg d’immondizia pro-capite l’anno
Sopra la media
«Ci troviamo così perché siamo rimasti troppo a lungo bloccati nell’indecisione tra l’avvio immediato della raccolta differenziata e l’utilizzo degli inceneritori – spiega Enzo Favoino, responsabile Gestione integrata rifiuti della Scuola agraria del parco di Monza – Questo ha determinato forti contenziosi a livello locale, infinite discussioni e mancanza di credibilità da parte della Pubblica amministrazione». A questo vanno aggiunti motivi di natura economica: i costi dello smaltimento in discarica in alcune regioni sono di gran lunga inferiori ai 100 euro per tonnellata. Inoltre, non ha funzionato l’ecotassa, istituita nel 1995 e stabilita individualmente dalle singole Regioni con l’obiettivo di scoraggiare l’utilizzo della discariche facendo leva sulla pressione fiscale. I risultati sono pessimi. Secondo i dati pubblicati nel rapporto Ridurre, Riciclare prima di tutto di Legambiente, la media annua pro capite italiana di rifiuti conferiti in discarica si attesta intorno ai 222 kg per abitante. Certo più bassa rispetto a quella britannica (253 kg per abitante) ma molto superiore a quella tedesca (un solo kg per abitante) e alla media europea (176 kg per abitante). Se l’Italia continuerà in questa direzione incorrerà in pesanti sanzioni economiche di fronte alla Corte di Giustizia europea. Per le sole discariche abusive la multa ammonta a 61,5 milioni di euro ai quali vanno sommati 256.819euro per ogni giorno successivo alla data di scadenza della sentenza della Corte.
Raccolta diversa
Una discarica tristemente celebre è quella di Malagrotta, finita anch’essa in una procedura d’infrazione oltre che nelle cronache giudiziarie. Dal primo ottobre, dopo la chiusura del sito, dove i rifiuti venivano smaltiti senza pretrattamento come imposto dalla direttiva Ue, Roma non ha più una “sua” discarica. Attualmente, delle circa 4.500 tonnellate di rifiuti giornalieri prodotti più del 60% viene mandato fuori regione: in impianti di recupero materia in Lombardia ed Emilia Romagna, di compostaggio in Veneto e Friuli Venezia Giulia e in discariche di Piemonte, Puglia e Lombardia. Di questa grande quantità di materie solo il 31% è differenziata e nei piani dell’Ama – azienda che gestisce la raccolta dei rifiuti a Roma – c’è l’intenzione di raggiungere il 50% entro il 2015. Come? Da metà giugno è partito il porta a porta in diverse zone di cinque municipi della città, mentre in altre si continua con i cassonetti in strada. Un metodo che però non convince. «L’impatto dei rifiuti può essere abbassato drasticamente soltanto con la raccolta porta a porta – commenta Roberto Scacchi, direttore di Legambiente Lazio – Questo sistema ha il vantaggio di formare la coscienza civica dei cittadini e di aumentare notevolmente le percentuali di recupero di materia». Ama confida d’implementare progressivamente il porta a porta in tutta la città. Ma questa aspettativa si scontra con fattori scoraggianti: «Il risparmio che si otterrebbe dalla raccolta e la vendita dei materiali recuperati potrebbe compensare il costo degli investimenti iniziali soltanto del 30% – dice Daniele Fortini, presidente di Ama – Bisogna intensificare la manodopera, affrontare le spese per l’ammodernamento delle strutture già esistenti e l’edificazione di nuovi impianti di compostaggio e di centri di raccolta. In questa prospettiva – continua Fortini – sarebbe inevitabile un aumento della spesa da parte dei cittadini». Eppure secondo il rapporto Rifiuti Urbani 2013 di Ispra la raccolta porta a porta conviene. «L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale rileva che il costo della gestione rifiuti per il cittadino è più basso nelle regioni dove è applicata la differenziata porta a porta – fa notare il professor Favoino – Per esempio in Veneto e in Friuli Venezia Giulia».
Immondizia in grotta
Per una discarica che chiude, un’altra rischia di aprire. La Puglia prevede di realizzare un impianto a Grottelline, nell’agro di Spinazzola. Il sito è entrato a far parte del Piano regionale rifiuti 2013 nonostante l’opposizione delle comunità locali e di Legambiente Puglia. L’area destinata alla discarica si trova a pochi chilometri dal Parco dell’Alta Murgia, è caratterizzata dalla presenza di grotte, di una chiesa rupestre e di un sito archeologico del Neolitico. «Grottelline è un sito di nidificazione del falco lanario, una specie super protetta a livello europeo. Questo aspetto non è stato assolutamente affrontato in sede di Via che in questo modo si pone in contrasto alla normativa comunitaria – spiega Cesare Veronico, il presidente del Parco dell’Alta Murgia – Il rischio è che venga aperta un’altra procedura d’infrazione a carico dell’Italia». Secondo l’Autorità di Bacino della Basilicata, poi, quella di Grottelline è una zona soggetta a criticità idrogeologiche e idrauliche, legate alla presenza di lame, gravine e grotte, come dice anche il nome. L’accordo firmato nel 2006 dalla Regione Puglia con le società Ati Tradeco e Cogeam – la prima del patron dei rifiuti pugliesi Carlo Dante Columella, la seconda della famiglia Marcegaglia – prevede che le aziende gestiscano la discarica per 17 anni. Il sito è destinato a raccogliere i rifiuti urbani della provincia Barletta-Andria-Trani, che però ad oggi ha raggiunto percentuali di differenziata tra le più alte d’Italia. «Già nel Piano d’ambito dell’aprile 2012, recepito dal Piano regionale rifiuti 2013, non abbiamo incluso l’impianto di Grottelline in quanto non necessaria a soddisfare il fabbisogno impiantistico della provincia»,conferma Nicola Giorgino, sindaco di Andria. Come se non bastasse, negli ultimi dieci anni ben due volte sono spariti documenti relativi alla cava dall’ufficio dell’assessorato regionale all’Ambiente e sono stati ordinati due sequestri dalla Procura della Repubblica di Trani. Un terzo, più recente, a giugno, dopo che i forestali hanno scoperto rifiuti pericolosi nella zona. Quest’ultimo sequestro potrebbe bloccare l’impianto, sul quale pende anche un ricorso presentato al Tar dai comuni di Spinazzola e Poggiorsini dopo il via libera a marzo della Regione all’autorizzazione paesaggistica in deroga. L’ente, però, ha anche altre esigenze da considerare. «Abbiamo la necessità di tutelare il patrimonio pubblico rispetto alle risorse già investite su quel sito dal 2001, ma anche rispetto a eventuali azioni risarcitorie che il gestore potrebbe intraprendere in caso di mancata realizzazione dell’impianto», commenta Lorenzo Nicastro, assessore all’Ambiente della Puglia.
Eccellenza Marche
La soluzione a questi problemi è una sola: differenziata spinta. Un sistema per fare il salto di qualità in tal senso è stato adottato a Macerata, dove il consorzio smaltimento dei rifiuti, Cosmari, da anni ha avviato il porta a porta procedendo per piccole tappe. E negli ultimi mesi ha anche sfruttato la tecnologia: un chip sulle buste consente di applicare all’utente una “tariffa puntuale”. Il cittadino paga per quanti rifiuti ha realmente prodotto, e non in base ai metri quadrati dell’abitazione o al numero di componenti del nucleo famigliare. Il balzo è stato notevole. Nel solo centro storico, ad aprile, la percentuale di differenziata ha superato l’87%. Nel resto della città, da gennaio ad aprile, c’è stato un incremento dal 51,75% al 53,52%. Macerata è stata suddivisa in sette macro zone, in ogni quartiere si sono tenuti incontri per illustrare le nuove modalità di differenziazione e conferimento. «Ciò ha consentito di mettere a regime il servizio – spiega Daniele Sparvoli, presidente del Cosmari – migliorando la pulizia e l’immagine del centro e contemporaneamente eliminando, quasi totalmente, gli abbandoni dei rifiuti». Un risultato in linea con il resto della Provincia che guarda dall’alto le medie nazionali in tema di raccolta differenziata: nella sessantina di comuni coperti da Cosmari è stato superato il tetto del 70%, mentre per il Belpaese il dato non supera il 40%.
FONTE: La Nuova Ecologia – Network di Legambiente
AUTORI: Giovanna Borrelli e Rosy Matrangolo
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