Che fine hanno fatto i 3,5 miliardi che il Governo Renzi ha dichiarato di voler dedicare alla scuola? Ci auguriamo che dopo la “valanga” vincente delle elezioni europee, Renzi e il ministro Giannini mettano mano alle riforme promesse e che il Ministro Madia riprenda nell’attuazione dell’Agenda digitale della scuola.

Per quanto riguarda gli stanziamenti per l’edilizia scolastica proviamo qui a formulare alcune  “modeste proposte” su come utilizzare i fondi reperiti nella recente manovra economica  (Def). Non è detto, infatti, che gli stanziamenti debbano essere destinati solo alla sicurezza degli edifici, anzi sulla base di alcune consolidate esperienze europee, mentre si ammodernano gli edifici, si potrebbe trovare il tempo cablarli in “fibra ottica” e renderli più adeguati agli standard europei.

In Italia da anni non si costruiscono e si ristrutturano più le scuole, in altri paesi europei, invece, nonostante il calo demografico e la crisi economica, le scuole si costruiscono ancora e sono “scuole nuove”. Si tratta di scuole che sono progettate secondo criteri architettonici molto diversi da quelli delle scuole tradizionali e dove gli spazi fisici sono funzionali alle nuove metodologie didattiche attive, in primis quella della Flipped Classroom, su cui siamo già intervenuti su Agenda digitale (Ferri, P., Come sarà la scuola dei veri Nativi Digitali? Il futuro nella flipped classroom). Prendiamo ad esempio tre casi di “scuole nuove” europee: il Ginnasio di  Ørestad in Danimarca, l’Het 4e gymnasium di Amsterdam e la scuola VITTRA di Stoccolma in Svezia.[1] Si tratta di scuole innovative per quanto attiene alle “architetture” degli spazi interni ed esterni. In particolare le architetture e gli spazi interni sono progettati in modo da favorire l’introduzione di nuovi modelli di didattica digitale attiva e cooperativa identificati, in sede UE, dalla “strategia dei Lisbona” alla voce “Competenze digitali”.

La metodologia della Flipped Classroom, come quella del Cooperative Blended Learning, richiedono spazi modulari e poli-funzionali, facilmente riconfigurabili ed in grado di rispondere a metodologie didattiche e progetti formativi curriculari centrati sull’attivazione delle conoscenze e sulla risoluzione di problemi piuttosto che sul nozionismo e sullo studio individuale. Se, infatti si analizzano, i progetti architettonici e la distribuzione degli spazi nelle tre scuole di Stoccolma, Ørestand e Amsterdam, si possono individuare due costanti  comuni ad tutti gli edifici:

a. Una massiccia infrastrutturazione tecnologica: banda larga; hot spot wireless; ambienti virtuali per la gestione della didattica (Virtual Learning Environment); tablet/notebook per studenti e insegnanti.

b. L’assenza della “classe” come unità minima architettonica e metodologico/didattica della scuola. La classe è troppo grande per essere un “laboratorio” e troppo piccola per essere un Auditorium!

Nelle scuole che stiamo analizzando la “classe” è sostituita da una varietà di  ambienti tutti aumentati dalla tecnologia, inclusi, ovviamente, gli “ambienti virtuali per l’apprendimento”.

La spazio architettonico e didattico più diffuso è quello del “laboratorio” dove si svolgono le “attività” degli studenti che sostituiscono le lezioni, ovviamente con il supporto e il tutoring degli insegnati. Ogni scuola ha poi spazi comuni per l’apprendimento informale e per il peer tutoring abilitato dalle tecnologie, oltre ad aree “protette” per lo studio individuale e  un  Auditorium dove i docenti più preparati e competenti, oppure esperti esterni, tengono “lectures” sui “nuclei fondati” della disciplina a tutti gli studenti dello stesso anno. L’architettura, perciò, segue la metodologia: non più classi dove gli insegnanti tengono lezioni frontali e nozionistiche sugli stessi contenuti a 25/30 allievi alla volta,  ma  “lectio magistralis” su nuclei fondanti nell’Auditorium per tutti gli studenti di uno stesso anno. La tradizionale  didattica di classe è quindi sostituita  da quella che si svolge negli spazi laboratoriali, fisici o digitali, dove gli studenti suddivisi in gruppi e sottogruppi (seguiti da uno o più insegnanti) sviluppano i progetti e le attività sui “nuclei fondanti” delle diverse discipline. Negli spazi di aggregazione informale, poi, gli allievi proseguono autonomamente il lavoro e i progetti e lo stesso fanno a casa sempre seguiti on-line dagli insegnanti. I vecchi compiti sono sostituiti dalla prosecuzione delle attività laboratoriali, svolte a scuola in presenza, nell’ambiente virtuale di apprendimento del gruppo di studenti con il tutoraggio dell’insegnante: addio alle spese per le  ripetizioni!

Si tratto di un modello che può sembrare molto distante da quello della scuola italiana, ma che al netto dell’investimento in cablaggio e banda, richiede solo competenza progettualità e formazione, per “adattare” le nostre scuole a queste metodologie. Non servono grandissimi investimenti strutturali. Anche senza costruire nuove strutture, infatti, si possono adattare gli edifici esistenti a questo nuovo modello didattico e architettonico insieme; ad esempio disponendo nelle classi i banchi ad isola. per creare aree laboratoriali e utilizzando la vecchia “aula magna” o le palestre come Auditorium.

La domanda cruciale è la seguente: saranno in grado Renzi e Giannini di utilizzare la grande occasione dei 3,5 miliardi euro stanziati per l’edilizia scolastica per compiere passi concreti in questa direzione? Speriamo davvero che sia la #svoltabuona!

 

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Paolo Ferri

 

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