Con l’avvio del Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali, le cui linee guida sono attualmente in consultazione, uno dei punti chiave per compiere il salto di livello necessario ad una adeguata diffusione delle competenze digitali nel nostro Paese è di natura organizzativo: come riuscire a mettere a sistema le tantissime iniziative di qualità che sono oggi attive sul territorio. Molte di queste iniziative sono progettate “dal basso”, da parte di associazioni di volontari che dedicano il loro tempo extra-lavoro per rendere concrete idee, proposte, e dar subito forma al cambiamento auspicato.
Accanto a queste, si diffondono le iniziative di diffusione della cultura digitale come attività collaterale, ma allo stesso tempo parte integrante, di quella principale, che ha scopo di business, come succede per i FabLab le cui regole fondanti prevedono l’apertura e la diffusione.
L’organizzazione è a rete
Il cambiamento profondo innescato dalla cultura digitale si esprime anche nel passaggio a un’organizzazione a rete e a un ruolo attivo (produttore di contenuti) di tutti i cittadini.
Il cambiamento è radicale, perché modifica le logiche di interazione e di partecipazione, ma anche il modello di produzione (di contenuti, di servizi, di prodotti) introducendo il principio della prevalenza del valore della collaborazione e del riuso, e quindi aprendo tutte le fasi produttive, a partire dal concepimento e dalla progettazione e poi fino al controllo e al monitoraggio, alla possibilità che più soggetti possano mettere in condivisione esperienze e competenze. E se nei servizi privati questo cambiamento richiede nuovi modelli normativi (il recente caso sorto negli Stati Uniti sul rispetto delle regole fiscali da parte di Airbnb lo testimonia), nei servizi pubblici la spinta maggiore è verso una riorganizzazione profonda e un superamento del modello gerarchico attuale.
Il caso della Scuola è quello che sta emergendo con sempre maggiore evidenza, in cui ad una struttura ancora essenzialmente verticistica si stanno affiancando delle reti di scuole (come ad esempio Book In Progress, il CTSS di Bassano del Grappa o l’esperienza innovativa del Centro Studi Impara Digitale), che vanno oltre il semplice principio di sussidiarietà e costruiscono modelli di organizzazione autonomi per la condivisione di servizi e contenuti. Paradossalmente, le strutture periferiche del Miur, gli Uffici Scolastici Regionali, diventano in gran parte dei territori (con alcune eccezioni) delle strutture del tutto inessenziali nel processo di sviluppo della cultura digitale a scuola e di evoluzione della didattica e visti esclusivamente come organismi amministrativi. Parallelamente, hanno sempre maggior impatto iniziative di volontariato come quelle della rete CoderDojo.
Si vengono a costruire, così, dei sistemi esterni, organizzati a rete, certamente efficaci ma basati essenzialmente sul volontariato, e quindi a macchia di leopardo e con risultati e robustezza organizzativa del tutto dipendenti dal tempo e dalla disponibilità dei promotori. Eccellenti iniziative di riferimento, da mettere a sistema.
Favorire e supportare le reti
La rete è anche il modello ispiratore delle linee di azione del Programma Nazionale per la cultura digitale, come si rileva dalle linee di azione identificate:
- reti di scuole, per la “trasformazione degli ambienti di apprendimento e all’innovazione dei percorsi pedagogico-didattici e processi organizzativi”, ma anche per la promozione della centralità della scuola “per il territorio e sul territorio, quale centro di produzione di cultura digitale e cittadinanza attiva e consapevole”;
- reti integrate pubblico-privato “composte da biblioteche statali, comunali, di università, scuole, accademie e istituzioni pubbliche e private – che offrano ai cittadini un servizio formativo e informativo diffuso e uniforme su tutto il territorio”;
- reti di spazi pubblici “punti di accesso pubblici assistiti e di promozione della cultura digitale, già istituzionalizzati in alcune regioni e Province Autonome, utilizzando gli spazi pubblici attrezzati già presenti (come biblioteche, centri anziani, uffici comunali, uffici postali, sedi RAI), in una logica non progettuale ma di sistema” e “piazze telematiche e centri di democrazia partecipata e co-working, luoghi cioè dove l’utilizzo della rete diventi anche momento di condivisione e confronto tra i vari attori delle comunità locali, incentivando il ruolo attivo delle istituzioni locali, delle imprese e delle associazioni territoriali nel supporto all’utilizzo dei servizi online da parte dei cittadini”. Reti che già esistono anche a livello internazionale, come mostra l’iniziativa SparkLab o l’esperienza del progetto per la realizzazione di Spazi pubblici all’interno di un modello di sviluppo sostenibile e basato sulla cittadinanza attiva anche con l’uso del digitale.
Ma quali sono gli ingredienti principali di natura organizzativa per cui diventa sostenibile e duraturo un cambiamento così profondo? Eccone alcuni:
- prevedere “a sistema” la gestione. Le reti sono organismi complessi che hanno bisogno di attività costanti nel tempo per la loro animazione, per mantenere fluide le connessioni e la partecipazione, per assicurare l’apertura ai nuovi membri, facendo sì che i loro contributi siano veicolati nel modo più efficace, per ottimizzare la condivisione dei contenuti e delle esperienze. Le reti sono organismi delicati che hanno bisogno di cura e manutenzione per poter evolvere nel tempo, come è vitale e necessario che avvenga. Non è possibile pensare ad un cambiamento che si basi su iniziative esclusivamente progettuali, né che si fondi esclusivamente su iniziative di volontariato. Ruolo del settore pubblico è, invece, quello di favorire la nascita, l’evoluzione, l’efficacia, l’ampliamento delle reti, assicurando la piena inclusività, fornendo degli indirizzi-linee guida, evitando marginalizzazioni, valorizzando le esperienze già in atto;
- sviluppare le professionalità di supporto, facilitazione, mentoring, tutoring, evangelizzazione. La gestione delle reti e la diffusione della cultura e delle competenze digitali hanno bisogno di professionalità specifiche, che evolvono con l’esperienza e con le nuove funzionalità tecnologiche. Non si improvvisano. Professionalità in grado di sfruttare appieno le opportunità dell’innovazione tecnologica e comprendere come le comunità possano beneficiarne sempre di più.
Un approfondimento merita quest’ultimo punto, che oggi appare per lo più non tenuto nell’adeguata considerazione. Ed è un grave errore. Perché si tratta di lavori e professionalità nuove dalle quali dipende in larga parte la possibilità di valorizzare realmente la ricchezza delle sinergie e delle risorse di esperienza e competenza sempre più diffuse, di avviare anche un efficace crowdsourcing.
Tra queste professionalità alcune emergono in modo prepotente: si tratta degli e-facilitator, cioè di coloro che riescono a supportare i cittadini (soprattutto delle categorie svantaggiate per genere, età, etnia, cultura, posizione economica) nell’accesso ai servizi online e all’uso dei dispositivi per far sì che possano pienamente esercitare i propri diritti di cittadinanza, non ultimo quello alla formazione; deimentor, il cui ruolo è di accompagnare verso un’acquisizione sempre più autonoma di competenze digitali evolute (sapendo che lo sviluppo delle competenze digitali non è mai acquisito ma sempre “in progress”), sia che si tratti di bambini che imparano a programmare sia di microimprenditoriche imparano a diventare e-leader; di e-tutor per ciascuna organizzazione (soprattutto nel settore pubblico e ancor di più in organizzazioni capillari come quelle scolastiche), il cui ruolo è fare da riferimento per lo sviluppo interno delle competenze digitali, attraverso attività di formazione e supporto alla loro applicazione nel contesto lavorativo; dei community e dei social media manager, che si occupano dell’adeguatezza costante delle piattaforme di comunicazione e condivisione rispetto alle esigenze della specifica comunità.
Questi sono alcuni tratti del cambiamento che deve accompagnare un’iniziativa strategica come il Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali. Un cambiamento che passa in modo pervasivo attraverso tutte le organizzazioni e a tutti i livelli, e che richiede un nuovo paradigma di funzionamento basato sulla cultura digitale di massa.
Dare centralità strategica a questo cambiamento è evidentemente necessario per il futuro del Paese. E questo significa dare centralità, riconoscere, curare tutte quelle professionalità fondamentali per lo sviluppo competente di un nuovo modello organizzativo, in cui il settore pubblico è chiamato a “farsi piattaforma” in grado di indirizzare e coordinare, essere sistema di knowledge management, ma soprattutto capace di essere terreno fertile per l’innovazione.
FONTE: Agenda Digitale (www.agendadogotale.eu)
AUTORE: Nello Iacono