Dati Ocse su precariato ed età alta prof allarmanti: si rivedano le norme su reclutamento e turn over Con oltre il 50% di over 50 e l’11,1% con più di 60 anni, l’Italia è il Paese Ocse con gli insegnanti più anziani. E quasi la metà dei presidi è over 60. Inoltre, il 18,5% dei docenti di scuola primaria e secondaria sono precari: la percentuale è la quarta più elevata tra i Paesi membri dell’organizzazione. Inoltre, l’88% percepisce “l’insegnamento scarsamente valorizzato nella società”.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): il vero dramma professionale è che se escludiamo gli aspiranti docenti che si trovano nelle GaE, oggi in Italia vi sono quasi mezzo milione di prof precari senza prospettive. Serve una norma che permetta a decine di migliaia di professionisti di fare quello per cui hanno studiato, sono stati selezionati e formati nelle nostre Università: soltanto in Italia si invecchia sognando un posto. Il sondaggio Talis (Teaching and learning International Survey) condotto dall’Ocse in un totale di 24 Paesi, pubblicato oggi, conferma la necessità di rivedere con urgenza il sistema normativo che regola il reclutamento e il turn over scolastico italiano: il nostro è il Paese Ocse con gli insegnanti più anziani, con un’età media di 48,9 anni, oltre il 50% di over 50 e l’11,1% con più di 60 anni.
La situazione è simile anche per i presidi: con 57 anni di età media, l’Italia è seconda solo alla Corea (58,8) e a pari merito con il Giappone. Oltre l’85% dei presidi italiani ha più di 50 anni, e il 46,5% ne ha più di 60. Sempre i dati Ocse riferiscono che i presidi italiani ritengono che nella sua scuola ci sia una mancanza di risorse, materiali e umane, che ha un impatto negativo sull’insegnamento: il 58% dei dirigenti scolastici rileva una carenza nel numero di insegnanti di sostegno, e il 77,5% in quello del personale non docente. E sulla mancanza di risorse umane pesa anche l’altissimo il numero di insegnanti assunti a termine: il 18,5% dei docenti di scuola primaria e secondaria sono precari, con contratti a tempo determinato da un anno scolastico o meno. La percentuale è la quarta più elevata tra i Paesi membri dell’organizzazione, dopo Romania (25%), Cipro (20,1%) e Finlandia (19,2%), e a pari con il Cile.
Inoltre, per il 56,4% dei docenti il materiale pedagogico è insufficiente o inappropriato, per il 56% computer per allievi e professori sono insufficienti, per il 47,4% la disponibilità di connessione Internet è inadeguata e per il 43,6% le risorse bibliotecarie sono carenti. In questo quadro di scarsità di risorse – umane, strumentali, finanziarie – e di trattenimento in servizio oltre ogni logica, visto che l’insegnamento è una professione iper-logorante, la maggior parte degli insegnanti italiani si dice comunque “soddisfatta”. Anche se poi dallo stesso sondaggio internazionale emerge che l’88% percepisce “l’insegnamento scarsamente valorizzato nella società”. Alla luce di questi dati internazionali, inequivocabili perché super partes, Anief ritiene che il Governo italiano debba prendere atto della necessità di attuare un grande piano di assorbimento del precariato: stiamo parlando, come rilevato pochi giorni fa dalla stampa nazionale, di 155mila insegnanti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, 130mila abilitati iscritti nella seconda fascia delle graduatorie d’istituto e di almeno altri 340mila inseriti nella terza fascia.
Per un totale che supera le 620mila unità: praticamente quattro volte i precari di tutte le altre pubbliche amministrazioni messe assieme. “Ma il vero dramma professionale – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è che se escludiamo gli aspiranti docenti che si trovano nelle GaE, oggi in Italia vi sono quasi mezzo milione di prof precari senza prospettive. Solo una minima parte di loro, qualche migliaio, riuscirà infatti a vincere il concorso che dovrebbe portare, il condizionale è d’obbligo vista l’ultima esperienza, direttamente al ruolo. In tanti si abilitano: il problema è che i corsi abilitanti – Tfa, Pas, Scienze della formazione e altri – non permettono di inserirsi nel doppio canale di reclutamento che permetterebbe di insegnare con continuità e col tempo aspirare all’assunzione in ruolo.
E questo perché il legislatore che ha previsto una nuova formazione iniziale su un numero programmato di posti disponibili per garantire l’accesso alla professione ai giovani insegnanti ma non la gestione del loro reclutamento”. Malgrado ciò, l’insegnamento in Italia rimane un lavoro ambito: è notizia di questi giorni che ben 147mila laureati hanno presentato domanda di accesso al secondo ciclo dei Tirocini formativi attivi. Che però, per quello che valgono oggi, non portano all’immissione in ruolo. “Per questo – continua Pacifico – chiediamo una norma che permetta a decine di migliaia di professionisti di fare quello per cui hanno studiato, sono stati selezionati e formati nelle nostre Università: insegnare. È irragionevole tenere fuori dal sistema delle graduatorie il personale abilitato, anche quando le graduatorie di quella classe concorsuale sono esaurite. Soltanto in Italia si invecchia sognando un posto da insegnante che ormai arriva in media, come ci hanno confermato oggi i dati Ocse, dopo i 40 anni”.
È evidente che il Miur continua a far funzionare le scuole italiane continuando ad abusare dell’utilizzo di contratti a termine. Anziché allinearsi all’Europa, dove dopo 36 mesi di servizio precario anche non continuativo si viene assunti, nelle scorse settimane l’amministrazione ha ufficializzato che nel prossimo triennio assumerà appena la metà dei posti oggi vacanti: 63mila immissioni in ruolo nel periodo 2014/2017, a fronte però di 125mila posti vacanti e disponibili. E ciò non porta nemmeno vantaggi all’erario: perché la Ragioneria dello Stato ha comunicato che ogni anni si spendono ben 800 milioni di euro per tenere in piedi il precariato della scuola.
“La verità – conclude Pacifico – è che da decenni il numero dei docenti precari della scuola italiana, utilizzati per l’ordinario funzionamento, è attestato tra il 15% ed il 20% di quello totale. E questa percentuale ha resistito pure al taglio dei 200mila posti, considerando anche gli Ata, negli ultimi sei anni per effetti dei piani di razionalizzazione introdotte con le leggi 244/2007, 133/2008, 111/11 e 135/12. Non dobbiamo meravigliarci se poi oggi l’Ocse ci dice che in Finlandia, nei Paesi Bassi, Singapore e in Canada una percentuale tra il 40 e il 68% dei docenti sente che l’insegnamento adeguatamente valorizzato. E se in Italia, invece, solo un docente su dieci la pensa allo stesso modo”.
FONTE: AgenParl – Agenzia Parlamentare per l’Informazione Politica ed Economica
AUTORE: Ugo Giano