Le anticipazioni del Rapporto Invalsi 2025 rivelano un quadro complesso: il vero ostacolo al successo scolastico non sono le classi affollate, ma le disuguaglianze causate dall’isolamento geografico e dalle disparità sociali.


A pochi giorni dalla pubblicazione ufficiale del rapporto Invalsi 2025, prevista per il 9 luglio, un’anticipazione apparsa su Il Sole 24 Ore porta alla luce risultati inaspettati che mettono in discussione alcune convinzioni diffuse sulla scuola italiana. L’immagine che emerge è quella di un sistema educativo in cui il rendimento degli studenti non è direttamente correlato al numero di alunni per classe, ma piuttosto al contesto socio-territoriale in cui si trovano.

Il gap territoriale che pesa sull’istruzione

Secondo i dati anticipati, il divario educativo più marcato si osserva nelle cosiddette “aree interne”, ovvero quei territori distanti dai servizi essenziali come ospedali, trasporti pubblici e istituti scolastici superiori. Si tratta di circa 4.000 comuni italiani, abitati complessivamente da 13 milioni di persone, tra cui 2 milioni di minori. In queste zone, le difficoltà logistiche e infrastrutturali si riflettono pesantemente sulla qualità dell’istruzione e sui risultati scolastici.

Gli studenti che vivono in questi contesti, infatti, mostrano livelli di apprendimento generalmente più bassi rispetto ai loro coetanei delle aree urbane. Questo divario non solo limita le opportunità individuali, ma mina anche la coesione sociale del Paese, contribuendo ad amplificare le fratture territoriali già esistenti.

I numeri che smentiscono il mito delle “classi pollaio”

Contrariamente alla convinzione diffusa secondo cui classi numerose comprometterebbero la qualità dell’insegnamento, i dati Invalsi indicano una realtà più articolata. Nella scuola primaria, ad esempio, la quota di studenti con difficoltà nell’apprendimento è più alta nelle classi con meno di 20 alunni (52,4%) rispetto a quelle con oltre 25 (45,6%). Una tendenza analoga si registra nella scuola secondaria di primo grado, dove gli studenti in difficoltà sono 27.190 nelle classi meno numerose, contro 23.077 in quelle più grandi.

Anche nella secondaria di secondo grado, dove le cosiddette “classi pollaio” sono più frequenti, l’incidenza di queste situazioni è comunque limitata: in media coinvolgono solo l’1,4% delle classi e il 2,1% degli studenti. Il fenomeno è più evidente nei primi anni delle scuole superiori: nel solo primo anno, le classi con oltre 27 studenti rappresentano il 3,7% del totale (927 su 25.326), coinvolgendo circa 26.439 ragazzi, pari al 4,7% degli iscritti. Eppure, anche in questo caso, non emerge una correlazione netta tra numero di studenti e rendimento scolastico.

L’Italia tra i Paesi con meno studenti per classe

A rafforzare questa lettura contribuisce anche un’analisi dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, che colloca l’Italia tra i Paesi con il minor numero di alunni per classe, sia rispetto alla media OCSE sia nel confronto internazionale.

Una posizione dovuta, in parte, alla riduzione della popolazione scolastica e, parallelamente, all’aumento del numero di insegnanti, in particolare nel settore del sostegno.

Negli ultimi dieci anni, il numero dei docenti di sostegno è cresciuto dell’80,5%, permettendo all’Italia di superare l’obiettivo fissato nel 2007 per il rapporto tra alunni con disabilità e insegnanti specializzati. Tuttavia, questa categoria continua a risentire dell’elevata quota di contratti a tempo determinato e della carenza di una formazione specifica adeguata.

Il nodo strutturale secondo i dati Invalsi 2025: disuguaglianze nelle risorse, non le aule affollate

In definitiva, i dati suggeriscono che il cuore del problema non risiede nella densità delle classi, ma nelle condizioni materiali e sociali in cui la scuola opera. Le difficoltà educative si radicano nella mancanza di investimenti, nell’inadeguatezza dei servizi nei territori periferici e nelle diseguaglianze di partenza che condizionano i percorsi formativi fin dall’infanzia.

Il rapporto Invalsi, ancora in attesa di pubblicazione ufficiale, si preannuncia dunque come un’importante occasione per spostare il dibattito pubblico dalle apparenze ai nodi strutturali del sistema scolastico italiano: perché per garantire davvero il diritto allo studio, non basta ridurre il numero di alunni per classe, ma è necessario colmare i vuoti di accesso e opportunità che ancora dividono il Paese.