Un’importante pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro (Ordinanza 11081 del 27 aprile 2025), fa chiarezza sui limiti dell’intervento del giudice nelle controversie relative alle valutazioni dei dipendenti pubblici.
La Corte ha infatti sottolineato, ancora una volta, come il dipendente abbia diritto a un corretto svolgimento delle procedure di valutazione, potendo agire per ottenere una nuova valutazione o un risarcimento danni, ma non chiedere al giudice di prendere il posto del datore di lavoro nelle decisioni che richiedono discrezionalità.
Quando il dipendente può agire per la valutazione
Secondo la Cassazione, un lavoratore del settore pubblico contrattualizzato ha il diritto di richiedere che le operazioni di valutazione siano svolte in modo preciso e trasparente.
Questo significa che può chiedere che una valutazione venga ripetuta se ritiene ci siano stati errori, e può anche domandare un risarcimento per eventuali pregiudizi subiti, inclusa la cosiddetta “perdita di chance” (cioè la possibilità di ottenere un beneficio che è venuto meno).
Il giudice non si sostituisce al datore di lavoro nella valutazione discrezionale dei dipendenti pubblici
Tuttavia, la Corte ha specificato che il giudice può intervenire per attribuire al dipendente la posizione desiderata solo se la graduatoria finale della selezione è basata su criteri fissi e oggettivi, già stabiliti in precedenza. In pratica, se i punteggi sono assegnati in modo automatico in base a determinati requisiti (come un titolo o un’esperienza specifica), allora il giudice può agire.
Se, invece, la valutazione prevede un margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro, il giudice non può sostituirsi ad essa. Questo principio appareva già affermato in precedenti sentenze (Ordinanze n. 22029 del 12 luglio 2022 e n. 26615 del 18 ottobre 2019).
Anzianità di funzione e risarcimento del danno: le contestazioni respinte
Nel caso specifico esaminato dall’ordinanza, la parte ricorrente ha contestato la decisione della Corte d’Appello riguardo la mancata motivazione dell’esclusione del punteggio legato all’anzianità di funzione di una lavoratrice. A suo dire, questa mancanza non avrebbe causato direttamente il danno lamentato, poiché anche con una motivazione, il punteggio finale della graduatoria non sarebbe cambiato.
La ricorrente ha anche messo in discussione la quantificazione del risarcimento, sostenendo che un’eventuale proroga dell’incarico non avrebbe comportato automaticamente il rinnovo della posizione assegnata alla dipendente.
Entrambe queste obiezioni sono state ritenute inammissibili dalla Cassazione. La Corte ha ribadito che la sentenza impugnata ha correttamente riconosciuto come il difetto di motivazione della commissione di valutazione riguardo il punteggio dell’anzianità di servizio abbia necessariamente portato all’attribuzione del punteggio aggiuntivo alla dipendente, con il conseguente diritto alla posizione organizzativa che le era stata negata e il riconoscimento del danno da perdita di chance.
Spese processuali: il principio della soccombenza
Un altro punto affrontato dalla sentenza riguarda le spese processuali. La ricorrente ha contestato la condanna al pagamento delle spese di lite, richiamando norme del codice di procedura civile. La Cassazione ha però confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello.
Si chiarisce che il principio della “soccombenza” (ovvero il fatto di perdere la causa) implica che solo la parte che vince completamente non può essere condannata, nemmeno per una piccola parte, al pagamento delle spese. Questo criterio si applica all’esito finale della controversia nel suo complesso, senza considerare gli esiti intermedi delle varie fasi del giudizio.
Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che il suo controllo sulle spese si limita a verificare che non risulti violato il principio secondo cui la parte vittoriosa non può gravarsi delle spese. La valutazione sulla possibilità di compensare (cioè suddividere) in tutto o in parte le spese di lite, sia in caso di soccombenza reciproca (quando entrambe le parti perdono in parte), sia in presenza di altri giustificati motivi, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.