Il Ministro Paolo Zangrillo “minaccia” i sindacati: dopo i referendum di giugno, l’esecutivo pronto a muoversi sulla firma del rinnovo del contratto degli statali e sugli aumenti anche senza accordo, direttamente tramite la legge. Scoppiano le polemiche.
“Niente attese infinite”, questo il messaggio lanciato dal titolare del dicastero della Funzione Pubblica. Cgil, Uil e USB insorgono: “Così si cancella la contrattazione”. Il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego si conferma così ancora una volta terreno di scontro tra governo e sindacati.
Rinnovo contratto Statali: Zangrillo vuole aumenti per “legge”
Il ministro per la Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, ha annunciato l’intenzione di sbloccare gli aumenti salariali, anche in modo unilaterale, se dopo i referendum dell’8 e 9 giugno non si troverà un’intesa con le organizzazioni sindacali. “L’attesa non può diventare permanente – ha dichiarato – porterò la questione in Consiglio dei Ministri per valutare l’erogazione diretta degli aumenti”.
L’ipotesi sul tavolo è quella di una misura straordinaria, che consentirebbe al governo di trasferire le risorse disponibili direttamente in busta paga, senza attendere l’accordo sui contratti collettivi. Una possibilità che, secondo il ministro, diventerebbe inevitabile di fronte alla continua opposizione di alcuni sindacati, accusati di utilizzare la trattativa come strumento politico. “Hanno scelto di chiudere la porta – ha commentato Zangrillo – e considero questa posizione un grave errore strategico. Le condizioni per firmare ci sono tutte”.
Risorse stanziate e aumento promesso
Zangrillo ha ricordato che già si prevedono 20 miliardi di euro per il rinnovo dei contratti pubblici, a cui si sommano ulteriori fondi per il salario accessorio. Particolare attenzione è stata rivolta agli enti locali, dove – ha detto – i Comuni virtuosi potranno garantire un incremento retributivo significativo. L’incremento medio previsto per i dipendenti pubblici si aggira intorno ai 140 euro, a cui si aggiungono, per determinate categorie, ulteriori compensi: per gli infermieri, ad esempio, si parla di aumenti fino a 520 euro mensili.
Ma la disponibilità economica, sostiene il ministro in un’intervista al quotidiano Il Messagero, non è illimitata: “Il collega dell’Economia Giorgetti, giustamente, mi chiede se questi fondi verranno effettivamente utilizzati, considerata la pressione su altri capitoli fondamentali, come pensioni e riduzione fiscale”.
La replica dei sindacati CGIL e UIL: “Contratto a perdere”
Le dichiarazioni del ministro non sono passate inosservate. La Cgil Funzione Pubblica, per voce della segretaria generale Serena Sorrentino, ha replicato con durezza. “Ci aspettiamo dalle istituzioni un tono istituzionale – ha affermato – invece assistiamo a continui attacchi. Il ministro preferisce colpevolizzare chi chiede aumenti adeguati, ignorando che la proposta del governo copre meno di un terzo dell’inflazione accumulata”.
Sorrentino ha ribadito che la Cgil chiede risorse sufficienti per rinnovare i contratti in modo serio e per rimuovere i limiti al salario accessorio in tutti i comparti: centrali, locali e sanitari. “Non basta riconoscere che le risorse non bastano – ha sottolineato – serve il coraggio di fare qualcosa di concreto”.
Anche la Uil ha espresso indignazione per l’eventualità di un’erogazione unilaterale. Il segretario generale PierPaolo Bombardieri ha accusato il governo di voler rinviare i benefici salariali al 2027, nonostante le risorse siano già stanziate nella legge di bilancio 2025. “Non si può accusare il sindacato di fare politica – ha dichiarato – quando in realtà sta solo chiedendo che i lavoratori recuperino quanto perso in questi anni. È chi gioca con il contratto a fini propagandistici che prende in giro il personale pubblico”.
USB: “Atto gravissimo, la contrattazione è finita”
Durissima la posizione dell’Unione Sindacale di Base. L’organizzazione ha definito “gravissima” l’ipotesi di bypassare i tavoli negoziali attraverso un decreto. “La realtà – ha affermato USB – è che le risorse economiche non sono mai state oggetto di vera trattativa. Le richieste per adeguare gli stipendi al costo reale della vita sono sempre state ignorate, persino dopo gli scioperi. Anche le proposte sul fronte normativo sono state respinte per non pesare sugli aumenti”.
Secondo il sindacato di base, il governo avrebbe di fatto già archiviato la contrattazione collettiva, scegliendo di anticipare una parte delle risorse a dicembre 2023 senza alcuna consultazione. Inoltre, nel documento programmatico sulle finanze pubbliche, l’esecutivo avrebbe fissato i tetti di spesa per i rinnovi futuri fino al 2030, rendendo impossibile qualsiasi margine di manovra, persino per compensare l’inflazione.
Oltre gli stipendi, una questione democratica
Per USB, il confronto contrattuale non riguarda più solo il livello salariale, ma tocca aspetti più profondi. “L’eliminazione di fatto del dialogo con i corpi intermedi – si legge in una nota – rappresenta una deriva autoritaria che mina la stessa struttura democratica. Un atteggiamento che si inserisce in un contesto in cui, tra aumento della spesa militare e restrizioni crescenti, il lavoro pubblico sembra essere percepito come un ostacolo da aggirare”.
Il nodo dei rinnovi contrattuali, dunque, si intreccia con un più ampio confronto politico e sociale, dove le rivendicazioni sindacali si scontrano con un esecutivo intenzionato ad andare avanti comunque. I prossimi mesi, a partire dalla fine della tornata referendaria, si preannunciano decisivi: da una parte la possibilità di aumenti immediati ma imposti dall’alto, dall’altra il rischio di uno scontro istituzionale senza precedenti.
Riflettiamo un attimo, mettendo da parte la propria ideologia politica:
in tutto questo tira e molla, chi ci sta rimettendo?
Sicuramente non le sigle sindacali, che le proprie quote se le stanno tranquillamente incassando