La Sezione Giurisdizionale Regionale per il Molise ha escluso la responsabilità amministrativa e il danno erariale in un caso di presunte irregolarità nelle progressioni di carriera del personale di un ente locale.


La sentenza rappresenta un punto fermo importante nella distinzione tra violazioni formali e danni effettivi per la pubblica amministrazione, richiamando l’attenzione sulla necessità di valutazioni caso per caso e sulla centralità del principio di efficienza nella gestione del personale pubblico.

Il caso

Con la sentenza n. 24 del 2025, la Corte dei Conti del Molise ha messo la parola fine a un procedimento che aveva suscitato preoccupazione all’interno della pubblica amministrazione. Al centro del caso, una serie di avanzamenti di carriera — le cosiddette “progressioni verticali” — che, secondo la Procura contabile, erano state attuate in violazione delle norme previste dal decreto legislativo 75 del 2017.

L’inchiesta, avviata su segnalazione dell’Unità Operativa di monitoraggio contratti e affari legali, si concentrava su alcune procedure selettive ritenute irregolari. Nello specifico, le promozioni interne avrebbero superato i limiti numerici stabiliti dalla normativa vigente, in particolare l’articolo 22, comma 15, del d.lgs. 75/2017. Secondo l’accusa, questo sforamento avrebbe comportato un danno per le finanze pubbliche, rappresentato dagli stipendi corrisposti ai dipendenti promossi fino al termine del loro servizio.

La Procura sosteneva inoltre che le irregolarità avessero compromesso l’equilibrio tra le diverse forme di reclutamento previste per il personale, ostacolando il principio di buon andamento dell’azione amministrativa e incidendo negativamente sull’organizzazione degli enti pubblici.

Progressioni verticali irregolari ma senza danno erariale

Tuttavia, la Corte ha adottato un’interpretazione più articolata e meno automatica del concetto di danno erariale. I magistrati contabili hanno infatti ribadito un principio fondamentale della giurisprudenza contabile: la mera illegittimità di un atto amministrativo, per quanto rilevante sotto il profilo del rispetto delle norme, non è sufficiente a fondare una responsabilità amministrativa. Serve, infatti, la dimostrazione concreta di un pregiudizio patrimoniale subito dall’ente pubblico.

In quest’ottica, il giudizio della Corte si è focalizzato sulla sostanza piuttosto che sulla sola forma. Anche se le procedure di progressione verticale si sono svolte in violazione di alcune disposizioni di legge – come l’omissione delle fasi di mobilità obbligatorie o il superamento delle soglie numeriche consentite – non è emersa alcuna prova che queste irregolarità abbiano causato un danno effettivo alle casse dell’ente.

Anzi, la valutazione dei fatti ha evidenziato che i dipendenti interessati avevano pienamente svolto le funzioni corrispondenti alla nuova qualifica ottenuta, operando in linea con quanto previsto dai rispettivi contratti di lavoro riformulati. In altre parole, le mansioni superiori non sono rimaste sulla carta: sono state effettivamente esercitate e hanno contribuito al funzionamento dell’amministrazione.

Questa circostanza è risultata decisiva nel giudizio della Corte, che ha escluso la configurabilità di un danno pubblico. È stato infatti osservato che, pur in presenza di violazioni formali, la prestazione lavorativa resa ha avuto una sua utilità concreta, rispondendo alle esigenze dell’ente e garantendo comunque la continuità dei servizi. In termini giuridici, la Corte ha affermato che non si può parlare di prestazione “inutiliter data, cioè priva di valore per l’amministrazione.

La conclusione, quindi, è che non ogni atto viziato porta automaticamente a una lesione delle finanze pubbliche. Occorre una verifica sostanziale, fondata su dati oggettivi, per accertare se l’azione amministrativa, anche se irregolare, abbia comunque prodotto un risultato utile. In assenza di tale nesso causale tra irregolarità e danno patrimoniale, non si configura alcuna responsabilità erariale.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.