Con l’ordinanza 11353/2025, la Sezione Lavoro della Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema delle posizioni organizzative all’interno degli enti locali, fornendo un’importante interpretazione in merito alla discrezionalità riconosciuta al datore di lavoro pubblici nella loro gestione.
In un recente pronunciamento, la Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per il funzionamento della macchina amministrativa, offrendo chiarimenti che interessano da vicino enti locali e dipendenti pubblici. L’ordinanza affronta aspetti decisivi della gestione del personale, con particolare attenzione a un ambito spesso oggetto di interpretazioni discordanti. Un contributo rilevante per comprendere meglio diritti, doveri e margini di manovra nella pubblica amministrazione.
Assegnazione delle posizioni organizzative negli enti locali: sono “a discrezione” del datore di lavoro
La Suprema Corte ha ribadito che l’attivazione delle posizioni organizzative – secondo quanto previsto dall’articolo 9 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 31 marzo 1999 – rappresenta una possibilità, non un obbligo per l’amministrazione. In altri termini, la scelta di istituire questi incarichi, che comportano specifiche responsabilità gestionali e organizzative, rientra nella libertà decisionale del datore pubblico e deve essere formalizzata attraverso un provvedimento scritto e motivato.
Anche l’eventuale rinnovo dell’incarico, alla scadenza del periodo stabilito, non è automatico: la sua conferma, infatti, dipende da una nuova valutazione da parte dell’ente, che dovrà esprimersi nuovamente con un atto formale motivato. L’incarico è quindi sempre a termine, con durata limitata nel tempo, e non può trasformarsi in una funzione stabile o permanente.
I compensi che spettano al dipendente
La Corte ha inoltre precisato che al dipendente incaricato spettano due tipi di compenso:
- una retribuzione legata alla posizione ricoperta
- e un’ulteriore componente premiale, collegata ai risultati conseguiti.
Tuttavia, qualora si renda necessaria una revoca anticipata dell’incarico – circostanza che può verificarsi solo per riorganizzazioni interne oppure per accertate carenze nei risultati – questa deve anch’essa essere disposta per iscritto e adeguatamente motivata. La revoca comporta il venir meno degli emolumenti aggiuntivi e il ritorno del dipendente alle funzioni proprie del suo profilo contrattuale di base.
Valorizzazione delle cosiddette “alte professionalità”
Un ulteriore passaggio dell’ordinanza riguarda la valorizzazione delle cosiddette “alte professionalità”, disciplinate dall’articolo 10 del CCNL 2002-2005. Secondo la Corte, anche in questo caso si applicano le stesse regole previste per le posizioni organizzative, in particolare quelle contenute nell’articolo 8 del CCNL 1999: la decisione di confermare o meno gli incarichi già attribuiti resta comunque una scelta a discrezione del datore di lavoro pubblico.
Le conclusioni dei giudici
In sintesi, la Cassazione ha tracciato un quadro chiaro: la gestione delle posizioni organizzative negli enti pubblici è guidata da criteri di opportunità e da un potere decisionale non vincolato, purché ogni atto sia motivato e tracciabile. Una precisazione che rafforza il principio secondo cui tali incarichi devono essere intesi come strumenti gestionali flessibili e non come diritti soggettivi dei singoli lavoratori.
quali sono i requisiti per assegnazione posizione organizzativa ?