Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per la tutela dei dipendenti pubblici che hanno dei rapporti di lavoro part-time.


Si tratta di una decisione in particolare rivolta a quelli transitati in un nuovo ente locale: la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time o viceversa, inclusa la variazione delle ore lavorative, non può avvenire per decisione unilaterale del datore di lavoro. È sempre necessario il consenso esplicito del lavoratore.

La decisione della Suprema Corte si inserisce in un contenzioso che ha visto coinvolto un ente locale e il suo personale, trasferito da un’altra amministrazione.

L’ente sosteneva di poter applicare le proprie regole interne in merito al regime di lavoro a tempo parziale, anche imponendo ai nuovi dipendenti una nuova domanda per l’applicazione del part-time o modificando unilateralmente l’orario. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che le normative interne dell’ente non possono prevalere sulle disposizioni di legge che regolano il rapporto di lavoro a tempo parziale.

Il cuore della questione: la libertà di scelta del lavoratore

La Corte ha richiamato in particolare il Decreto Legislativo n. 81/2015, specificamente l’articolo 8. Questa norma stabilisce in modo inequivocabile due punti cruciali:

  • Nessun licenziamento per rifiuto del part-time: Il rifiuto di un dipendente di passare da un contratto a tempo pieno a part-time, o viceversa, non può mai essere considerato un motivo valido per il licenziamento. Questo significa che il lavoratore ha il diritto di mantenere il proprio orario, senza subire ritorsioni o provvedimenti disciplinari.
  • Accordo scritto obbligatorio: Qualsiasi modifica dell’orario, che sia una riduzione a part-time o un aumento delle ore, deve essere formalizzata tramite un accordo scritto tra le parti, ovvero tra il datore di lavoro e il dipendente. Questa previsione, già consolidata nella giurisprudenza italiana, mira a proteggere la stabilità del rapporto di lavoro e la libera scelta del lavoratore. Solo il rientro dal part-time al tempo pieno può avvenire unilateralmente da parte del lavoratore.

Le argomentazioni dell’ente e la loro infondatezza

L’ente ricorrente aveva basato il proprio ricorso su diverse motivazioni. Aveva lamentato che l’estensione degli effetti dell’articolo 2112 del Codice Civile (che disciplina il trasferimento d’azienda e la conservazione dei diritti dei lavoratori) non si applicasse alla successiva gestione del rapporto di lavoro, sostenendo di avere piena autonomia regolamentare per disciplinare l’orario part-time. Inoltre, riteneva che la Corte d’Appello non avesse tenuto conto delle leggi e dei contratti collettivi che, a suo dire, avrebbero permesso al regolamento interno di prevalere.

Tuttavia, la Cassazione ha respinto tutte queste argomentazioni. Ha evidenziato che la normativa che ha disciplinato il trasferimento del personale agli enti territoriali prevede esplicitamente la conservazione del trattamento in godimento al momento del passaggio. In altre parole, il contratto di lavoro così come costituito, inclusivo dell’orario di lavoro a tempo parziale, si trasferisce intatto al nuovo datore di lavoro.

Un segnale chiaro per la PA: la Cassazione tutela i dipendenti pubblici in part-time

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione invia un messaggio chiaro a tutte le amministrazioni pubbliche: la flessibilità organizzativa non può andare a discapito dei diritti fondamentali dei lavoratori. La trasformazione del regime orario, come il passaggio al part-time o l’aumento delle ore, non può essere imposta, ma richiede sempre un atto di volontà e consenso da parte del dipendente.

Questa decisione rafforza la tutela del personale transitato tra enti e sottolinea l’importanza di rispettare le disposizioni di legge in materia di orario di lavoro, privilegiando la libertà di scelta del lavoratore e la necessità di un accordo scritto per qualsiasi modifica sostanziale del rapporto.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.