Un semplice ritardo, anche di un giorno, nell’invio del certificato medico può costare il posto di lavoro: lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 13747 depositata il 22 maggio 2025.
Si accendono così i riflettori su un obbligo spesso sottovalutato ma fondamentale per i rapporti tra datore di lavoro e dipendente: la tempestiva comunicazione dello stato di malattia.
Il caso
La controversia è nata da un episodio apparentemente banale ma con conseguenze gravi. Una lavoratrice, colpita da un malessere improvviso, si era assentata dal lavoro per cinque giorni consecutivi. Tuttavia, anziché avvisare tempestivamente il datore di lavoro e inviare il certificato medico come previsto dalle norme contrattuali, aveva comunicato l’assenza con diversi giorni di ritardo. Il certificato, infatti, era stato inoltrato solo a distanza di tempo dall’inizio dell’infermità, senza alcuna spiegazione convincente sulle ragioni di quel ritardo.
L’ente, venuto a conoscenza della prolungata assenza solo successivamente, ha interpretato quel comportamento come un venir meno degli obblighi minimi di lealtà e collaborazione. Di fronte a quella che ha ritenuto una mancanza ingiustificata e potenzialmente lesiva dell’organizzazione interna, ha scelto la linea dura: il licenziamento per giusta causa, motivato dalla perdita di fiducia nel rapporto professionale.
La dipendente, però, si è opposta fin da subito alla decisione, ritenendo sproporzionata la reazione del datore di lavoro rispetto all’accaduto. A suo avviso, si trattava di un errore umano, una dimenticanza occasionale che non avrebbe dovuto portare alla sanzione estrema del licenziamento. Ha quindi intrapreso un’azione legale, puntando a dimostrare che la sua condotta non era sufficientemente grave da giustificare la cessazione immediata del contratto.
Il certificato di malattia in ritardo fa scattare il licenziamento: il parere della Cassazione
La Suprema Corte ha confermato senza esitazioni la legittimità del licenziamento, ribadendo un principio tanto semplice quanto inderogabile: il lavoratore, sia nel settore pubblico, sia nel settore privato, è tenuto a comunicare tempestivamente l’assenza per motivi di salute, salvo che non sussistano impedimenti oggettivi e documentabili. Il termine di riferimento è di un giorno dall’inizio dell’assenza, come stabilito dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Secondo i giudici di legittimità, non si tratta di un dettaglio procedurale, ma di un obbligo sostanziale che incide direttamente sulla tenuta del rapporto di lavoro. Le norme contrattuali – ha spiegato la Cassazione – parlano chiaro e non ammettono letture estensive: il mancato rispetto delle tempistiche nella trasmissione del certificato medico configura una violazione rilevante, capace di minare in modo irreversibile il rapporto fiduciario tra dipendente e amministrazione.
Nel caso specifico, la lavoratrice non aveva fornito spiegazioni sufficienti né giustificazioni concrete per il ritardo, limitandosi a definire l’accaduto come una semplice dimenticanza. Ma per la Corte, un simile comportamento è incompatibile con i doveri del pubblico dipendente, che è chiamato ad agire con particolare attenzione e correttezza proprio in virtù della funzione pubblica che esercita.
Lo sostiene anche il Codice Civile
Il riferimento al Codice Civile è stato altrettanto netto: l’articolo 2104, che sancisce l’obbligo di diligenza del lavoratore, impone una condotta scrupolosa nell’adempimento dei propri compiti. Nell’ambito del pubblico impiego, ciò si traduce anche nel rispetto rigoroso delle procedure previste per le assenze per malattia. L’invio tempestivo del certificato sanitario, quindi, non è una mera formalità burocratica, ma una componente essenziale del rapporto lavorativo, funzionale a garantire trasparenza, correttezza e continuità nei servizi offerti alla collettività.
La pronuncia si inserisce così nel solco di una giurisprudenza sempre più attenta alla responsabilità individuale nel pubblico impiego, dove la fiducia tra amministrazione e dipendente è considerata un bene da tutelare con rigore, anche a costo di ricorrere alla sanzione più drastica.
Una decisione formalmente corretta, ma che divide
Da un punto di vista strettamente giuridico, il procedimento seguito appare legittimo: il datore di lavoro, di fronte a una violazione degli obblighi contrattuali, può contestare l’inadempimento e – nei casi più gravi – arrivare alla risoluzione del rapporto. I CCNL del comparto pubblico, prevedono espressamente che il lavoratore debba comunicare l’assenza entro un giorno dall’inizio.
Ad esempio, l’articolo 12 del CCNL del comparto Funzioni Centrali stabilisce:
“L’assenza per malattia, salvo comprovato impedimento, deve essere comunicata all’ufficio di appartenenza tempestivamente e comunque all’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui si verifica, anche nel caso di eventuale prosecuzione dell’assenza.“
Il mancato rispetto di tale termine, se non giustificato da impedimenti reali, può configurare una condotta sanzionabile, anche con il licenziamento.
Tuttavia, sul piano dell’equità e della proporzionalità, la questione è tutt’altro che pacifica. Molti giuristi sollevano perplessità sulla rigidità con cui vengono applicate queste norme, soprattutto quando mancano precedenti disciplinari e la condotta incriminata sembra derivare più da una dimenticanza che da una reale volontà di danneggiare l’ente.
Il principio di proporzionalità sotto pressione
Il diritto del lavoro, specie nel settore pubblico, si fonda sul principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione. Secondo alcuni esperti, è discutibile che un semplice ritardo – in assenza di dolo o recidiva – possa giustificare una sanzione così estrema come il licenziamento per giusta causa. La Cassazione, però, ha ritenuto che in quel caso la fiducia fosse compromessa al punto da non lasciare alternative.
Secondo il giuslavorista Arturo Maresca, ordinario di diritto del lavoro all’Università La Sapienza, “la sentenza si muove dentro un quadro normativo ben definito, ma forse sottovaluta l’importanza del contesto. È legittimo sanzionare l’inosservanza, ma prima di arrivare al licenziamento si dovrebbe valutare l’effettiva incidenza del comportamento sull’organizzazione lavorativa.”
L’importanza della casistica
Altri giuristi sottolineano che la giurisprudenza tende a valutare caso per caso. In passato, la stessa Corte ha ritenuto sproporzionato il licenziamento per ritardi simili, specie in presenza di condizioni personali o di salute gravi, oppure quando il lavoratore aveva comunque informato informalmente l’ufficio. Nel caso specifico, però, pare che non vi siano stati segnali o comunicazioni tempestive e che la documentazione sia arrivata solo dopo diversi giorni e senza alcuna spiegazione.
Tra diritto e buonsenso
In definitiva, la sentenza è giuridicamente ineccepibile ma umanamente controversa. Mette in luce quanto sia sottile il confine tra una mancanza formale e una rottura insanabile del rapporto di fiducia. E solleva una domanda più ampia: le regole devono sempre essere applicate alla lettera, o è doveroso valutare anche le circostanze individuali?
Il mondo giuridico resta diviso. Ma per i dipendenti pubblici – dopo questa sentenza – il messaggio è chiaro: sottovalutare una scadenza, anche solo di un giorno, può costare carissimo.
questa sentenza può essere giusta, a seconda del comportamento precedente della lavoratrice, tuttavia lascia spazio in futuro ad eventuali ritorsioni personali, anche quando il lavoratore è impossibilitato a comunicare immediatamente, ad esempio perché con un ictus in atto ed in coma. Sebbene mi chieda: ma non è il medico che deve inviare direttamente il certificato medico, o l’ospedale? Sono sicura di sì.
Rileggi l’articolo, c’è la risposta alla tua domanda: – L’assenza per malattia, salvo comprovato impedimento, deve essere comunicata all’ufficio di appartenenza tempestivamente e comunque all’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui si verifica, anche nel caso di eventuale prosecuzione dell’assenza.“ –