Cover_piccolaIn questo Diario di bordo narro la mia esperienza di amministratore comunale della Città di Alife, che mi ha dato i natali, in provincia di Caserta. Precisamente dell’incarico di Consigliere di Minoranza, o di Opposizione, affidatomi dagli Alifani (così si chiamano gli abitanti di Alife) in due turni elettorali: il primo nel 2009, il secondo nel 2011 e ancora in corso.

Cinque anni di amministrazione – questa la mia esperienza – sono stati più che sufficienti a farmi capire che il cancro del malaffare, del Sistema fatto di corruzione e di tangenti morali e materiali, ha proprio qui le sue radici: nei Comuni. Nelle realtà territoriali, piccoli o grandi che siano, dove si fa più diretto il legame tra cittadini ed eletti. Germoglia, sboccia e fiorisce fino a colonizzare Province, quindi Regioni e infine il Parlamento in un cerchio magico di favoritismi e di personalismi.

Le ultime pagine di questa mia assurda storia – assurda perché storie del genere dovrebbero essere inconcepibili per una democrazia che vuole dirsi moderna – le scrivo quando ho da poco rassegnato le mie dimissioni da Consigliere comunale.

L’ho fatto per protesta, per rivendicare il sacrosanto diritto di essere ascoltato dallo Stato attraverso le Istituzioni che lo rappresentano sul territorio. Il mio mandato elettorale sarebbe giunto alla naturale scadenza nella primavera del 2016, ma ho deciso di uscire prima di scena per contestare l’operato di un Prefetto che non mi ha mai voluto ricevere quale Capogruppo di Minoranza del Comune di Alife e contro l’inerzia dei Servizi Ispettivi della Ragioneria dello Stato interpellati più volte in questi cinque anni, ma mai visti né sentiti.

Eppure le violazioni che ho continuamente denunciato agli Organi superiori – Prefetto, Servizi Ispettivi di Finanza Pubblica della Ragioneria dello Stato, Corte dei conti – sono tutte di una certa gravità. Nel Libro ho raccolto le principali in un ordine cronologico e il Lettore potrà farsene la personale opinione. Esse danno l’idea di una macchina amministrativa inefficiente e inefficace per i Cittadini.

A che serve denunciare lo stralcio di 80 milioni di euro, di soldi cioè che erano registrati come credito dei Cittadini, se poi la Corte dei conti non arriva a dire se ciò sia o meno avvenuto nel rispetto della Legge?

A che serve denunciare l’approvazione di un Bilancio comunale che riporta dati contabili diversi da quelli comunicati al Ministero dell’Interno, se poi i Servizi Ispettivi non intervengono per verificare se ciò sia regolare o meno?

A che serve denunciare che il Revisore dei conti sta gonfiando le fatture dei suoi compensi – compromettendo la fiducia in un corretto rapporto professionale di controllo contabile – se poi nessun Organo superiore sente il dovere di andare a verificare?

Queste sono alcune delle esperienze che ho dovuto vivere in questi cinque anni di (mala)amministrazione comunale e, quasi fossi un semplice spettatore, subire inerme da Consigliere di Minoranza: le ho denunciate queste violazioni, ma mai una volta – dico MAI – ho ricevuto un riscontro o una risposta dalle Istituzioni: solo e soltanto silenzio. E indifferenza.

Non credo che la mia storia sia unica. Ritengo anzi che possa rappresentare ciò che accade in molti altri degli 8mila Comuni d’Italia, a loro volta riflesso dello specchio di un governo centrale in balia di una burrascosa crisi di “identità nazionale”. Siamo abituati a indisporci contro mafie e camorre che con il rumore delle armi fanno razzia di estorsioni, di ‘pizzi’ e di tangenti; ma tacciamo quando lo stesso sopruso è consumato usando il silenziatore della corruzione, delle lungaggini burocratiche e dei favoritismi. Eppure nell’uno e nell’altro caso il risultato è lo stesso: la morte sociale di una comunità e la mortificazione umana delle persone, dei cittadini e delle loro libertà.

Mi sono buttato nell’agone amministrativo sicuro di poter battere il nemico, cioè il Sistema, perché convinto di aver trovato la formula magica: il rispetto delle regole, della Legge, contando sul sostegno morale e materiale delle Istituzioni.

Entusiasta perciò ho perseguito trasparenza e legalità credendo nell’aiuto dello Stato, giudice di gara per i buoni e per i cattivi. E invece mi sono ritrovato solo: non ho visto né sentito al mio fianco nessuna Istituzione. Quando ho chiesto, ho implorato e seccatamente preteso un incontro con i rappresentanti territoriali dello Stato non ho ricevuto rifiuti, ma, molto peggio, silenzio e indifferenza.

La nostra carta costituzionale (art. 54) stabilisce che «tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».

Ho seguito alla lettera questo monito costituzionale: ho cercato di comportarmi da cittadino modello. Sempre. Non ho chiesto voti e non ho comprato preferenze; non ho promesso posti di lavoro, né garantito incarichi e appalti; non ho fatto cene elettorali e non ho regalato Iphone; non ho cercato favori per me stesso: ho chiesto soltanto giustizia e verità. Per me quanto per coloro che mi avevano liberamente scelto come rappresentante, credendo nella possibilità di costruire una società diversa: per i Cittadini. Ma il risultato è stato scoprire un grande assente: lo Stato. Accorgersi, cioè, che la Legge – vale a dire quei principi concordati di vita sociale e garantiti dall’ordine costituito – consente sempre una via d’uscita ai più furbi omettendo oppure ritardando il suo intervento. È così che si permette, volente o nolente, di farla franca e di fregare il prossimo.

Questa la sintesi di cinque anni in amministrazione. Cinque anni durante i quali ho esposto e fatto denunce di tutto e a tutti, sia ai Cittadini che alle Istituzioni e che racconto amareggiato in questo libro.

L’unico che sta facendo i conti con la giustizia è l’ex Ragioniere del Comune, raggiunto da un’Ordinanza di custodia cautelare: «sistematica appropriazione indebita di somme di denaro pubblico» – circa 286 mila euro negli anni tra il 2007 e 2012 – l’ipotesi di accusa della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Francamente è un risultato investigativo minimale, tanto da assomigliare più all’esito di una roulette russa – sotto a chi tocca! – che alla conclusione di una ragionata azione di contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione. Senza la quale, grazie alla latitanza delle Istituzioni, gli sprechi sul Comune di Alife sono continuati e sono peggiorati!

Il tutto si è svolto (e continua a svolgersi) sotto gli occhi dei Cittadini, increduli e sbandati da uno scontro-confronto vivo e reale tra due contrapposte visioni amministrative: ma da che parte sta la verità? Intanto si (soprav)vive nell’attesa di una verdetto superiore: di un’azione della Corte dei conti che, a distanza di quattro anni dal primo esposto, ancora tarda a pronunciarsi; di un intervento ispettivo della Ragioneria dello Stato che, a distanza di quattro anni dalla prima segnalazione, ancora non è arrivato permettendo che una fallace contabilità pubblica continui a prendersi gioco degli sforzi erariali dei Cittadini; del Prefetto, da me interpellato più volte (sei soltanto nell’ultimo anno) per “gravi violazioni” commesse dagli Amministratori comunali, che mai però mi ha degnato di una risposta: solo e soltanto silenzio e indifferenza!

Paradosso dei paradossi – sembrerebbe unico caso in Italia – la sorte dello scioglimento del Consiglio comunale è appesa da un anno a una sentenza del Tar Campania che, senza uno scatto di resa pigrizia governativa, arriverà a mandato elettorale concluso!

È a questa farsa che non ho più avuto la pazienza di assistere.

Annunciato per certo il 4 giugno 2013 dal Prefetto di Caserta, ancora oggi (maggio 2014) non è chiaro se il Consiglio comunale di Alife verrà sciolto oppure no. È un’assurda latitanza dello Stato, che non mi riesce di sopportare e, perciò, ho deciso di rinunciare al mio incarico di rappresentante locale delle Istituzioni (per quanto di una Minoranza di Cittadini) e, insieme, di consegnare alla storia, in un libro, la mia esperienza di cinque anni di amministrazione in un comune campano, Alife, in provincia di Caserta, agli incorrotti giovani e alle future generazioni. Se non altro avrò più coraggio per guardare negli occhi i miei figli: «c’ho provato!», potrò giustificarmi con loro quando capiranno in che mondo li ho lasciati crescere.

Il peggio è che, con il passare del tempo, il silenzio dello Stato induce l’opinione pubblica a convincersi che “non c’è nulla da fare” e, pertanto, che “non c’è nulla di male” nell’obbedire al Sistema. Sì, perché il fatto che certe condotte la passino liscia, agli occhi dei Cittadini è la legittimazione della disonestà e dell’immoralità di chi quelle condotte ha posto in essere.

Nella nostra democrazia il rispetto delle regole, purtroppo, è stato messo da parte e conserva un valore squisitamente etico, morale, in un esercizio di fedeltà privato e riservato. Non per questo meno importante, anzi, perché dà sonni sereni e fa nutrire la certezza di superare il giudizio, quel dì, all’incontro con il Padreterno! Però, nella visione temporale e sociale, il mancato rispetto delle regole deteriora irrimediabilmente il gioco democratico dello stare insieme, del convivere e del condividere, causando l’allontanamento dei players corretti e onesti dai ruoli di governo.

Succede dappertutto così. Non solo in politica, ma anche in economia, in finanza, nel mondo del lavoro, nelle baronie universitarie. Basta guardarsi intorno per rendersene conto e per scoprire, com’è successo a me, che i Cittadini onesti competono sempre da soli: chi non c’è, perché assente, è lo Stato.

AUTORE: Daniele Cirioli

NOTA:  lentepubblica.it declina ogni responsabilità in merito al contenuto, il quale è stato espressamente autorizzato alla pubblicazione dall’autore.