Con una recente pronuncia la Cassazione ammonisce i lavoratori a non commettere abuso sul congedo parentale: utilizzarlo per scopi non attinenti, infatti, ha conseguenze gravi come il licenziamento.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2618, ha confermato così la legittimità del licenziamento per giusta causa inflitto a un dipendente di ANAS Spa, il quale, durante un periodo di congedo parentale retribuito, ha svolto attività lavorativa in contrasto con le finalità della misura. La decisione ribadisce un principio chiave del diritto del lavoro: il congedo parentale deve essere utilizzato per le esigenze familiari e non per altre attività professionali. Una regola che, ovviamente, vale sia per il dipendente pubblico sia per il dipendente privato.
L’accusa: attività lavorativa durante il congedo
Il dipendente era stato licenziato il 13 novembre 2020 con l’accusa di aver esercitato un’attività di compravendita di autovetture mentre beneficiava del congedo parentale previsto dall’articolo 32 del Decreto Legislativo n. 151/2001. Secondo il datore di lavoro ciò rappresentava una violazione della normativa sul congedo e delle disposizioni contrattuali che impongono ai dipendenti di comunicare eventuali attività lavorative esterne.
Il datore di lavoro ha inoltre fondato la propria contestazione su un’indagine condotta da un’agenzia investigativa, la quale ha raccolto prove sulla sistematicità dell’attività lavorativa durante il periodo di assenza. Le risultanze investigative hanno dimostrato che il dipendente non si era limitato a un’attività occasionale, ma gestiva in modo continuativo la compravendita di automobili attraverso una società privata, di cui era amministratore unico.
La difesa del lavoratore e la prima pronuncia della Corte d’Appello
Il lavoratore ha impugnato il provvedimento davanti al tribunale, contestando sia la legittimità delle prove raccolte dall’agenzia investigativa sia l’interpretazione della normativa sul congedo parentale. Tuttavia, la Corte d’Appello di Roma ha ritenuto infondate le obiezioni sollevate dal lavoratore e ha confermato la sentenza di primo grado.
Il giudice d’appello ha stabilito che l’attività svolta dal dipendente configurava un uso improprio del congedo parentale, in quanto questo beneficio è finalizzato a garantire la presenza e l’attenzione del genitore per il figlio, e non può essere sfruttato per portare avanti attività professionali remunerate. La sentenza ha inoltre sottolineato come il comportamento del lavoratore violasse i principi di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro.
Il ricorso in Cassazione e la sentenza definitiva: licenziamento per abuso di congedo parentale
Il dipendente ha successivamente presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basandosi su diverse motivazioni giuridiche. Tra i principali argomenti della difesa figurano la presunta irregolarità delle indagini investigative, la tardività nella presentazione delle prove e la sproporzionalità della sanzione adottata rispetto alla presunta violazione.
Uno dei punti contestati riguarda la conformità dell’attività investigativa con la normativa vigente. Secondo la difesa del lavoratore, l’agenzia incaricata da ANAS Spa non avrebbe rispettato le prescrizioni della licenza prefettizia, in quanto l’indagine sarebbe stata condotta da un collaboratore non autorizzato. Tuttavia, i giudici di merito hanno ritenuto che l’acquisizione delle prove fosse regolare e conforme ai criteri previsti dall’ordinamento.
Un altro aspetto centrale del ricorso riguarda la proporzionalità della sanzione. Il dipendente ha sostenuto che la sua condotta, seppur contestabile, non giustificasse un licenziamento per giusta causa, ma semmai una sanzione disciplinare meno grave.
Tuttavia, con la sentenza n. 2618, la Cassazione ha respinto il ricorso e confermato la legittimità del licenziamento, chiarendo che l’abuso del congedo parentale costituisce un illecito grave e tale da giustificare l’interruzione del rapporto di lavoro.
Le implicazioni della pronuncia
Questa decisione della Cassazione rappresenta un caso esemplare nel panorama del diritto del lavoro italiano, ribadendo l’importanza dell’uso corretto degli strumenti di welfare aziendale. Il congedo parentale, infatti, è concepito per consentire ai genitori di dedicarsi ai figli, non per svolgere attività alternative. La sentenza n. 2618 stabilisce un precedente chiaro: l’abuso di tali misure può portare a conseguenze disciplinari severe, fino alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Con questa pronuncia, la Cassazione rafforza il principio secondo cui il rispetto delle regole del congedo parentale è essenziale per garantire la corretta applicazione delle tutele previste dal diritto del lavoro.