Si è concluso il vertice NATO 2025 che si è tenuto il 24-25 giugno 2025 a L’Aja, nei Paesi Bassi. Ne escono dichiarazioni trionfanti, sopratutto da Italia e USA: ma le reali implicazioni sollevano più dubbi che certezze.
Mentre la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni descrive l’incontro come un successo diplomatico e un segnale di compattezza dell’Alleanza Atlantica, l’agenda effettiva del summit appare dominata da logiche di riarmo, investimenti bellici e un’idea di sicurezza sempre più estesa e ambigua.
Una NATO “compatta”, ma a che prezzo?
Meloni ha sottolineato la coesione dei 32 Paesi membri, parlando di un’Alleanza rafforzata e determinata a rispondere alle sfide globali. Ma dietro il linguaggio rassicurante si cela un impegno che rischia di pesare enormemente sui bilanci pubblici. L’Italia si è impegnata a un aumento della spesa militare pari all’1,5% del PIL in dieci anni, a cui si somma un analogo incremento per la “sicurezza”. Un totale che sfiora i 100 miliardi di euro in un decennio.
Nonostante la premier insista sulla “sostenibilità” dell’investimento, è difficile ignorare l’impatto potenziale su settori come sanità, istruzione e welfare. L’idea che queste risorse non intacchino le “priorità” del governo sembra ottimistica, se non irrealistica, in un contesto economico caratterizzato da margini di bilancio sempre più stretti.
Sicurezza a geometria variabile
La ridefinizione del concetto di sicurezza è stata uno dei pilastri del discorso di Meloni: non solo difesa militare, ma anche controllo dei flussi migratori, tutela delle infrastrutture critiche, intelligenza artificiale e innovazione tecnologica. Una visione totalizzante, che rischia però di diluire le priorità reali e trasformare la spesa militare in un contenitore generico, giustificabile in qualunque contesto.
Con questa impostazione, ogni voce di spesa potenzialmente strategica può essere inglobata nel bilancio della difesa, offrendo così una copertura politica e mediatica a una corsa al riarmo che si presenta come inarrestabile. La sicurezza, così intesa, diventa un pretesto per accrescere la spesa pubblica in settori militarizzati, senza un vero dibattito parlamentare o democratico.
Gaza, Ucraina, Iran: pace evocata, ma non perseguita
Il vertice avrebbe dovuto essere anche un momento per rafforzare l’impegno diplomatico e promuovere percorsi di pace. E invece, ancora una volta, le parole hanno superato i fatti. Se da un lato Meloni si è detta soddisfatta del cessate il fuoco tra Israele e Iran, dall’altro ha riconosciuto implicitamente che né in Ucraina né nella Striscia di Gaza vi sono progressi concreti. Il sostegno incondizionato a Kyev viene ribadito senza però menzionare apertamente l’aggressione russa nel documento finale, un’omissione che suscita perplessità e conferma una certa ambiguità della NATO stessa.
Quanto al conflitto israelo-palestinese, la presidente ha dichiarato che “è il momento giusto per ottenere un cessate il fuoco”. Ma questo “momento” sembra ripetersi da mesi senza che l’Italia — o l’Alleanza — abbia esercitato una vera pressione diplomatica né su Tel Aviv né sui suoi alleati occidentali. Si continua a parlare di dialogo, mentre sul campo si moltiplicano vittime civili e violazioni del diritto internazionale.
Difesa nazionale o subordinazione industriale?
Altro nodo critico riguarda il futuro dell’industria della difesa italiana. Meloni ha ribadito la volontà di produrre armamenti in Italia, privilegiando le imprese nazionali, ma ha ammesso che ciò dipenderà dalla “capacità di risposta” del sistema produttivo. In sostanza, se le aziende italiane non saranno pronte, si acquisterà all’estero. Una dichiarazione che apre la strada a joint venture europee, ma anche alla dipendenza dal mercato statunitense, già oggi dominante nell’equipaggiamento militare dei Paesi NATO.
La retorica sull’autonomia strategica europea si scontra con la realtà di una NATO in cui Washington continua a dettare tempi e linee guida. La partecipazione al vertice dell’ex presidente Donald Trump — con cui Meloni ha avuto un colloquio “positivo” — non ha fatto che accentuare il rischio di un asse euro-atlantico sempre più sbilanciato.
Il fianco sud e la minaccia “ibrida”
L’Italia ha cercato di riportare l’attenzione della NATO sul Mediterraneo e sul cosiddetto “fianco sud”, evidenziando le minacce provenienti da attori statuali e non, con riferimento implicito alla presenza russa e al caos in Libia e nel Sahel. Tuttavia, anche qui, la risposta appare più militare che politica: si parla di “minacce ibride” senza affrontare le cause profonde di instabilità e conflitti, dalla povertà all’assenza di istituzioni democratiche nei Paesi coinvolti.
Una riflessione assente
Il vertice si è chiuso con parole d’ordine rassicuranti: “unità”, “determinazione”, “investimenti”. Ma ciò che è mancato è una riflessione vera sul ruolo della NATO nel mondo multipolare di oggi. Si è parlato di droni, satelliti e IA come nuove frontiere della difesa, ma poco o nulla si è detto su come prevenire le guerre piuttosto che combatterle. Nessun accenno, per esempio, a una riforma del Consiglio di Sicurezza ONU, né a una strategia comune per la non proliferazione nucleare.
In definitiva, il vertice ha confermato l’orientamento muscolare dell’Alleanza, più attenta alla quantità di missili che alla qualità della diplomazia. E l’Italia, nonostante le promesse, rischia di ritrovarsi al centro di una spirale di spesa militare senza ritorno, senza che ci sia un vero dibattito democratico su dove stia andando il Paese.
La conferenza stampa di Giorgia Meloni
Qui di seguito il video completo.