Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per votare una proposta di risoluzione che chiedeva la pace e un cessate il fuoco immediato e senza condizioni nella Striscia di Gaza: ma gli USA hanno votato contro e bloccato tutto.


La crisi nella Striscia di Gaza ha ormai assunto proporzioni drammatiche. A un anno dall’inizio dell’offensiva militare israeliana, la devastazione provocata dagli attacchi contro il territorio palestinese ha causato un numero di vittime spaventoso: oltre 42.000 morti e circa 95.000 feriti, tra cui migliaia rimasti invalidi.

Le operazioni militari hanno raso al suolo intere aree del nord del territorio e costretto il 90% della popolazione a fuggire dalle proprie case, senza più accesso a cure mediche, cibo e beni essenziali.

La proposta dell’ONU

In questo scenario disperato, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tentato di intervenire proponendo una risoluzione volta a interrompere le ostilità e affrontare l’emergenza umanitaria in corso. Il documento, presentato da un gruppo eterogeneo di Stati — tra cui Algeria, Grecia, Pakistan, Corea del Sud, Panama, Danimarca, Guyana, Sierra Leone, Slovenia e Somalia — chiedeva un cessate il fuoco “immediato, permanente e incondizionato” nella Striscia di Gaza, il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas e la rimozione di tutte le barriere che impediscono il flusso degli aiuti umanitari, affidandone la distribuzione sicura all’ONU e ai suoi partner sul campo.

La risoluzione descriveva la situazione nella Striscia come “catastrofica”, evidenziando la necessità di un intervento urgente per salvare vite umane, proteggere i civili e ristabilire un minimo di dignità e sicurezza: testo sostenuto da 14 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza, in un raro momento di ampia convergenza diplomatica.

Gli USA bloccano la risoluzione di pace nella Striscia di Gaza

Tuttavia, l’unità internazionale si è infranta contro il veto opposto dagli Stati Uniti, che hanno bloccato l’adozione della misura.

Washington ha giustificato il proprio rifiuto sostenendo che la bozza avrebbe potuto compromettere i negoziati in corso tra Israele e Hamas, nonché ostacolare gli sforzi di mediazione in atto sul rilascio degli ostaggi. Ma le motivazioni statunitensi registrano forte scetticismo dalla comunità internazionale e da molte organizzazioni umanitarie, che hanno interpretato il veto come una forma di protezione politica nei confronti di Israele, nonostante la gravità della crisi in corso.

Non si è trattato di un caso isolato: è il quinto veto statunitense a una risoluzione del Consiglio sul conflitto a Gaza dall’ottobre 2023gaza. Un blocco sistematico che, secondo i critici, ha contribuito a prolungare il conflitto e a ostacolare qualsiasi soluzione diplomatica, aggravando ulteriormente la sofferenza della popolazione civile. Secondo fonti diplomatiche, gli Stati Uniti avevano già anticipato ad alleati e partner l’intenzione di opporsi al testo, nonostante l’evidente consenso internazionale e il recente allentamento parziale del blocco israeliano su Gaza avvenuto a fine maggio.

Il mancato passaggio della risoluzione rappresenta dunque un’occasione mancata per esercitare pressione su tutte le parti in causa e costruire un percorso verso la de-escalation. E per chi, come le famiglie intrappolate nella Striscia, vive da mesi in condizioni disumane, significa un ulteriore rinvio di qualsiasi concreta prospettiva di sollievo.

Le critiche di Amnesty International

La posizione americana, annunciata già prima del voto del 4 giugno, ha sollevato indignazione da parte di organizzazioni per i diritti umani. Amnesty International ha definito la decisione “vergognosa” e ha accusato Washington di legittimare, con il proprio blocco, l’offensiva israeliana contro la popolazione civile di Gaza, che versa ormai in condizioni estreme.

Secondo l’organizzazione, attraverso le dichiarazioni della segretaria generale Agnès Callamard, le conseguenze del veto sono evidenti: bambini denutriti, madri incapaci di allattare, famiglie costrette a sopravvivere senza beni primari e civili feriti privati dell’assistenza medica. Le immagini che arrivano dal territorio palestinese descrivono una crisi umanitaria fuori controllo: padri che camminano per ore nella speranza di trovare cibo, ospedali ridotti in macerie e una popolazione stremata.

In quanto potenza occupante, Israele ha precise responsabilità legali: deve garantire l’accesso a generi di prima necessità per la popolazione sotto il suo controllo. Eppure, le attuali restrizioni imposte all’ingresso degli aiuti contravvengono apertamente al diritto internazionale.

Particolarmente critico è anche il nuovo sistema di distribuzione militarizzata degli aiuti, gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation e sostenuto da Washington, che molti esperti considerano inadeguato, oltre che pericoloso. In diverse occasioni risulta documentato, infatti, che civili restano feriti o uccisi mentre tentano di procurarsi generi alimentari.

Di fronte a questo scenario, le richieste rivolte agli Stati Uniti si fanno sempre più pressanti. Le organizzazioni umanitarie chiedono l’immediata sospensione del sostegno militare a Israele e un cambiamento radicale della strategia diplomatica: serve uno stop al fuoco, senza condizioni, e la revoca totale delle limitazioni all’ingresso degli aiuti, per salvare la vita a oltre due milioni di palestinesi che rischiano di non sopravvivere all’assedio.