L’Italia, come abbiamo già detto in un precedente articolo, è un luogo dove accanto all’italiano e ai dialetti si trovano delle minoranze linguistiche ufficialmente riconosciute: scopriamo in questo articolo qual è effettivamente la lingua meno parlata in Italia.
In Italia convivono pertanto molteplici identità linguistiche che arricchiscono il patrimonio culturale nazionale. Accanto all’italiano e ai numerosi dialetti regionali, esistono comunità che conservano idiomi minoritari, ufficialmente riconosciuti dallo Stato.
Un mosaico linguistico unico in Europa
Nel corso dei secoli, le complesse vicende storiche dell’Italia hanno favorito la nascita e la sopravvivenza di comunità linguistiche molto diverse tra loro. Alcune si sono radicate nelle zone di confine, dove condividono tradizioni con popolazioni oltre frontiera; altre si sono insediate in aree più interne o isolate, mantenendo usanze e parlate distinte.
Il patrimonio linguistico italiano, nel suo insieme, è tra i più articolati in Europa. Tuttavia, molte di queste lingue locali sono oggi a rischio di estinzione, specialmente quelle parlate da un numero sempre più esiguo di persone.
Qual è la lingua meno parlata in Italia?
Veniamo alla risposta al quesito posto all’inizio di quest’articolo: la lingua meno parlata – e al tempo stesso tra le più antiche – è il griko e tutte le varianti relative alla comunità greca in Italia, erede di una lunga storia che affonda le radici nell’epoca della colonizzazione greca dell’Italia meridionale.
Parliamo di una lingua di origine greco-bizantina, parlata in due aree ben distinte del Sud Italia:
- nel Salento, in Puglia,
- e nella Bovesia, in Calabria.
A queste si aggiunge una piccola comunità nella zona di Messina, in Sicilia.
In totale, sono coinvolti 25 comuni:
- 9 in Puglia (Calimera, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia, Zollino)
- 15 in Calabria (Bova, Bova Marina, Roghudi, Roccaforte del Greco, Condofuri, Palizzi, San Lorenzo, Melito di Porto Salvo, Montebello Ionico, Bagaladi, San Pantaleone, Brancaleone, Staiti, Africo, Ferruzzano)
- e uno in Sicilia (Messina).
I due principali dialetti collegati a questa minoranza linguistica sono il griko salentino, diffuso in località come Martano, Calimera e Sternatia, e il greco-calabro, parlato nei dintorni di Bova. Entrambe le varianti appartengono alla famiglia dei cosiddetti “dialetti greco-italioti”.
Una lingua in declino
Il griko ha conosciuto una fase di forte regressione a partire dagli anni Cinquanta. Se all’inizio del Novecento la maggioranza degli abitanti di queste comunità parlava regolarmente la lingua grecanica, la crescente urbanizzazione, l’emigrazione e la pressione dell’italiano standard hanno accelerato l’abbandono della parlata tradizionale.
Nel 1964, i parlanti griko nella Grecìa Salentina erano ancora circa 20.000, il 52% della popolazione locale. Nella Bovesia, le percentuali variavano molto: a Bova e Roghudi si superava il 50%, mentre in altre località, come Bova Marina, i grecofoni non raggiungevano nemmeno il 15%. Oggi, secondo le stime dell’UNESCO e di vari studi accademici, il numero complessivo dei parlanti attivi si aggira attorno ai 13.000, con un uso quotidiano sempre più raro.
In Calabria, indagini recenti stimano che meno del 10% della popolazione sia ancora in grado di comprendere o parlare la lingua, spesso solo a livello passivo. La trasmissione intergenerazionale si è quasi del tutto interrotta.
Sforzi di tutela e riscoperta
Nonostante il rischio concreto di scomparsa, negli ultimi anni sono state avviate diverse iniziative per salvare il griko dall’oblio. L’approvazione della Legge 482 del 1999, che tutela le minoranze linguistiche storiche in Italia, ha incentivato progetti di valorizzazione culturale e linguistica.
Un esempio è la realizzazione del “Graecanic Lexicon”, una banca dati sonora promossa dall’Università di Patrasso che raccoglie registrazioni e testimonianze delle parlate grecaniche. A livello locale, numerose associazioni culturali e amministrazioni comunali lavorano per stimolare l’interesse verso la lingua, attraverso laboratori, eventi e pubblicazioni.
Le scuole della Grecìa Salentina, inoltre, offrono corsi dedicati al griko. Tuttavia, la didattica spesso privilegia gli aspetti legati alla cultura – come poesia, musica e tradizioni popolari – piuttosto che la competenza linguistica attiva. Questo approccio, seppur importante per conservare la memoria collettiva, rischia di non essere sufficiente a garantirne la sopravvivenza.
Una risorsa identitaria da non perdere
Per lungo tempo, il griko è stato considerato un simbolo di arretratezza. Oggi, però, una parte crescente della popolazione lo riscopre come elemento distintivo e valore da preservare. La lingua, infatti, è molto più di uno strumento di comunicazione: è una testimonianza vivente di un passato condiviso, una chiave per comprendere la propria identità.
La sopravvivenza del griko – come di molte altre lingue minoritarie – dipenderà dalla capacità di coniugare memoria e innovazione, cultura e partecipazione. Solo così sarà possibile tramandare alle generazioni future non solo parole, ma un intero universo di significati.