Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sulla responsabilità di chi risponde penalmente per l’omesso versamento delle ritenute fiscali certificate.
Nel sistema tributario italiano, i datori di lavoro e altri soggetti che erogano redditi sono tenuti a trattenere alla fonte una parte delle somme da versare ai propri dipendenti o collaboratori, per conto dello Stato. Queste trattenute fiscali, dette ritenute d’acconto o ritenute alla fonte, devono poi essere versate all’Erario entro termini stabiliti.
Che cosa si intende per omesso versamento di ritenute d’acconto o alla fonte?
L’omesso versamento delle ritenute si verifica quando il sostituto d’imposta (solitamente il datore di lavoro) trattiene correttamente le imposte dal reddito del contribuente, ma non provvede a riversarle al fisco. Si tratta di una violazione particolarmente grave, poiché il soggetto ha già incassato la somma da destinare allo Stato ma non ne ha effettuato il versamento.
Dal punto di vista giuridico, questa condotta può configurare sia un illecito amministrativo che un reato penale, a seconda del momento in cui avviene l’omissione e della sua gravità.
La soglia oltre la quale scatta la sanzione penale è fissata dall’articolo 10-bis del decreto legislativo n. 74/2000: il reato si perfeziona se l’omissione riguarda ritenute certificate per un importo superiore a 150.000 euro l’anno e non versate entro il termine per la dichiarazione annuale.
Responsabilità penale per omesso versamento di ritenute: cosa stabilisce la sezione penale della Cassazione
La sentenza n. 13135 del 4 aprile 2025, emessa dalla terza sezione penale, ribadisce che il responsabile del reato previsto dall’articolo 10-bis del decreto legislativo 74/2000 è il rappresentante legale in carica alla data di scadenza per la presentazione della dichiarazione annuale da parte del sostituto d’imposta. Tale responsabilità sussiste indipendentemente da eventuali cambiamenti nella carica intervenuti in precedenza.
Il reato in questione si configura come “unisussistente”, ossia si perfeziona in un’unica occasione: precisamente nel momento in cui scade il termine ultimo previsto per la trasmissione della dichiarazione annuale, relativa all’anno fiscale precedente. Non è quindi il mancato versamento mensile delle ritenute – considerato un illecito di natura amministrativa secondo l’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997 – a rilevare penalmente, ma esclusivamente l’omissione nel termine previsto per l’adempimento annuale. Le due ipotesi sono legate da un rapporto di progressione: la violazione amministrativa non esclude l’eventuale rilevanza penale qualora ne ricorrano i presupposti.
Un elemento di rilievo nella pronuncia riguarda i casi di fallimento societario. Se il fallimento viene aperto prima della scadenza del termine per il versamento delle ritenute, il soggetto obbligato all’adempimento fiscale non è più il legale rappresentante della società, ma il curatore fallimentare. Questo perché, con l’avvio della procedura concorsuale, i beni e la gestione della società passano sotto il controllo del curatore, che diventa quindi il nuovo sostituto d’imposta. Ne consegue che, se al momento in cui matura il reato la società è già in stato di fallimento, la responsabilità penale non ricade più sull’ex amministratore.
Al contrario, se il fallimento viene dichiarato solo dopo la scadenza del termine previsto per il versamento, il rappresentante legale in carica in quella data resta penalmente perseguibile, anche se nel frattempo ha cessato l’incarico o non aveva sottoscritto personalmente la dichiarazione né emesso le certificazioni.
Il parere della Cassazione civile
A completare il quadro arriva anche un pronunciamento della Cassazione civile (ordinanza n. 13361/2025), che chiarisce come debbano essere trattate le sopravvenienze attive in materia di imposte sui redditi. Secondo i giudici, quando un credito viene riconosciuto – o un debito viene meno – in seguito a una sentenza, tale risultato deve essere riportato nella dichiarazione fiscale relativa all’anno in cui la sentenza è stata depositata. È in quel momento, infatti, che la sopravvenienza acquista carattere di certezza giuridica e può essere contabilmente determinata, ai sensi dell’articolo 109 del Testo unico delle imposte sui redditi (DPR n. 917/1986), a condizione che la sentenza sia esecutiva e non sospesa.
Le due decisioni – una penale e l’altra civile – si muovono su binari differenti ma convergono nel rafforzare la necessità di individuare con precisione i momenti giuridicamente rilevanti per l’attribuzione di responsabilità, siano esse di natura penale o fiscale.