A Bologna, sotto le vesti dell’imposta di pubblicità, l’Amministrazione comunale tassa tutto ciò che viene esposto in vetrina: dai menù dei bar e dei ristoranti ai cartellini dei prezzi dei prodotti se superano una certa dimensione. Se si dà ai Comuni un’aliquota tributaria da governare fra un minimo e un massimo, gli amministratori locali puntano sempre a raggiungere il massimo.
L’articolo pubblicato sulla pagine di “Italia Oggi” di mercoledì 25 febbraio 2015, a firma di Giorgio Ponziano, dal titolo “E’ pronta anche la delirium tax“, è il sintomo evidente di una fiscalità locale schizofrenica e stravagante, oramai, fuori controllo. A Bologna, sotto le vesti dell’imposta di pubblicità, l’Amministrazione comunale tassa tutto ciò che viene esposto in vetrina: dai menù dei bar e dei ristoranti ai cartellini dei prezzi dei prodotti se superano una certa dimensione; dall’orario di apertura dei negozi al cartello con la scritta “self service – aperto 24 ore su 24 ore”; dagli adesivi con le carte di credito accettate dal negoziante allo zerbino con le iniziali del titolare fuori dal negozio.
Non possiamo certo dire che a Bologna gli amministratori locali manchino di fantasia, ma tutto ciò è solo colpa della loro bizzarria? Direi di no perché le cause sono molteplici. Innanzitutto, occorre ricordare che se negli ultimi venti anni la pressione fiscale complessiva è cresciuta dal 38% al 44%, ciò è imputabile per l’80% all’esplosione dei tributi locali. In questi vent’anni, infatti, è stata evidente la mancanza di qualsiasi coordinamento fra il prelievo da parte dello Stato Centrale ed il prelievo da parte degli Enti Locali che ha portato a quel “circolo vizioso” per cui lo Stato ha tagliato i trasferimenti a Comuni e Regioni ma non ha ridotto le imposte di propria competenza; Comuni e Regioni – per sopperire ai tagli dei trasferimenti – hanno aumentano i propri tributi, spesso anche in misura superiore a quanto effettivamente occorreva.
Il taglio dei trasferimenti è, quindi, la prima causa del continuo e sproporzionato incremento della fiscalità locale. Se, poi, a ciò aggiungiamo l’ampia discrezionalità concessa ai Comuni nel regolamentare i tributi di propria competenza, allora il quadro è completo. Classico esempio ne è stato, in tal senso, nel 2014, la determinazione delle aliquote e delle detrazioni della TASI da parte dei Comuni: una tassa dagli “ottomila volti” con un gettito che il Governo aveva stimato in circa 3,7 miliardi di euro e che, invece, ha prodotto agli Enti Locali un gettito di 4,6 miliardi di euro: 900 milioni in più!
In pratica, se si dà ai Comuni un’aliquota tributaria da governare fra un minimo e un massimo, gli amministratori locali si fanno da sempre un dovere di raggiungere il massimo. E questo lo diceva già nel 1946, dinanzi all’Assemblea Costituente, Luigi Einaudi: “L’amministratore del Comune concepisce il diritto di giungere fino ad un certo limite come un dovere di giungervi, tanto più che la spinta a spendere c’è sempre, quando esiste la possibilità di tassare.“. C’è, quindi, una sola via d’uscita, una sola via di salvezza dalle storture di una fiscalità locale, oramai, fuori controllo e dalla stravaganza di qualche amministratore locale: semplificare e ridurre. Come scriveva lo stesso Einaudi sulle pagine del “Corriere della Sera” nel 1922: “Bisogna farla finita a ogni costo con il brutto vezzo di creare imposte dalle denominazioni più stravaganti e a beneficio degli enti più inverosimili. Le imposte debbono essere poche, semplici, senza addizionali, senza imbrogli.“.
FONTE: Confcommercio
AUTORE: Vincenzo De Luca