L’Avvocato Maurizio Lucca, tramite l’analisi di una recente sentenza del TAR Campania, offre una panoramica completa su un argomento molto importante in ambito di pianificazione sul territorio: quello della variante urbanistica e dell’affidamento del privato.


La sez. II Napoli del TAR Campania, con la sentenza 5 giugno 2025 n. 4283 (Estensore Cavallo), si sofferma (confermando un orientamento costante) sul potere di pianificazione urbanistica, espressione più elevata della discrezionalità amministrativa determinante (fondamentale) per lo sviluppo del territorio, trovando dei limiti precisi in materia di affidamento del privato, in presenza di situazioni “consolidate”, da considerarsi eccezioni di stretta applicazione.

Il potere di pianificazione

In effetti, il potere di pianificazione urbanistica riconosciuto al Comune gode di un’ampia discrezionalità, con la conseguenza che la posizione dei privati risulta recessiva rispetto alle determinazioni dell’Amministrazione, in quanto scelte di merito non sindacabili dal giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare, potendosi derogare a tale regola solo in presenza di situazioni di affidamento qualificato dei privati a una specifica destinazione del suolo, nel caso non sussistenti [1].

Nemmeno sussiste un divieto di reformatio in peius rispetto ad una precedente zonizzazione urbanistica, in quanto l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’effettuazione delle proprie scelte, che relega l’interesse dei privati alla conferma della previgente disciplina a interesse di mero fatto, non tutelabile in sede giurisdizionale [2].

Possiamo caldamente affermare che l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà (una sorta di codificazione di regole), ma viceversa esprimono appieno le risultanze politiche in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del territorio di riferimento, non in astratto ma nel concreto delle effettive esigenze della cittadinanza ed alle vocazioni dei luoghi: un patrimonio di valori ambientali e paesaggistici, associato ad esigenze di tutela della salute ed economico – sociali (a altre ancora), in considerazione della storia, tradizione, ubicazione e costumi: una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, «svolta – per autorappresentazione ed autodeterminazione – dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio» [3].

In tale processo valoriale può ritenersi legittima la scelta pianificatoria della c.d. “opzione zero”, a seguito della quale lo strumento urbanistico non consente più, de futuro, l’ulteriore consumo di suolo [4], assoldando l’esistenza di un «principio di inesauribilità della funzione di pianificazione urbanistica» la cui attribuzione spetta al Comune [5].

I fatti

Una società impugna una deliberazione del Consiglio comunale ad oggetto approvazione del Piano Urbanistico Comunale (PUC), con la quale si è stabilito una diversa destinazione di alcune zone (suoli), destinandole alla realizzazione di un parco attrezzato e altre ad ambiti agricoli periurbani, incidendo sull’edificabilità dei beni (rispetto alla precedente destinazione a scopo residenziale).

La parte ricorrente aveva sottoscritto una convenzione di lottizzazione, realizzando solo tre dei quattro lotti, ricevendo un diniego alla realizzazione del completamento motivato per il decorso del termine decennale di validità dell’accordo di lottizzazione.

Avverso tale diniego, la società ha adito al TAR con un rigetto dello stesso per inammissibilità, attesa la presenza di un precedente giudicato, il quale aveva accertato la legittimità del diniego al rilascio del permesso di costruire per effetto della scadenza del Piano di lottizzazione.

Si lamenta, dunque, la mancata considerazione delle proprie aspettative (ben conosciute dall’Amministrazione), con un inevitabile danno dovuto alla nuova destinazione urbanistica (nuova classificazione dell’area già oggetto di convenzionamento), donde l’impugnativa.

La decisione

Il ricorso viene respinto con condanna alle spese, allineandosi alla giurisprudenza costante sulle le scelte di pianificazione, espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità.

Nello specifico (base motivazionale del rigetto) si osserva che la destinazione ricevuta alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell’impostazione del Piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni: tutti aspetti che devono essere valutati in sede di adozione del provvedimento urbanistico (questo, un onere motivazionale non eludibile).

A fronte di un preciso giudicato sulla legittimità del diniego, il GA precisa che:

  • scaduta la convenzione non può sussistere alcuna tutela dell’affidamento del privato;
  • l’Amministrazione può determinare una diversa destinazione delle aree, essendo massima la discrezionalità in sede di pianificazione urbanistica;
  • il privato, seppure proprietario del suolo, non può vantare alcun diritto sul mantenimento della destinazione urbanistica (ovvero, non può ritenersi illegittima la scelta che sia frutto della mancata considerazione dei «desiderata» del privato).

Il legittimo affidamento

Infatti, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali:

  • superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona;
  • pregresse convenzioni edificatorie già stipulate, ossia sottoscritte non solo approvate;
  • giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare;
  • modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo [6].

In termini diversi, una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta (e, quindi, essere oggetto della tutela da parte del giudice amministrativo) soltanto quando abbia ad oggetto interessi oppositivi [7] e non invece quando si tratti di interessi pretensivi [8].

Lo ius variandi

Ne deriva che non vi era in capo al Comune alcun obbligo di motivazione “rafforzata” o specifica, come pure non vi era l’obbligo di mantenere la stessa destinazione dei suoli in ragione della edificazione dei lotti circostanti: lo ius variandi dell’Ente locale, salvo situazioni di palese irragionevolezza, non potrebbe mai essere esercitato, mentre le ragioni di interesse pubblico che possono indurre un Comune a limitare il consumo di suolo sono del tutto apprezzabili e possono mutare nel tempo.

L’approdo porta alla piena liceità per il Comune ad operare scelte diverse sulla destinazione di alcune zone del territorio «ad assi attrezzati verdi e ad ambito agricolo periurbano», specie se coerenti con altri strumenti sovraordinati: tale coerenza smentisce la fondatezza del motivo e l’insindacabilità della scelta effettuata in sede di pianificazione, volta a conservare l’area nelle sue caratteristiche attuali ed effettive.

La sentenza conferma che le decisioni in materia urbanistica, comprese le varianti, sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito; esse non sono condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli, essendo sfornita di tutela la generica aspettativa alla non reformatio in peius o alla reformatio in melius delle destinazioni impresse da un previgente strumento urbanistico (PRG) [9].

Note

[1] Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 2024, n. 7790; sez. VII, 2 settembre 2024, n. 7331; sez. IV, 15 marzo 2024, n. 2534; 14 novembre 2023, n. 9758; 21 agosto 2023, n. 7881; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 31 marzo 2025, n. 1101 e 20 gennaio 2025, n. 188.

[2] Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 2023, n. 5464; 3 febbraio 2025, n. 358; 20 aprile 2023, n. 4015.

[3] Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710.

[4] Cons. Stato, IV, 24 gennaio 2023, n. 765; sez. IV, 30 ottobre 2024, n. 8670; 14 settembre 2023, n. 8325;19 luglio 2023, n. 7070.

[5] Corte cost., 17 luglio 2019, n. 179.

[6] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27 maggio 2025, n. 1861; Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2023, n. 21 e 24 gennaio 2023, n. 765.

[7] Si tratta di una posizione di vantaggio del privato, non essendo necessaria una prognosi sull’esito favorevole delle aspettative dell’interessato, in quanto il collegamento con il bene della vita si è già consolidato in virtù di un precedente provvedimento, e tanto basta a pretendere la riparazione delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli dell’illegittimità dell’azione amministrativa, anche in ipotesi di successivo (legittimo) riesercizio del potere amministrativo sempre in senso sfavorevole al privato, Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2012, n. 265. Nell’interesse oppositivo, la spettanza del bene della vita viene effettivamente considerata in re ipsa, essendo lo stesso già nella sfera giuridica del privato che viene indebitamente compressa dal provvedimento amministrativo illegittimo, mentre nel caso dell’interesse pretensivo chiunque pretenda un risarcimento, è tenuto a dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico, Cons. Stato, sez. III, 8 maggio 2025, n. 3914; sez. V, 19 dicembre 2024, n. 10205 e 21 agosto 2024, n. 7195.

[8] L’Amministrazione comunale esercita un potere pianificatorio ampiamente discrezionale, specie in relazione ad aree non ancora utilizzate, rispetto alle quali il proprietario non è titolare di un interesse “qualificato” in termini di pretesa al mantenimento della propria destinazione urbanistica e/o alla sottrazione a tale destinazione delle aree adiacenti, in quanto le “aspettative” del privato sono tutelabili, nei limiti dell’interesse generale, solo qualora risultino già stipulate convenzioni di lottizzazione o definiti accordi con l’Amministrazione, TAR Campania, Napoli, sez. II, 23 maggio 2025, n. 3942.

[9] Cons. Stato sez. V, 4 novembre 2024, n.8718; sez. II, 18 maggio 2020, n. 3163; 20 gennaio 2020, n. 456; sez. IV, 24 giugno 2019, n. 4297; 26 ottobre 2018, n. 6094; 24 marzo 2017, n. 1326; 11 novembre 2016, n. 4666.