L’Italia, con un affluenza molto bassa sotto al 30% in base ai dati attuali, ha voltato le spalle ai cinque quesiti del referendum dell’8 e del 9 giugno, centrati su temi cruciali per il futuro del Paese: quattro dedicati al mondo del lavoro e uno legato alla cittadinanza.


Un risultato che non solo decreta il fallimento dell’iniziativa sul piano tecnico, ma rappresenta soprattutto un segnale allarmante sul piano politico e sociale: milioni di cittadini hanno rinunciato a pronunciarsi su questioni che toccano direttamente le condizioni di vita di lavoratori precari, aspiranti imprenditori e nuovi italiani in attesa di pieno riconoscimento.

Referendum 8 e 9 giugno, l’occasione sprecata a causa dell’affluenza molto bassa

Nei due giorni di votazione di ieri e di oggi (le urne si sono chiuse alle 15), domenica 8 e lunedì 9 giugno, si è registrata secondo i primi dati una partecipazione tra le più basse della storia repubblicana. Secondo quanto riportato sul portale istituzionale Eligendo l’affluenza si è fermata appena al 29% in media calcolando tra tutti i quesiti, ben al di sotto della soglia del 50% più uno necessaria per rendere validi i referendum abrogativi.

Un risultato che purtroppo non sorprende, visto gli appelli discutibili della maggioranza di Governo che esortava ad “andare a mare” e disertare i seggi, cosa che molti cittadini a quanto pare hanno effettivamente fatto.

Ma analizziamo nel merito le questioni che, adesso, rimarrano rimandate a tempo indeterminato.

Il silenzio sul lavoro

I quattro quesiti legati al lavoro affrontavano temi di grande impatto quotidiano: dal reintegro dei licenziati ingiustamente all’abolizione di norme che rendono difficile l’accesso alla giustizia per chi lavora, fino alla possibilità di estendere maggiori tutele ai collaboratori autonomi. In un Paese che da anni convive con una precarietà strutturale e una diffusa erosione dei diritti nei luoghi di lavoro, la mancata partecipazione ha il sapore amaro di un’occasione perduta per invertire la rotta.

La scarsa affluenza rischia di cristallizzare un sistema che spesso lascia soli i lavoratori più vulnerabili, senza le tutele che garantiscano un’occupazione dignitosa e stabile. Il mancato raggiungimento del quorum, infatti, non solo archivia i quesiti, ma chiude temporaneamente anche lo spazio del dibattito pubblico attorno a questioni che coinvolgono milioni di persone.

Appalti e legalità, una riforma mancata

Particolarmente delicato era il quesito sulla responsabilità solidale negli appalti, che proponeva di eliminare l’obbligo per il committente di rispondere, insieme all’appaltatore, per eventuali inadempienze nei confronti dei lavoratori, come il mancato pagamento di stipendi o contributi. Si tratta di una norma fondamentale per garantire diritti e trasparenza in un settore spesso segnato da irregolarità, subappalti opachi e lavoro grigio.

La proposta di abrogazione aveva sollevato un acceso dibattito tra chi la considerava un freno all’attività d’impresa e chi, al contrario, la vedeva come uno dei pochi strumenti efficaci per tutelare i lavoratori coinvolti nelle catene degli appalti. Anche in questo caso, la mancata mobilitazione ha congelato il confronto su un tema centrale per la legalità e la responsabilità sociale nel mondo produttivo.

La cittadinanza negata al dibattito pubblico

Non meno importante il quesito sulla cittadinanza, che proponeva di eliminare un passaggio burocratico che rallenta il riconoscimento dei diritti per i figli di stranieri nati in Italia. In un contesto sociale ed economico che fatica a rinnovarsi, ignorare il potenziale umano di chi vive e lavora nel nostro Paese, senza però poter accedere pienamente alla cittadinanza, è una scelta miope.

Anche in questo caso, la bassa affluenza ha sottratto attenzione e voce a una parte significativa della popolazione, lasciando irrisolte questioni fondamentali per la coesione sociale.

Una responsabilità collettiva

Dietro l’astensionismo massiccio si nasconde un duplice fallimento. Da un lato, una classe dirigente incapace di trasformare i referendum in uno strumento vivo di partecipazione democratica. Dall’altro, un’opinione pubblica assuefatta alla sfiducia, convinta forse che esprimere il proprio voto non serva più a incidere sulla realtà.

In un momento storico segnato da profonde trasformazioni del lavoro, da diseguaglianze crescenti e da nuove sfide demografiche e sociali, l’assenza di coinvolgimento collettivo rischia di aggravare la distanza tra istituzioni e cittadini. I referendum dell’8 e 9 giugno, sebbene tecnicamente falliti, avrebbero potuto rappresentare un’occasione preziosa per restituire centralità a temi spesso relegati ai margini del dibattito politico.

La democrazia del giorno dopo

Il dato sull’affluenza impone una riflessione seria su come rigenerare la partecipazione democratica. Non si tratta solo di rilanciare l’istituto referendario, ma di ripensare il modo in cui il Paese discute – o evita di discutere – le questioni cruciali per il suo futuro. I diritti dei lavoratori, la trasparenza negli appalti, la cittadinanza per chi è nato e cresciuto in Italia: tutto questo avrebbe meritato una voce più forte.

E invece ha prevalso il silenzio. Un silenzio che pesa, oggi più che mai.