Parlare di linguaggio e parità di genere nella Pubblica Amministrazione non è una scelta formale o stilistica: è un atto politico e culturale. Presento qui una sintesi di quanto ho più diffusamente trattato nel mio contributo al volume “Linguaggio, Genere e Pubblica Amministrazione”, curato da Cecilia Robustelli ed edito nel 2024 dalla Fondazione Marco Biagi (Università di Modena e Reggio Emilia).
Nello scrivere il mio capitolo, ho sentito il peso e il valore di questa responsabilità. Si tratta di un lavoro collettivo, solido e visionario, che affronta in profondità un tema cruciale per il presente e il futuro delle istituzioni italiane.
Il mio contributo si inserisce nel quadro più ampio di una riflessione matura sul linguaggio istituzionale, il suo impatto e le sue potenzialità trasformative in chiave di parità.
Linguaggio amministrativo: specchio e leva del potere
Il linguaggio impiegato nella PA non è mai neutro. Storicamente, ha riflesso un sistema fortemente gerarchico, tecnicista e maschile. Questa impostazione ha favorito la distanza tra cittadini e istituzioni, e in particolare tra donne e amministrazione pubblica. Oggi, nella società digitale e complessa in cui viviamo, rivedere il linguaggio istituzionale è un’urgenza etica e funzionale.
Le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, redatte da Cecilia Robustelli nel 2014, hanno rappresentato un passaggio fondamentale. Ma a dieci anni dalla loro pubblicazione, ci troviamo a un bivio: o le rendiamo strumento effettivo di cambiamento, o restano dichiarazioni di principio prive di reale applicazione.
Dieci anni dopo: risultati parziali, consapevolezza ancora debole
Nel mio contributo, ho sottolineato come il quadro attuale sia profondamente disomogeneo. Se da un lato molte buone pratiche si sono consolidate, dall’altro resistono forti reticenze culturali, anche in contesti apicali delle istituzioni. Il Regolamento del Senato, per esempio, mostra come il linguaggio neutro-maschile continui a essere difeso come “norma”.
L’introduzione di nuovi ingressi nella PA, grazie alle opportunità aperte dal PNRR, è un’occasione strategica. È qui che dobbiamo innestare formazione sul linguaggio di genere, investendo nei dirigenti del futuro, valorizzando la presenza femminile nei concorsi e sostenendo una trasformazione che non sia episodica, ma duratura e strutturale.
Linguaggio, parità di genere e strategie nazionali
Un punto centrale del documento è il richiamo alle strategie europee e nazionali per la parità di genere, come la Strategia Nazionale 2021–2026, che collega il linguaggio inclusivo ai principi costituzionali di imparzialità della PA.
Nel mio contributo ho evidenziato come linguaggio inclusivo, semplificazione e efficacia amministrativa siano aspetti inscindibili. Un linguaggio chiaro e rispettoso delle differenze di genere non è solo più equo, ma anche più funzionale e trasparente. La nuova bozza di Linee guida sulla parità di genere nelle PA, sviluppata con il supporto del Dipartimento per le Pari Opportunità, rappresenta un passo avanti, perché non si limita alle raccomandazioni, ma propone azioni concrete e praticabili.
Da “buona pratica” a obbligo istituzionale
Nel testo ho voluto insistere su un punto: il linguaggio di genere non può più essere lasciato alla sensibilità del singolo. È tempo di affermarlo come dovere istituzionale, parte integrante del buon funzionamento della PA. I cambiamenti devono essere sistemici, coerenti e continui, non soggetti alle oscillazioni della politica.
Parlare al femminile nei ruoli pubblici non significa solo correggere una forma: significa riconoscere una presenza, favorire partecipazione, coltivare legittimazione sociale. È un passo concreto verso una democrazia paritaria.
L’Osservatorio per la parità nella PA e le azioni concrete
Il documento che presento e a cui ho contribuito sostiene con forza la necessità di un’azione capillare, che arrivi alla revisione di siti, moduli, bandi, documenti ufficiali, comunicazione digitale e social media. L’Osservatorio per la parità di genere nella PA, recentemente istituito, può svolgere un ruolo cruciale se sarà messo nelle condizioni di lavorare davvero.
Solo una comunicazione istituzionale non ambigua, accessibile e rispettosa delle differenze potrà avvicinare le istituzioni alle persone, rafforzandone la legittimità e l’efficacia.
Linguaggio e parità di genere: leva strategica per la trasformazione
Concludendo il mio contributo, ho voluto lanciare un messaggio chiaro: senza un linguaggio coerente, inclusivo e rispettoso, anche i più avanzati strumenti di policy – come il bilancio di genere o la valutazione dell’impatto di genere – rischiano di perdere efficacia.
Dirigenti, politica, organismi di vigilanza e Comitati Unici di Garanzia devono assumersi la responsabilità di promuovere il linguaggio di genere come indicatore di qualità amministrativa. Le lavoratrici devono poter pretendere rispetto, le cittadine riconoscimento, e anche le valutazioni dell’utenza devono evolvere, adottando una prospettiva di genere.
Non si tratta, come qualcuno ancora sostiene, di “una questione di desinenze”. Si tratta di una scelta di civiltà, di equità, di buona amministrazione.
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