Distacco emotivo dal proprio impiego, nessun coinvolgimento, nessun senso di appartenenza alla propria azienda, nessun legame emotivo con la propria attività quotidiana: questo è il ritratto del lavoro degli Italiani, tra i più svogliati e stressati in tutta Europa.


Quello che viene definito dal termine inglese quiet quitting è la spia di un malessere troppe volte sottovalutato, che esplode in una protesta tacita ma molto forte, in ogni angolo del mondo, una vero e proprio fenomeno che sta danneggiando migliaia di aziende in tutto il mondo.

Il termine è mutuato da una indagine Gallup, una global analytics and advisory firm, una piattaforma utilizzata da oltre 4 mila organizzazioni, con oltre 85anni di esperienza, con un panel rappresentativo di oltre il 95% dell’organizzazione mondiale.

Lavoro, Italiani tra i più svogliati e stressati d’Europa

Proprio secondo il report ‘State of the Global Workplace 2024’ realizzati da Gallup, ben il 25% dei lavoratori italiani, vale a dire 1 su 4, può essere definito col termine “attivamente disimpegnato” (quiet quitting), contro il 16% della media europea. Media Europea che comunque non disegna una buona salute del sistema lavoro in molti paesi, visto che solo il 47% afferma di “stare bene”, in Italia il valore si abbassa ancora al 41% ed un dato critico del 46% degli Italiani che dichiara di sentirsi stressato sul proprio posto di lavoro, contro un valore europeo che si attesta al 37%.

Stress lavorativo secondo l’OMS

Cefalea, disturbi gastrointestinali, insonnia, alterazioni dell’umore, ansia, demotivazione, difficoltà di concentrazione sono tra cui i più ricorrenti di un ampio spettro, lo stress lavorativo secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è una sindrome risultante dallo stress cronico vissuto sul luogo di lavoro e non efficacemente gestito.

Questo stato di disagio psicologico è direttamente connesso a fattori propri del contesto lavorativo, che hanno a che fare con ritmi troppo sostenuti, carichi di lavoro eccessivi, contenuti delle mansioni che non soddisfano, relazioni interpersonali e anche con la percezione del proprio ruolo professionale. Tra i fattori scatenanti della condizione di stress cronico chi lamenta questi disturbi individua più concause che hanno a che fare con richieste contrastanti e ambiguità dei ruoli, ma anche limitata partecipazione decisionale e scarsa autonomia e non ultima una gestione inadeguata dei cambiamenti organizzativi e precarietà occupazionale insanabile.

Anche le altre aree della vita del lavoratore sono coinvolte dallo stress lavoro-correlato

Seppure proprio dall’attività professionale possono arrivare gratificazione personale e sociale, lo stress lavoro-correlato può estendere la propria influenza ad altre aree della vita della persona. È quindi fondamentale cercare di mantenere un equilibrio tra vita professionale e personale, evitando che il lavoro monopolizzi la propria identità, se gli psicologi consigliano di adottare tecniche di rilassamento, di evitare di trasferire le problematiche lavorative nell’ambito domestico e di valorizzare le pause lavorative, ‘staccando’ la spina periodicamente, lo stress da lavoro attualmente si configura come un importante fattore di rischio per la salute mentale e fisica di moltissime persone, nella benestante Europa.

Il fenomeno del quite quitting in crescita

È proprio in questi spazi che si annida questo fenomeno in crescita, quello appunto del quite quitting, una sorta di tacita protesta, un modo per lavorare il meno possibile, distaccandosi emotivamente dal proprio impiego, e facendo solo il minimo indispensabile, un atteggiamento che, si stima, arrivi a causare in Europa 8,9 trilioni di dollari di danni ogni anno sempre secondo quanto calcolato da Gallup, che ha stimato il valore dello scarso impegno dei dipendenti sul lavoro come un costo  per l’economia globale che si attesta a 8,9 trilioni di dollari, pari al 9% del Pil mondiale con il registrare di bassa produttività, alto turnover e pochissima innovazione, un peccato non concedibile nel mercato globale, oggi.

La situazione europea a confronto con quella mondiale

Seppure la situazione Europea non  risulti così tragica come quella registrata in altri continenti, in Usa per esempio il processo di coinvolgimento dei dipendenti nelle decisioni aziendali ha registrato i minimi storici, e solo il 31% dei dipendenti dichiara di sentirsi coinvolto a livello aziendale, contro un dato Europeo del 13% di lavoratori ed un dato mondiale del 23% mondiale,  a preoccupare gli esperti è il trend di crescita che vede negli ultimi 10 anni, il numero di persone che esprimono stress, tristezza, ansia, rabbia o preoccupazione in continuo costante aumento, fino al raggiungendo i livelli più alti dall’inizio delle indagini di Gallup.

L’indagine della Cgil

Non dissimili i dati collezionati in un’altra indagine, commissionata dalla Cgil a Sviluppo Lavoro Italia e focalizzata su dati di una delle provincie notoriamente più dedite al lavoro e al business di tutto il sistema Paese, quella milanese che pure si piazza 73esima su 107 province italiane.

I dati raccolti mostrano un andamento piuttosto allineato di tutto lo stivale, con 872 persone che fra il 2023 e il 2024 hanno deciso di lasciare il proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, tra queste quasi la metà, il 47,3% ha meno di 34 anni ed il 70% ha meno di 44. Tornando al dato nazionale, l’Italia conferma il trend europeo e si impone tra le nazioni con i dipendenti meno impegnati.

Il nostro Paese fa meglio solo della Francia, che si ferma al 7%, con una percentuale dell’8% di dipendenti attivamente impegnati. Gli italiani sono anche fra i cittadini che più concretamente cercano un nuovo lavoro, con una percentuale del 41%, dato inferiore solo a quello degli albanesi col 42%, ancora gli italiani sono i più tristi sul lavoro con un dato del 25%, meglio solo di Regno Unito e Cipro.

Come superare questa situazione critica?

Come uscire dal tunnel del distacco e del disinteresse professionale, secondo gli esperti è necessario che i vertici aziendali applichino urgentemente dei correttivi sforzandosi nella direzione di creare un ambiente di lavoro positivo, implementare la gestione delle risorse umane con più accoglienza e disponibilità, restituire più feedback positivi e gratificanti, lavorare su identità e valori condivisi. Azioni di formazione dei dipendenti, ad esempio, possono stimolare e generare soddisfazione, introducendo magari dei benefit che non siano meramente economici.