Il grido d’allarme dal Convegno alla Camera dei Deputati del 29 maggio scorso: per l’associazione Natitaliani la nuova Legge sulla Cittadinanza rappresenta una vera e propria tagliola giuridica contro l’Italia globale.
Un attacco frontale ai diritti, alla Costituzione e alla storia della diaspora: così giuristi, costituzionalisti e parlamentari dell’opposizione hanno definito la nuova legge 74/2025, nata dal contestato DL 36/2025.
Il convegno “CITTADINANZA ITALIANA IURE SANGUINIS TRA DIRITTO COSTITUZIONALE, DIRITTO EURO UNITARIO ED INTERVENTI LEGISLATIVI” promosso da Natitaliani ha rappresentato non solo un momento di denuncia, ma anche il primo atto di una mobilitazione culturale e giuridica per difendere il principio dello ius sanguinis e il legame storico tra l’Italia e i suoi figli nel mondo.
- Cittadinanza negata: la legge come frattura giuridica con l’Italia nel mondo
- Italiani di serie A e B: lo sdegno politico
- Giuristi e costituzionalisti: “Una legge piena di vizi di costituzionalità che va contro la storia italiana”
- Partita chiusa? No: è solo il primo atto di una battaglia giuridica, culturale e politica
Cittadinanza negata: la legge come frattura giuridica con l’Italia nel mondo
Una sala gremita e una domanda che ha accompagnato l’intero dibattito: che cosa significa oggi essere italiani? A rispondere sono stati giuristi di fama e parlamentari delle opposizioni, compatti nel denunciare una legge “retroattiva, punitiva e incostituzionale” che trasforma la cittadinanza italiana da diritto originario a concessione discrezionale.
L’on. Stefano Vaccari, segretario di Presidenza della Camera, ha rotto gli indugi: “Anch’io ho parenti negli Stati Uniti, ma chi non ne ha in famiglia. Questa legge non solo è giuridicamente fragile, ma rompe un patto storico con l’Italia globale. Si limita la trasmissibilità della cittadinanza alla seconda generazione, si viola il principio di irretroattività e si mette a rischio la posizione di milioni di italiani nati all’estero, con una probabile esplosione di contenziosi”.
Italiani di serie A e B: lo sdegno politico
Durissimo anche l’intervento dell’on. Fabio Porta, che ha citato il sociologo Pippo Russo: “Né suolo né sangue. Solo esclusione”. Porta ha parlato di una visione “sovranista e chiusa dell’italianità, che rigetta chi è nato oltre confine”. La contraddizione è evidente: mentre nel 2024 il Ministero degli Esteri promuoveva con entusiasmo il “turismo delle radici”, oggi lo stesso Governo “sconfessa la diaspora e crea italiani di serie A e serie B”.
Sulla stessa linea l’on. Christian Di Sanzo, che ha accusato il Governo di aver adottato una “norma ideologica e affrettata”, nata senza un confronto parlamentare e destinata a indebolire il soft power italiano nel mondo. “Questo provvedimento spezza un legame secolare. È un colpo di spugna alla memoria e alla continuità della nostra identità nazionale.”
Giuristi e costituzionalisti: “Una legge piena di vizi di costituzionalità che va contro la storia italiana”
L’avv. Marco Mellone, promotore dell’evento, ha richiamato le radici dello ius sanguinis: “È nato con l’Italia stessa, al tempo della grande emigrazione. Cambiarlo così, senza salvaguardie, è negare la nostra storia.” Mellone ha espresso fiducia nella Corte Costituzionale, che il prossimo 24 giugno sarà chiamata a pronunciarsi sulla questione di incostituzionalità dello “ius sanguinis”, sollevata recentemente dal Tribunale di Bologna. L’auspicio è la suprema Corte “sappia ascoltare il grido di allarme che si leva non solo da milioni di italiani nati all’estero dimenticati ma anche dei tanti giuristi che hanno rilevato vizi di costituzionalità nel DL trasformato in legge.”
Il costituzionalista Prof. Nicola Brutti ha tracciato un quadro impietoso: “Siamo davanti a una norma che crea disuguaglianza, viola i principi di proporzionalità e legittimo affidamento e rischia di generare migliaia di ricorsi. Non riconosce più la cittadinanza come diritto acquisito per nascita, ma come concessione discrezionale, subordinata a criteri arbitrari e vincoli territoriali che nulla hanno a che vedere con lo ius sanguinis.”
Ne emerge una fusione distorta tra ius sanguinis e ius soli, in aperto contrasto con i principi fondanti dello status civitatis italiano. A differenza di Paesi come Francia, Germania e Olanda, che hanno riformato la normativa sulla cittadinanza garantendo misure transitorie e preservando la stabilità giuridica, l’Italia procede senza alcuna clausola di salvaguardia. L’eliminazione del principio di legittimo affidamento e, soprattutto, la previsione di misure punitive come la revoca della cittadinanza per chi detiene un doppio passaporto, si pongono in aperto contrasto con gli articoli 2, 3 e 22 della Costituzione.
Il giurista Giovanni Bonato ha parlato senza mezzi termini di “diseredazione giuridica di massa”. La legge 74/2025, ha spiegato, “ripristina il concetto di cittadinanza esclusiva, di fatto annullando la possibilità della doppia cittadinanza per gli italo-discendenti, colpendo in modo particolare le comunità di Argentina e Brasile. “Si è scelta – ha concluso – la via della chiusura e dell’esclusione, anziché quella del confronto e dell’integrazione.” Un approccio che richiama alla mente i regimi autoritari dove si può perdere la cittadinanza per motivi politici. Ora l’Italia rischia di seguire quella stessa deriva.”
La prof.ssa Roberta Calvano ha smontato l’impianto giuridico del decreto: “L’emergenza alla base della decretazione d’urgenza non ha fondamento perché l’intasamento e i ritardi dei tribunali e consolati era ben nota da anni. Si è usato il decreto legge per imporre una volontà politica senza l’opportuno dibattito parlamentare. Il risultato di questa sorta di “scippo”? Una legge che, in violazione del principio di irretroattività, finirà per generare caos amministrativo.” Il nuovo impianto normativo infatti, non solo non tiene conto delle situazioni pendenti, ma crea una tagliola tra chi ha fatto domanda prima del 27 marzo e chi l’ha presentata dopo il 28 marzo.
Il professor Alfonso Celotto ha proseguito con una riflessione di più ampio respiro: “Cos’è oggi la cittadinanza?”. Ha ricordato che il concetto di cittadinanza nasce con Roma e si evolve con la Rivoluzione Francese: è appartenenza a una comunità, trasmessa dalla famiglia. Oggi, ha sottolineato, si è di fronte a un doppio cortocircuito: da un lato, gli immigrati che vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia senza poter accedere facilmente alla cittadinanza; dall’altro, i discendenti degli emigrati italiani ai quali viene tolto ciò che avevano diritto di rivendicare dalla nascita. Il DL 36/2025 – divenuto legge – non attribuisce, ma nega. E lo fa in modo improvviso, generalizzato, senza prendere in considerazione casi individuale, in spregio ai principi di proporzionalità e non discriminazione. Una legge – ha detto Celotto –tardiva e misoneista, che genera solo esclusione, confusione e contenziosi.
Il professor Michele Carducci ha posto l’attenzione su una contraddizione centrale: la Costituzione italiana riconosce la libertà di emigrazione e tutela i lavoratori italiani all’estero. L’Unione Europea si fonda sul principio della libera circolazione delle persone. Ebbene, come può allora una legge trasformare gli oriundi – figli della diaspora – in stranieri da trattare alla stregua di aspiranti cittadini? L’art. 1-bis della nuova legge li degrada giuridicamente, come se l’assenza di “effettività territoriale” potesse cancellare la continuità di sangue e cultura. Una scelta discriminatoria, che nega le sentenze della stessa Corte Costituzionale, come la n. 15 del 1960, che riconosce l’oriundo come colui che nasce in un altro paese da un genitore italiano.
Il professor Giacomo De Federico ha evidenziato le gravi incompatibilità della legge 74/2025 con il diritto europeo. Ha citato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha stabilito che il programma con cui Malta agevola la concessione della cittadinanza in cambio di investimenti viola la legge comunitaria. Lo stesso principio, ha spiegato, vale per la revoca della cittadinanza: deve avvenire solo dopo una valutazione individuale rispettosa del principio di proporzionalità. L’attuale legge italiana non rispetta questo standard. È dunque passibile di censura da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, aprendo a ricorsi e richieste di risarcimento per danni morali e discriminazione.
Partita chiusa? No: è solo il primo atto di una battaglia giuridica, culturale e politica
Le domande del pubblico hanno concluso un convegno acceso e partecipato, che ha lasciato un messaggio chiaro: la partita non è chiusa. È solo all’inizio. “La posta in gioco – ha detto in chiusura Claudia Antonini – è l’identità stessa del nostro Paese. Questa legge è un tradimento della nostra storia, Natitaliani si batterà in tutte le sedi per difendere non solo i diritti calpestati degli italiani nati all’estero ma anche un’idea di Italia che non si chiude nei confini, ma si riconosce nella sua proiezione globale.”