La sezione V bis Roma, del TAR Lazio con la sentenza 29 maggio 2025, numero 10391, analizza tematiche molto attuali come cittadinanza e integrazione ai valori costituzionali. Focus a cura dell’Avv. Maurizio Lucca.


Nello specifico si entra nel merito del giudizio sulla valutazione dell’integrazione dello straniero ai valori dell’ordinamento nazionale (quelli costituzionali), dove le condotte penalmente rilevanti (reiterate in un breve arco temporale) possono incidere sull’esito dell’istruttoria per la concessione dello status di cittadino.

Istruttoria

L’Amministrazione, nel riconoscere la cittadinanza italiana è chiamata ad effettuare una delicata valutazione in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società, ma non può limitarsi, pur nel suo ampio apprezzamento discrezionale, ad un giudizio sommario, superficiale ed incompleto, ristretto alla mera considerazione di fatti risalenti, per quanto sanzionati penalmente, senza contestualizzarli all’interno di una più ampia e bilanciata disamina che tenga conto dei suoi legami familiari, della sua attività lavorativa, del suo reale radicamento al territorio, della sua complessiva condotta che, per quanto non totalmente irreprensibile sul piano morale, deve comunque mostrare, perlomeno e indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento, di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza [1].

Le eventuali contestazioni spettano alla giurisdizione dl giudice amministrativo visto che la concessione della cittadinanza rappresenta il risultato di un apprezzamento discrezionale da parte dell’Amministrazione, che implica una valutazione non solo sulla sicurezza pubblica ma anche su tutti i profili di integrazione dello straniero nella comunità nazionale: la posizione giuridica del richiedente non è di diritto soggettivo ma di interesse legittimo [2].

Natura dell’atto concessorio

La norma attributiva del potere per il rilascio della cittadinanza si rinviene nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, Nuove norme sulla cittadinanza, a tenore del quale la cittadinanza “può” – e non “deve” – essere concessa («La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno»).

Siamo di fronte ad una dilatata discrezionalità che si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, oltre che nel diritto attinente ai “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistenti nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra («il sacro dovere di difendere la Patria» sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell’adempimento dei «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui si entra a far parte (ex artt. 2 e 53 Cost.) [3].

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo: determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini [4].

L’interesse dell’istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale, rappresentato un atto di “alta amministrazione”, rientrando nella fattispecie dei c.d. «provvedimenti plurimotivati», rispetto ai quali è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale, dal momento che nel caso di un atto fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le une dalle altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento [5].

Fatto

Il ricorso viene promosso avverso al decreto adottato dal Ministero dell’Interno di rigetto della domanda di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 («allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica»).

Si contesta il diniego fondato sui precedenti penali risalenti nel tempo e in presenza di avvenuta riabilitazione, senza considerare l’avvenuta integrazione, anche dei legami familiari, dell’attività lavorativa, del suo reale radicamento nel territorio e la sua complessiva buona condotta.

Agli atti del giudizio risulta un certificato del Casellario giudiziale, con a carico della parte ricorrente di una serie di elementi pregiudizievoli di carattere penale, quali sentenze irrevocabili di (oltre una comunicazione di notizia per i reati di cui agli artt. 582, 594 e 612 c.p., lesioni, ingiurie, minacce):

  • il reato di cui all’art. 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri);
  • reato di cui agli artt. 81, 110, 455 c.p. (spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate continuato in concorso);
  • reati di cui agli artt. 648, 81, 468 c.p. (ricettazione e contraffazione di pubblici sigilli).

L’Amministrazione resistente deduce da tali fatti l’impossibilità di consentire certezze in ordine al pieno inserimento nel tessuto sociale, rilevando che la riabilitazione è intervenuta mesi dopo al diniego di cittadinanza [6].

Merito

Il ricorso viene rigettato sulle seguenti ragioni:

  • nei procedimenti di rilascio della cittadinanza la PA gode di amplissima discrezionalità (un atto di alta amministrazione) [7]: in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l’integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta [8];
  • il conferimento dello status di cittadino, presuppone che nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui la Repubblica Italiana si fonda [9];
  • il sindacato giudiziale sulla valutazione così compiuta dall’Amministrazione non può che essere di natura estrinseca e formale e non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole [10];
  • (in effetti, l’intervento del GA ha natura estrinseca e formale e si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non si estende all’esame diretto e all’autonoma valutazione del materiale tendente a dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti) [11];
  • il comportamento addebitato all’istante rimane comunque valutabile quale fatto storico indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza, atteso che la riabilitazione, al pari di quelli di estinzione della pena e persino dei provvedimenti collettivi di clemenza, non incidono pertanto sulla capacità dell’Amministrazione di negare il richiesto status civitatis [12].

In altre occasioni [13], anche l’assenza di un reddito di sostentamento viene ritenuto un valido motivo per rigettare l’istanza di ottenimento della cittadinanza: l’incapienza reddituale, con altri elementi da valutare rientra tra l’effettivo e proficuo inserimento del soggetto nella comunità nazionale e l’autosufficienza economica, risulta uno di questi.

Sulla base di tali principi non sono ravvisabili vizi di natura istruttoria o motivazionale [14], avendo valutato in maniera corretta e non manifestamente illogica la situazione dell’istante: i fatti addebitati sono stati, quindi, legittimamente considerati, quale indice sintomatico di inaffidabilità e non compiuta integrazione desumibile dal rispetto delle regole di civile convivenza, che impediscono il riconoscimento della cittadinanza italiana, dovendo valutare i diversi profili sotto un angolo visuale diverso da quello processuale ma di effettiva integrazione e di normale convivenza nel tessuto sociale.

Infatti, a sostegno del pronunciamento, si osserva che è viziato – per difetto di motivazione – il diniego di concessione della cittadinanza italiana, incentrato totalmente su precedenti segnalazioni di reato, non sfociate in procedimenti penali, a carico della richiedente, in carenza di qualsivoglia disamina della posizione di quest’ultima e della sua integrazione sul territorio nazionale [15]: tutte valutazione che nel caso di specie sono avvenute.

Alla luce del quadro esegetico, si può rilevare che l’inserimento nella comunità statale può avvenire soltanto quando l’Amministrazione ritenga che il cittadino straniero possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di stabile integrazione nella collettività nazionale, mediante un giudizio prognostico che escluda ogni sua possibile azione in contrasto con l’ordine e la sicurezza nazionale e che possa disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato [16].

In effetti, la concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico: l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante il citato giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato [17].

Assonanza

Pare giusto collegare al pronunciamento una norma che impedisce allo straniero di occupare posizioni pubbliche intimamente connesse con la spendita di poteri autoritativi collegati agli interessi primari dello Stato: l’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, afferma (in questo senso) che lo status di cittadino italiano è necessario soltanto per accedere ad alcune peculiari carriere, mentre: «I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea e i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale» [18].

Tale previsione (in assonanza di fonte) ha proprio la finalità di garantire che lo straniero risulti, effettivamente, integrato nella comunità nazionale per un dato periodo: una assimilazione completa di valori.

Sintesi

Il rilascio della concessione della cittadinanza (status civitatis) postula un procedimento istruttorio che valuta la condotta del richiedente, tenendo conto non solamente dei fatti penalmente rilevanti ma anche di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale e/o attinente alla sua presenza nel territorio nazionale nel periodo considerato, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro pregiudizio alla sicurezza dello Stato, oltre ad esigere un quid pluris di assimilazione dei valori fondamentali dell’ordinamento per l’attribuzione dei c.d. diritti politici [19].

Note

[1] I profili dell’integrazione del richiedente nella comunità nazionale e dell’assenza di elementi che possano compromettere la sicurezza della Repubblica: una valutazione che comprende anche la considerazione di parentela o legami significativi con soggetti potenzialmente pericolosi per la sicurezza dello Stato, TAR Lazio, Roma, sez. V bis, 31 marzo 2025, n. 6399.

[2] Cass. civ., SS.UU., Ordinanza, 26 aprile 2025, n. 10935.

[3] TAR Lazio, Roma, sez. V stralcio, 16 settembre 2024, n. 16400.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2022 n. 104; sez. IV, sentenze nn. 798/1999; 4460/2000; 195/2005; sez., I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; sez. III, nn. 6374/2018; 1390/2019, 4121/2021.

[5] Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2022, n. 1529; sez. VI, 17 febbraio 2022, n. 1200; sez. V, 8 febbraio 2022, n. 899; sez. IV, 24 gennaio 2022, n. 436; sez. V, 11 gennaio 2022, n. 200.

[6] In presenza di reati di non lieve entità, le risultanze penali anche se molto risalenti nel tempo si possono valutare negativamente sul piano amministrativo e a prescindere dagli esiti processuali o dall’eventuale riabilitazione, TAR Lazio, Roma, sez. V stralcio, sentenza n. 20716/2024.

[7] Condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno “status illesae dignitatis” (morale e civile) di colui che lo richiede, Cons. Stato, sez. III, 2 agosto 2023, n. 7484. Richiede la valutazione della capacità di stabile integrazione del richiedente nella comunità nazionale e la sua adesione ai valori costituzionali: la sussistenza di condanne penali ed eventuali omissioni dichiarative nella domanda possono rappresentare motivo sufficiente per il diniego, anche se la riabilitazione è ottenuta successivamente, Cons. Stato, sez. III, 4 marzo 2025, n. 1835.

[8] Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 5913/2011.

[9] Cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 657/2017.

[10] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. V bis, 10 marzo 2025, n. 5054; Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2025, n. 723.

[11] Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2021, n. 6473.

[12] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. V bis, sentenza n. 13910/2022; Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 7122/2019. Le risultanze penali ben si possono valutare negativamente sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali, in quanto il comportamento non è valutato ai fini dell’irrogazione di una sanzione, bensì al fine di formulare un giudizio sul grado di assimilazione dei valori e sulla futura integrazione, Cons. Stato, sez. III, sentenze nn. 4684/2023; 1057/2022; 4122/2021; 470/2021.

[13] TAR Lazio, Roma, sez. V bis, 25 giugno 2025, n. 12602.

[14] Sotto il profilo motivazionale il provvedimento di diniego non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie che potrebbero in qualche modo compromettere l’attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti, essendo sufficiente l’indicazione delle ragioni del diniego senza dover indicare tutte le valutazioni interne che hanno condotto al giudizio di pericolosità sociale del richiedente, Cons. Stato, sez. III, sentenze nn. 4765/2023; 11387/2022 e n. 3902/2923.

[15] Cons. Stato, sez. III, 7 maggio 2025, n. 3895.

[16] Cons. Stato, sez. III, 16 gennaio 2025, n. 334; nn. 4121/2021; 8233/2020; 7122/2019; 7036/2020; 2131/2019; 1930/2019.

[17] TAR Lazio, Roma, sez. V bis, 6 maggio 2024, n. 8995, dove è stato ritenuto legittimo il diniego della cittadinanza ad uno straniero che sarebbe stato molto attivo nella raccolta di fondi che, almeno in parte, si sospetta possano essere stati destinati al finanziamento del terrorismo transnazionale: tali attività manifestano una mancata adesione ai valori espressi dalla comunità nazionale ed un impegno nelle controversie dottrinali, in ambito religioso, del paese d’origine, che non depongono per una concreta ed effettiva naturalizzazione ed integrazione nel paese di cui si chiede lo status.

[18] Cfr. Tribunale Milano, sez. lavoro, 15 febbraio 2025, n. 753; TAR Lazio, Roma, sez. III, 24 maggio 2022, n. 6653; TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 7 giugno 2017, n. 6719.

[19] Cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenze nn. 4684/2023, 8364/2023; 3121/2019, 1390/2019.