La cassazione si è pronunciata in merito all’equo compenso degli avvocati e la validità degli accordi pregressi, in occasione di una controversia tra un legale e la banca incaricata di recuperare un suo presunto debito con una società. Ecco come si è conclusa la vicenda.
La vicenda all’origine della controversia
Il caso trae origine dalla richiesta di pagamento di compensi professionali avanzata dall’avv. A.A. nei confronti della Banca di Credito Cooperativo di Milano (BCC) per attività di recupero crediti svolte in favore dell’istituto su un ampio numero di pratiche, riconducibili alla società “Classic Motor-Ripa Bruschetti di Meana”.
Il professionista aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per un credito maturato nell’ambito dell’incarico, ma la Banca aveva proposto opposizione, ponendo a fondamento l’esistenza di convenzioni tariffarie stipulate negli anni 2013 e 2015, con le quali – a suo dire – le parti avevano determinato in via definitiva i compensi dovuti, superando ogni precedente accordo.
In particolare, l’accordo del 2015 prevedeva che per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014 il compenso dovuto all’avvocato, pari a euro 836.833,32, venisse ridotto del 25%, per un saldo finale di euro 599.828,22. Per l’attività successiva a tale data, si sarebbe applicata la convenzione tariffaria del 2013, con i criteri stabiliti da BCC Gestione Crediti S.p.A.
L’avvocato, al contrario, sosteneva la perdurante validità dell’accordo del 1996, che prevedeva compensi da liquidarsi secondo le tariffe professionali forensi e contestava la validità delle successive convenzioni, ritenendole in contrasto con l’art. 13-bis della l. 247/2012, introdotto a tutela dell’equo compenso.
Le decisioni di merito
Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 16 luglio 2020, ha accolto parzialmente l’opposizione della Banca, ritenendo che:
- l’accordo del 2013 non fosse mai stato validamente concluso per mancata accettazione da parte dell’avvocato;
- l’accordo del 2015 avesse invece valore vincolante, prevedendo un saldo definitivo dei compensi per le prestazioni rese fino al 30 giugno 2014, inclusi anche gli incarichi non specificamente elencati nel relativo allegato;
- le prestazioni successive a tale data andassero remunerate secondo i criteri della convenzione del 2013, richiamata nell’accordo del 2015.
La tesi difensiva dell’avvocato, secondo cui l’accordo del 2015 doveva applicarsi solo a parte delle pratiche elencate e non avesse effetto novativo rispetto all’accordo del 1996, è stata respinta. Il giudice di merito ha altresì rigettato l’eccezione di nullità per violazione del principio di equo compenso, rilevando l’inapplicabilità dell’art. 13-bis l. 247/2012 ratione temporis, essendo le attività cessate nel 2017, dunque prima della sua entrata in vigore.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto corretta la determinazione del compenso spettante per le attività post 30/06/2014 in base alla convenzione del 2013 e ha escluso qualsiasi ulteriore pretesa per quelle anteriori, già oggetto dell’accordo del 2015.
Il giudizio della Corte di Cassazione: principio di diritto e rilevanza del profilo temporale
Con ordinanza n. 15537/2025, la II Sez. Civ. della Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando integralmente il ricorso principale dell’avvocato e quello incidentale della Banca.
Il Collegio ha ritenuto infondata la censura secondo cui l’accordo del 1996 fosse tuttora vincolante, chiarendo che l’accordo del 2015, redatto su carta intestata dello studio legale dell’avvocato, rappresentava una transazione definitiva per le prestazioni rese sino al 30 giugno 2014. Tale pattuizione non solo era valida, ma comprensiva di tutte le pratiche svolte entro quella data, indipendentemente dalla presenza o meno nell’allegato.
In merito all’applicazione dell’art. 13-bis della l. 247/2012, la Corte ha confermato l’interpretazione restrittiva già fornita con ordinanza n. 7354/2025, secondo cui “In tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della L. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall’art. 19 quaterdecies del D.L. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 172 del 2017, con effetti dall’1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore”. Pertanto, la norma sull’equo compenso non ha efficacia retroattiva e si applica unicamente alle prestazioni professionali rese successivamente al 6 dicembre 2017, data della sua entrata in vigore.
Dalla motivazione della Corte si evince, dunque, il seguente principio di diritto:
L’art. 13 bis della L. n. 247 del 2012 relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, introdotto dall’art. 19 quaterdecies del D.L. n. 148 del 2017, non ha natura interpretativa né valore retroattivo, pertanto non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore, prevista dall’1.1.2018.
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