Entrambe le madri di una coppia omosessuale possono riconoscere un figlio alla nascita in Italia avuto grazie alla procreazione medicalmente assistita (PMA) praticata nei Paesi in cui è legale: lo stabilisce la Corte Costituzionale.
Questa la storica decisione assunta dai giudici della Consulta, che con la sentenza n. 68/2025 depositata il 22 maggio hanno dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 8 della legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), in quanto violativo degli artt. 2-3 e 30 della nostra Carta.
In particolare, la censura interviene sulla parte della norma che non prevede la possibilità per il nato in Italia di avere lo stato di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale, ossia la donna che ha espresso il preventivo consenso alla PMA e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.
D’ora in poi, pertanto, anche nel nostro Paese i bambini nati da PMA avranno due madri e potranno essere iscritti all’anagrafe come figli di entrambe, senza più bisogno di ricorrere all’espediente dell’adozione per casi particolari.
Fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca
Con ordinanza 148/2024 il Tribunale di Lucca aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40/2004, nonché dell’art. 250 Codice civile, rinviando alla Corte i dubbi sul riconoscimento dei bambini nati in Italia e concepiti all’estero tramite fecondazione eterologa come figli di due madri.
I giudici toscani, infatti, avevano sostenuto che riconoscere come madre solo la partoriente e non anche la cosiddetta madre intenzionale, imponendo la cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto da quest’ultima, violasse gli articoli 2-3-30-31 e 117 della Costituzione, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.
A queste si è opposta in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo che venissero dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.
Una linea, d’altronde, in continuità con la Circolare diramata dal ministro dell’Interno Piantedosi nel 2023, con la quale si chiedeva ai Prefetti d’invalidare quei certificati di nascita in cui alcuni comuni andavano trascrivendo entrambe le mamme come legittime.
Per la Corte costituzionale deve prevalere sempre il diritto del minore
La dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Consulta si fonda su due rilievi.
Punto primo, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi alla responsabilità che deriva dall’impegno comune assunto dalla coppia con il ricorso alla PMA per generare un figlio. Punto secondo, è centrale l’interesse del minore a vantare l’insieme dei suoi diritti, sia nei confronti della madre biologica sia verso la madre intenzionale.
Da queste considerazioni scaturisce la decisione dei giudici, i quali affermano che il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni», sia il suo «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».
In pratica si è prodotta un’equiparazione con quanto già accade nella fecondazione eterologa, consentita in Italia dalla legge n. 40/2004 per le sole coppie eterosessuali, dove è riconosciuto automaticamente come padre l’uomo che abbia dato il consenso alla donna per l’utilizzo del seme di un donatore.
I presupposti nella giurisprudenza consolidata
Già da una prima lettura della sentenza se ne comprende bene la logica. I giudici della Consulta, infatti, hanno svolto una meticolosa ricostruzione giurisprudenziale, ribadendo importanti princìpi.
Innanzitutto, allorché la Corte «ha rilevato la centralità dell’interesse del minore pur quando la fecondazione eterologa, e la stessa PMA, non erano ancora consentite; e ciò in relazione, non solo ai diritti garantiti dagli artt. 30 e 31 Cost., ma anche ai diritti del minore nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità».
O come ha delineato «l’affermazione dell’unicità dello stato di figlio, quale principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013 […] per cui “[t]utti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. In forza di tale principio tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento (all’interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme) godono della medesima considerazione, con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio (art. 315-bis cod. civ.), sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 74 cod. civ.)».
Fino a stabilire che «il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato. L’orientamento sessuale, infatti, “non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali” (sentenza n. 32 del 2021), né “incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale” (sentenza n. 33 del 2021)».
Apprezzamenti, polemiche e prospettive politiche
Con questa sentenza, ancora una volta, la Corte costituzionale ha dovuto supplire all’inerzia legislativa che ha creato un vulnus al quadro normativo.
Come prevedibile, ne sono scaturite valutazioni diametralmente opposte tra gli schieramenti politici, con la soddisfazione espressa da tutte le forze di centrosinistra e le pesanti critiche del centrodestra (al netto di una parziale eccezione in Forza Italia).
Alla luce delle dichiarazioni rilasciate, pertanto, il Parlamento potrebbe essere investito per una normazione più complessiva, con la trattazione di argomenti che spaziano dalla fecondazione assistita fino alla maternità surrogata.
Necessaria un’estrema chiarezza
Ma per evitare equivoci e strumentalizzazioni di parte va fatta estrema chiarezza.
Innanzitutto, sottolineando come con la sentenza n. 68/2025 non vi è stata un’apertura alla PMA per le coppie lesbiche, che in Italia rimane vietata, ma solamente (si fa per dire!) sancito il riconoscimento dei loro figli già nati.
La stessa Corte, infatti, ha chiarito che le questioni oggetto della decisione si collocano «su un piano differente da quello dell’aspirazione alla genitorialità da parte delle coppie omosessuali, rispetto alla quale questa Corte ha ritenuto “non eccedente il margine di discrezionalità” la scelta del legislatore di precludere loro l’accesso alle tecniche procreative (sentenza n. 221 del 2019)».
E che «Del pari estranei al presente giudizio sono i profili legati alla filiazione da modalità della gestazione per altri (cosiddetta maternità surrogata) che costituisce una tematica affatto diversa», ritenuta dall’ordinamento italiano meritevole di sanzione penale e violativa di un principio di ordine pubblico.
Infine, nella stessa giornata, la Consulta ha depositato anche la sentenza n. 69/2025, nella quale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate sull’articolo 5 della legge n. 40/2004, per la parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla PMA.
Un tema altrettanto complesso, su cui ha di nuovo auspicato un intervento del Parlamento, affermando che non sussistono comunque ostacoli costituzionali a una eventuale estensione, da parte del legislatore, dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche a nuclei familiari diversi da quelli attualmente indicati, e nello specifico alla famiglia monoparentale.