donne-lavoro-divari-genereCresce l’occupazione femminile ma persistono le disparità, ancora netto il gap tra nord e sud d’Italia: una riflessione sulla situazione attuale in materia di donne, lavoro e divari di genere.


Si avvicina l’8 marzo, Giornata Internazionale delle donne,  ed è praticamente inevitabile parlare di occupazione femminile, questioni di genere e perduranti disparità.

Stando ai dati Istat del rapporto 2023 sull’occupazione femminile in Italia, le occupate hanno raggiunto quota 10 milioni ma ci sono ancora forti disparità territoriali fra il nord e il sud del nostro Paese.

Donne, lavoro e divari di genere

Nonostante negli ultimi dieci anni il numero delle lavoratrici sia aumentato di quasi un milione e l’incidenza delle donne sul totale degli occupati sia passata dal 39,4% al 42,2% , l’Italia resta insieme a Malta e Grecia uno dei paesi europei con la più bassa componente femminile dell’occupazione mentre il divario con la media Europea (46,3%)  rimane ampio.

Oggi in Italia le donne disoccupate sono 900.000 mentre quelle inattive circa otto milioni. 

Divario territoriale

Dal punto di vista territoriale il divario occupazionale femminile ricalca quello economico tra le regioni del Centro e del Nord e quelle del Sud.

In Calabria, Campania e Sicilia lavora una donna su tre. Si tratta deltasso di occupazione femminile più basso in Italia. Per contro, se guardiamo la situazione in Trentino Alto-Adige, il tasso di occupazione femminile è pari al 66,2%, più che allineato rispetto alla media europea.

Gender pay gapblank

Oltre alla disparità numerica di occupati tra i due sessi e al divario occupazionale territoriale non può non considerarsi anche il gender pay gap, ossia la differenza di retribuzione salariale fra uomini e donne.  Stando a quanto riportato nell’“Analisi dei divari di genere nel mercato del lavoro e nel sistema previdenziale pubblicato dall’INPS nel febbraio scorso,  la disparità retributiva in Italia rappresenta un fenomeno significativo e pervasivo che interessa sia il settore privato che quello pubblico. Se si analizzano le retribuzioni medie annue lorde delle lavoratrici e dei lavoratori il gap è di 7.922 euro annui per le donne che lavorano per aziende private (- 30% rispetto agli uomini) e di 9.895 euro annui nel pubblico (-24,6%).

Segregazione del mercato del lavoro

Tra i fenomeni distorsivi del mercato del lavoro femminile anche la cosiddetta segregazione orizzontale e verticale.

Le donne che scelgono di lavorare avrebbero facoltà di accedere a qualunque professione, almeno in linea teorica; in pratica però ciò non accade, e le loro scelte risultano confinate in un ambito molto più limitato. Le donne infatti non si distribuiscono in modo uniforme nei settori di attività, nelle professioni e nei mestieri, ma si concentrano prevalentemente in poche occupazioni, spesso legate a stereotipi sociali e ricalcate sui ruoli tradizionali del lavoro domestico e di cura (insegnanti, segretarie, impiegate, parrucchiere, infermiere, commesse, assistenti sociali, cassiere, dietiste, ecc.). Questi lavori sono caratterizzati da retribuzioni poco elevate, bassa qualificazione e scarse prospettive di carriera, ma sono più compatibili di altri con la gestione delle responsabilità familiari (vicini al luogo di residenza, con orari flessibili, con incarichi di routine che non richiedono trasferimenti e straordinari, ecc.

Le donne occupate sono nettamente prevalenti in alcuni settori come la sanità e l’istruzione e meno in altri settori come la finanza e le assicurazioni e la manifattura generalmente meglio pagati; inoltre il 58,4 delle donne è occupata con qualifiche più basse sul totale degli impiegati e soltanto il 21% ricopre ruoli dirigenziali.

Conciliazione vita lavorativa e privata

Alla base delle disparità occupazionali tra uomini e donne vi sono i problemi connessi alla conciliazione dei ruoli e al work life balance.

Di fatto, i ruoli di cura, solitamente in capo alle donne, finiscono per ridurne le opportunità di crescita e di carriera. L’orientamento delle donne verso forme flessibili di occupazione con contratti a termine o part-time rappresenta una scelta obbligata se si vogliono conciliare i ruoli e bilanciare vita lavorativa e vita privata. I numeri attestano che nel privato il 47,7% delle donne è occupato a tempo parziale a fronte del 17,4% degli uomini. Queste tipologie contrattuali si concentra soprattutto in quelle regioni dove il tasso di occupabilità femminile è più basso. A pesare anche i contratti a tempo determinato, la cui discontinuità porta a una minore retribuzione annua complessiva per le lavoratrici. Un fenomeno che incide profondamente nell’economia nazionale e colloca l’Italia tra gli ultimi posti della classifica europea.

Conclusioni

blankSuperare i divari territoriali e di genere è una delle sfide cruciali per la competitività del nostro Paese e, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si muove proprio in questa direzione  coerentemente con la Strategia Nazionale per la Parità di Genere 2021-2026  declinata su cinque priorità: lavoro, reddito, competenze, tempo, potere.

Insomma, i dati positivi del 2023 sull’occupazione femminile nascondono purtroppo ancora molteplici problematiche e nodi da sciogliere.

Possiamo dire che di strada se ne è fatta molta ma le sfide alla piena parità sono ancora tutte da vincere.

 


Fonte: articolo di Francesca Liani