La sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, ha trattato un caso di licenziamento di un lavoratore che, durante il periodo di prova, si sarebbe assentato a lungo dal posto di lavoro senza alcuna giustificazione.

Il ricorrente lamentava una omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del r.d. 811/1931, n. 148, asserendo che tale norma sarebbe stata erroneamente applicata al caso in esame, il quale doveva invece essere disciplinato esclusivamente dalla legge 19 dicembre 1984, n. 683, nonché dall’ari. 2096 c.c.

La Corte ha chiarito quanto era stato preso in considerazione dai giudici territoriali ai fini della sentenza e, con riferimento a quest’ultimo motivo di ricorso precisa che “difetta di decisività, ed è pertanto inammissibile, apparendo evidente dalla lettura della sentenza che il richiamo all’art.13 del R.D. n. 148/1931 è stato fatto dal giudice del merito ad abundantiam, al solo fine di rafforzare, attraverso il richiamo al contenuto di questa norma, il parametro della correttezza e buona fede che la corte ha ritenuto violato. Deve invero ricordarsi che anche il vizio di violazione di legge deve, per regola generale, essere decisivo, ossia tale da comportare, se sussistente, una decisione diversa, favorevole al ricorrente; è pertanto necessario che il motivo indichi non solo la regola che non va applicata al caso concreto, ma anche quella (diversa) a suo avviso invece applicabile e che comporterebbe una diversa decisione, favorevole all’impugnante: senza di che non è possibile apprezzare la decisività della censura e, dunque, l’interesse a proporla (Cass., 21 gennaio 2004, n. 886). Nella specie, il ricorrente non ha contestato l’effettiva ratio decidendi del giudice del merito, che ha ritenuto la condotta del lavoratore contrastante con i doveri di correttezza e buona fede che informano l’esecuzione del contratto di lavoro“.

La Corte conclude ribadendo che “Ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata ‘pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica ” (ex plurimis, Cass., 18/0712007, n. 15961)“.

 

FONTE: Sentenze Cassazione (www.sentenze-cassazione.com)

 

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