Una recente sentenza del Consiglio di Stato, analizzata dall’Avvocato Maurizio Lucca, fornisce importanti indicazioni in merito alla richiesta di cambiamento nome e cognome.


La sez. III, del CdS, con la sentenza 27 maggio 2025, n. 4578 (estensore Cerroni), individua il potere del Prefetto nel bilanciare la richiesta di cambio di cognome con l’interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona [1]: un esercizio della discrezionalità che va motivato in caso di diniego consentendo all’interessato di conoscere i motivi ostativi alla richiesta.

I profili individuati nella sentenza sono applicabili anche per il cambio di nome.

La fonte

L’art. 89, Modificazioni del nome o del cognome, del DPR 3 novembre 2000, n. 396, Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127, dispone che «chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto», previa esposizione delle ragioni a fondamento della richiesta di modificazione, escludendo che si possa pretendere «l’attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l’appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l’atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza».

L’esegesi

Si comprende dalla lettura piana della norma che in materia di stato civile il nome ed il cognome sono elementi fondanti l’identità personale (oggi facilmente sostituibile, e sostituito in epoca Covid – 19, con un codice a barre, QR code) [2], per cui il cambiamento o la modificazione del nome e del cognome rivestono carattere eccezionale e possono essere ammessi solo ed esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti supportate da adeguata e pregnante documentazione e da significative motivazioni.

Motivazioni da radicarsi nella volontà di cancellare riferimenti lesivi della dignità, oppure in grado di disvelare una provenienza non ritenuta confacente al proprio dominio elettivo (“appellativi” anagrafici di facile sconforto, o turbamento, o disagio psicologico, per l’interessato: un rifiuto di riconoscimento), ovvero mantenere (conservare) nel tempo, perpetuandolo, il cognome (storico della famiglia, identificativo dell’antico casato di provenienza) [3].

Invero, la domanda può essere sostenuta anche da intenti soggettivi ed atipici, purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale [4]: il legislatore non limita la possibilità di richiedere il cambiamento del nome a ipotesi specifiche, citando a titolo meramente esemplificativo (come dimostra l’utilizzo della parola “anche” al primo comma dell’art. 89 cit.) le ipotesi del nome “ridicolo o vergognoso” o capace di “rivelare l’origine naturale” dell’interessato [5].

Se il diritto al nome, ex art. 6 del codice civile, costituisce un diritto della personalità [6], primo elemento connotativo dell’individuo nella sua proiezione sociale, economico e culturale, passando, attraverso la comunicazione e identificazione mediante il nome e cognome proprio, il cambiamento o l’aggiunta possono essere giustificati da un’immediata percezione di grave nocumento al proprio essere (identità/dignità) [7], ovvero manifestare (con il cambiamento o l’aggiunta) per assicurare il protrarsi di fini valoriali (di riconoscenza e/o stima) [8], oppure per recidere ogni rapporto formale con un padre da sempre assente e inadempiente ai propri doveri [9]; sicché a fronte di esigenze serie e ponderate, a supporto di una domanda di mutamento, è illegittimo il diniego adottato dall’Amministrazione senza evidenziare specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all’accoglimento dell’istanza.

Fatti

Nella sua essenzialità, si appella una sentenza di primo grado che rigetta l’istanza di cambiamento del cognome e di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, avendo – a seguito – dell’acquisita cittadinanza italiana assunto il cognome da nubile (cognome paterno) invece di quello del marito, acquisito a seguito di matrimonio.

La richiesta rivolta alla Prefettura, a norma dell’art. 89 dPR n. 396/2000, di cambio di cognome con attribuzione del cognome del marito, fondava sulla necessità di mantenere la propria identità consolidata nel tempo, in omaggio a profonde e radicate convinzioni culturali, oltre che di uniformare le generalità in Italia con quelle del paese di provenienza, dove, per legge, mantiene il cognome del coniuge.

Il rigetto veniva giustificato:

  • il cambiamento del nome o del cognome riveste carattere eccezionale;
  • la relativa richiesta può essere ammessa solo in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata documentazione e da significative giustificazioni, non ravvisabili dalla neo-cittadina che avrebbe dovuto utilizzare il rimedio del ricorso giurisdizionale avverso il decreto di concessione della cittadinanza (aspetto quest’ultimo ritenuto lesivo della parità di trattamento, ben potendo attivare il cit. procedimento e non quello avverso il riconoscimento della cittadinanza).

Il ricorso in appello evidenzia che il cognome richiesto «abbia un essenziale valore identitario della sua persona, consolidatosi nel corso dei decenni, e trattandosi di riacquisire il cognome che l’ha caratterizzata per la maggior parte della propria esistenza, le esigenze pubblicistiche di certezza giuridica, legate alla sicura identificazione dei cittadini appaiono recessive rispetto al diritto del cittadino a preservare la propria identità»[10].

Merito

L’appello viene accolto, con condanna alle spese.

La richiesta è ammissibile e fondata sulle seguenti argomentazioni:

  • la valutazione del Prefetto circa l’istanza di cambio del cognome si configura come un potere di natura discrezionale, che si esercita bilanciando l’interesse dell’istante (da circostanziare esprimendo le “ragioni a fondamento della richiesta”), con l’interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale (escludendo l’irritualità della procedura rispetto a quella in sede di concessione della cittadinanza) [11];
  • la facoltà di esercitare la corretta attribuzione del cognome, nel rispetto dell’identità personale acquisita nel Paese di origine, è stata riconosciuta dal Ministero in sede applicativa con l’articolata circolare n. 14424 del 23 dicembre 2013 – emanata anche a seguito di parere del Consiglio di Stato in sede consultiva – cui sono seguite le indicazioni operative della più recente circolare n. 462 del 18 gennaio 2019 [12];
  • tenuto conto che – a fronte dell’interesse soggettivo della persona, spesso di carattere morale – esiste anche un rilevante interesse pubblico alla sua stabile identificazione nel corso del tempo [13] – a fronte di deduzioni precise dell’istante che rivendichi la tutela della propria identità personale anche mediante l’attribuzione del nome che lo contraddistingue e identifica nella comunità, l’Amministrazione deve opporre specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all’accoglimento dell’istanza [14].

In definitiva, il rigetto non risulta adeguatamente motivato, mancando di enucleare chiaramente le specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all’accoglimento dell’istanza, a riprova dell’espletato bilanciamento postulato dall’art. 89 d.P.R. n. 396/2000, discostandosi, altresì, dalle chiare indicazioni operative impartite con la circolare n. 14 del 21 maggio 2012 (adattabile al caso di specie) [15].

L’evoluzione del diritto al cognome

Il Collegio, per sostenere la decisione, effettua un excursus sull’identità, cambiando progressivamente orizzonte prospettico, passando da un iniziale approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia e, quindi, come strumento per individuare l’appartenenza della persona a un determinato gruppo familiare [16], ad un processo di valorizzazione del diritto all’identità personale, valore assoluto avente copertura costituzionale ex art. 2 Cost., in virtù del quale il cognome assurge ad espressione dell’identità del singolo [17].

Viene precisato che la originaria procedura di attribuzione del cognome era basata su un sistema costituente retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna [18].

Tale sistema è stato abbandonato dalla Corte costituzionale [19], anche a seguito della condanna dello Stato italiano da parte della Corte EDU [20], osservando, inoltre, che il diritto al nome è tutelato anche in via diretta dalla Carta di Nizza, oramai entrata a pieno titolo nel diritto primario dell’Unione Europea, in forza della nuova formulazione dell’art. 6 del Trattato UE: la tutela della vita privata e familiare comprende, quindi, il diritto al nome, in quanto coessenziale all’identificazione della dimensione personale del singolo.

Sulla base di questa evoluzione normativa ed esegetica una normativa che subordini, al momento dell’acquisto della cittadinanza in uno Stato membro dell’Unione Europea, il riconoscimento del proprio nome ad una procedura che eccede quella strettamente necessaria per codesto acquisto, caratterizzata, inoltre, da valutazioni discrezionali dell’Autorità pubblica, costituisce una restrizione sproporzionata della libertà di circolazione e una violazione del principio di non discriminazione, nonché una restrizione indebita e non giustificata da motivi di interesse generale di un diritto fondamentale della persona.

La regula iuris

La sentenza di viva attualità, estendibile nella sua portanza all’intera identità della persona (da ricomprendere sia il cognome che il nome), postula il pieno riconoscimento del nome d’origine dello straniero che acquista la cittadinanza, sia:

  • in sede di riconoscimento della cittadinanza;
  • a fortiori in sede di istanza di cambiamento del cognome.

Si colgono ulteriori elementi a sostegno di una forte motivazioni che non può non essere valutata in sede di istruttoria per il cambio di nome e cognome, nel bilanciamento delle diverse esigenze come sopra rappresentate: la sua richiesta di cambiamento/aggiunta di cognome (pure del nome) va scrutinata favorevolmente quando l’istanza corrisponde a profonde e radicate convinzioni culturali, che nel caso di specie con l’uso del cognome del marito rappresenta il distacco dal nucleo familiare d’origine e l’inizio di un nuovo percorso di vita: una scelta di campo che esprime il percorso di una diversa identità più aderente alla propria esistenza, non arrecando arreca un vulnus al suo diritto all’identità personale quale diritto della personalità intimamente inerente all’individuo, senza rinvenire invece, quale contrappeso, un preponderante interesse pubblicistico al mantenimento (rectius: riesumazione) del cognome paterno.

Breve considerazione

Il tema si allinea a tutte le diverse tematiche di genere, dove l’identità percepita prevale su quella “biologica” assegnata dalla natura alla nascita, dove il termine di provenienza (identificazione, maschile, femminile o non binario, genderqueer) non è sempre neutro (genderfluid), ma queste considerazioni meritano ulteriori approfondimenti: la sentenza segna un passo decisivo sull’identità che qualifica la persona: il cognome scelto, senza discriminazioni e in piena parità, tra esteriorità e interiorità (di questo si è deciso).

Note

[1] A fronte dell’interesse soggettivo della persona, spesso di carattere “morale” esiste anche un rilevante interesse pubblico alla sua stabile identificazione nel corso del tempo; interesse collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale, rispetto alla quale la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio di cognome ha natura di interesse legittimo, Cons. Stato, sez. III, 8 luglio 2024, n. 6000.

[2] Si rinvia, LUCCA, L’identità del nuovo essere umano: QR code, comedonchisciotte.org, 5 dicembre 2021, dove nell’apoteosi dei controlli verdi senza QR code si rischiava effettivamente l’esclusione dalla vita sociale.

[3] TAR Toscana, sez. I, 16 gennaio 2018, n. 66, idem TAR Lazio, Roma, sez. stralcio, 30 settembre 2022, n. 12438.

[4] TAR Piemonte, sez. I, 6 agosto 2019, n. 925.

[5] TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 20 maggio 2016, n. 445.

[6] Il diritto al nome è, per definizione, personalissimo, sicché il singolo può ben chiederne tutela, in via ordinaria, senza che debbano, coevamente, chiedere la medesima tutela i suoi congiunti, portatori del medesimo cognome. Come tale, il diritto alla cognomizzazione e la tutela di questo diritto sono riservati a tutti coloro che discendono dal comune avo, cui è stato riconosciuto il titolo nobiliare e ciascuno di loro può chiaramente agire singolarmente con un giudizio ordinario di cognizione, Cass. civ., sez. I, Ordinanza, 4 aprile 2024, n. 8955.

[7] È illegittimo il provvedimento con il quale la Prefettura ha opposto un diniego in ordine ad una istanza tendente ad ottenere l’autorizzazione alla aggiunta di un prenome, nel caso in cui la PA, travisando il significato della medesima istanza, abbia denegato la sostituzione del nome; in particolare, in tal caso, il provvedimento impugnato non è conforme a legge, per travisamento, in quanto, nel suo preambolo, si riferisce ad una richiesta di “sostituzione” del nome, presentata dalla interessata, laddove questa ha invece chiesto una “integrazione” del suo prenome, TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 2 ottobre 2023, n. 727.

[8] Quando il cognome non assolve più alla funzione di segnare la discendenza da una determinata famiglia, ma diviene strumento di identificazione nella vita di relazione, a tutela e protezione della persona, può essere riconosciuto il diritto alla conservazione di un nome, rispetto al quale non ha o non avrebbe più titolo, in quanto parte essenziale ed irrinunciabile della personalità. Con il crescere dell’età del soggetto il cui cognome muterebbe a seguito della rettifica, non può che crescere l’esigenza di tutela della certezza delle relazioni giuridiche che esso abbia intrecciato, Tribunale Marsala, 16 gennaio 2025, n. 20.

[9] Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2023, n. 8422, che ha ritenuto ingiustificato il rigetto di acquisire il cognome della madre, giustificato dall’assenza di una genitorialità del padre.

[10] A sostegno delle proprie ragioni vengono citate due circolari del Ministero dell’interno (21 maggio 2012 e 23 dicembre 2013) per cui «in tali casi, spesso l’esigenza è quella di uniformare il cognome del soggetto in entrambi i paesi di cui e cittadino, esigenza di cui va tenuto conto soprattutto quando l’interesse prevalente e quello di tutelare l’identità acquisita e consolidata nel tempo in campo lavorativo, finanziario, sociale». In tema di diritto al nome, la persona fisica ha sempre titolo di rivendicare per sé il cognome con il quale è stata individuata e iscritta dai propri genitori negli atti dello stato civile, senza che quello del coniuge, acquisito in sostituzione del proprio a seguito di matrimonio contratto all’estero, anche se utilizzato in molteplici contesti, possa costituire un fatto causativo del suo indebolimento o della sua perdita, restando l’assolutezza di tale diritto un tratto ineliminabile dello stesso, Cass. civ., sez. I, Ordinanza, 12 novembre 2021, n. 34090.

[11] Il privato è titolare di una posizione di interesse legittimo, e la PA dispone del potere discrezionale in merito all’accoglimento o meno dell’istanza, Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2019, n. 6462.

[12] La circolare del MI n. 14 del 21 maggio 2012 registra ampie aperture ad una attenta valutazione dell’esigenza di uniformità dell’identità del soggetto in entrambi i Paesi in cui è cittadino, «esigenza di cui va tenuto conto soprattutto quando l’interesse prevalente è quello di tutelare l’identità acquisita e consolidata nel tempo in campo lavorativo, finanziario, sociale. Ovviamente queste considerazioni di attenzione valgono anche per le istanze volte al ripristino del cognome originario sempre modificato con l’assegnazione del cognome paterno in sede di concessione della cittadinanza italiana, secondo l’ordinamento nazionale».

[13] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2752.

[14] Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2023, n. 8422.

[15] La circolare interpretativa, infatti, di una disposizione di legge è in linea di principio un atto interno finalizzato ad indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi, privo di effetti esterni, rilevando che nella materia dello stato civile, retta da peculiari principî, «l’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno», ex art. 9, comma 1, del dPR n. 396 del 2000, e dunque vincolanti da parte anche del Prefetto, posto in posizione di subordinazione rispetto al Ministero dell’Interno: la circolare ministeriale che reca le istruzioni in questa materia, pertanto, risulta vincolante, a differenza delle altre circolari interpretative che, ordinariamente, sono prive di efficacia vincolante nei confronti degli organi periferici – i quali possono, infatti, disattenderne l’interpretazione senza che ciò comporti l’illegittimità dei loro atti per violazione di legge – e che si limitano a riproporre il contenuto precettivo di atti normativi in vigore, cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 4478/2016.

[16] Corte cost., ordinanze n. 176/1988 e n. 586/1988.

[17] Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, che si è espressa a favore della possibilità per i genitori, di comune accordo, di dare al figlio, al momento della nascita, il cognome materno oltre a quello paterno.

[18] Cfr. Corte cost., 16 febbraio 2006, n. 61, ove si richiama l’art. 16, comma 1, lettera g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132, che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome».

[19] Dapprima dichiarando l’illegittimità costituzionale delle norme che non consentono ai coniugi di trasmettere, di comune accordo, il cognome materno e, più di recente, con la sentenza n. 131/2022 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre con riferimento ai figli nati “dentro e fuori dal matrimonio” e a quelli adottivi.

[20] Cusan – Fazzo c. Italia, del 7 gennaio 2014. Cfr. pronuncia C-148/02, dove si è affermato che «gli artt. 12 CE e 17 CE devono essere interpretati nel senso che ostano al fatto che, in circostanze come quella della causa principale, l’autorità amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato o di un altro Stato membro, allorché la domanda è volta a far sì che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membro»; sentenza C-353/06 del 14 ottobre 2006, secondo cui «il fatto di essere obbligati a portare, nello Stato membro di cui si è cittadini, un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 18 CE». Nel parere n. 850/2013 reso da Consiglio di Stato al Ministero dell’interno in vista dell’adozione della circolare n. 14442/2013, è stato chiarito che il diritto al nome consentirebbe di conservare il proprio prenome e cognome di origine a prescindere dalle leggi dello Stato dell’Unione europea ove la persona decidesse di stabilirsi acquisendone la relativa cittadinanza.