Una recente ordinanza chiarisce i confini di libertà di espressione e doveri di vigilanza: ecco le regole stabilite dalla Cassazione su diritto all’onore e reputazione online sui contenuti dei blog in Rete.


Con l’ordinanza n. 17360 depositata il 30 giugno 2025, la Corte di Cassazione – Terza Sezione Civile –  ha stabilito che il gestore di un blog o di una piattaforma digitale è tenuto a rimuovere tempestivamente i contenuti illeciti pubblicati sulle proprie pagine non appena ne acquisisca consapevolezza, anche nel caso in cui tale informazione non gli giunga tramite una comunicazione ufficiale delle autorità competenti.

Il caso

Il caso, assurto agli onori delle cronache, origina dalla richiesta di risarcimento avanzata da un cittadino che si era ritenuto diffamato da alcuni commenti apparsi su un blog. Nonostante egli stesso avesse provveduto a segnalare il problema, il curatore della piattaforma non aveva provveduto a rimuoverli costringendo la parte lesa a rivolgersi prima al Tribunale, poi alla Corte d’Appello, trovando in entrambi i casi risposta negativa. Per i rispettivi giudici, infatti, il gestore del blog avrebbe avuto l’obbligo di rimozione dei commenti diffamatori solo a seguito di una comunicazione ufficiale delle autorità competenti, in quanto solo tale notifica avrebbe configurato una “conoscenza qualificata” della loro illiceità.

Il quadro normativo di riferimento

La Corte di Cassazione, ribaltando del tutto questa lettura, ha invece fatto notare che né la normativa Europea, che disciplina tale materia nella Direttiva 2000/31/CE né tantomeno il Dlgs 70/2003 che norma in Italia i servizi informatici prevedono la necessità di un passaggio formale o di una segnalazione da parte di un’autorità pubblica, configurando la responsabilità dell’hosting provider come non subordinata appunto ad una segnalazione formale.

L’abilità del blogger e del titolare di un sito non è dunque soltanto quella di scrivere contenuti attraenti per i suoi potenziali lettori ma anche la capacità di evitare dei contenuti che possano essere offensivi o diffamanti. L’attenzione non va solo posta nel testo di propria creazione, ma anche nelle reazioni e nei testi che arrivano sotto forma di commento dai lettori.

Il blogger deve essere un buon moderatore e deve porre la massima attenzione distinguendo attentamente il diritto di critica dalla libertà di insulto. In caso di riconoscimento di commenti illeciti ed offensivi ovviamente non sarà il blogger l’unico ad essere chiamato in causa: anche chi ha scritto rischierà di dover pagare un bel risarcimento.

Attenzione ulteriore, quindi, alle modalità di registrazione degli utenti e di interazione sulle piattaforme. Se il navigatore dovesse risultare anonimo, la responsabilità sarà soltanto del blogger o del titolare del sito. Secondo la Cassazione, infatti, un blog o un sito vengono ritenuti dei veicoli oppure secondo la definizione del Codice penale Art. 595 dei ‘mezzi di pubblicità’ attraverso i quali vi è seriamente il rischio di incorrere nel reato di diffamazione se non ben controllati.

Responsabilità del blogger e del titolare del sito

Nella sentenza pronunciata nei giorni scorsi nel dettaglio si specifica che, sebbene la pagina web o blog è configurabile come “hosting provider non attivo” questo non libera il blogger o il titolare di un sito, pur non essendo equiparabile al direttore responsabile di una testata giornalistica, dai propri doveri di vigilanza. È proprio da questi poteri di vigilanza o dalla sua omissione che derivano delle responsabilità penali nel momento in cui si sia venuti a conoscenza di un contenuto offensivo e non si sia tempestivamente provveduto alla sua rimozione.

Tale circostanza può accadere quando:

  • la pagina non sia dotata di un filtro che avrebbe potuto evitare la pubblicazione di un commento gravemente offensivo, lesivo della dignità altrui o della privacy;
  • il blogger o il titolare del sito sia stato avvertito del contenuto e, intenzionalmente, non lo abbia rimosso.

La responsabilità di chi gestisce un blog o un sito Internet deriva inoltre dalla gestione ‘personale’ di tali pagine, fatto questo che rende il blogger l’unico soggetto in grado di rimuovere i commenti offensivi o diffamatori, specialmente se lo richiede la persona finita nel mirino degli haters e dei leoni da tastiera.

Responsabilità del titolare del sito

Il pronunciamento della Suprema Corte si snoda intorno ad un principio cardine che vede il gestore della piattaforma, pur non responsabile direttamente dei contenuti pubblicati da terzi, e non dovendo risponderne automaticamente, ricoprire una responsabilità nel momento in cui acquisisca consapevolezza e conoscenza delle offese transitate sulle proprie pagine e del fatto che questo sia illegittimo.

Il gestore del Blog può acquisire tale consapevolezza in tanti modi differenti, attraverso una notizia di stampa, oppure semplicemente avendo letto diretta dei contenuti, oppure ancora da una segnalazione della parte offesa, non necessariamente, si è chiarito, da una comunicazione ufficiale delle autorità, che può di certo semplificare la valutazione sull’illiceità, ma non è condizione necessaria per far scattare l’obbligo di intervento.

L’interpretazione della Cassazione

La Cassazione nel fondare questa interpretazione riferisce di prendere in considerazione innanzitutto la propria giurisprudenza penale, come ad esempio la sentenza 12546/2019. Inoltre si pone quale riferimento le indicazioni tracciate dalla Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo(EDU) che più volte hanno sottolineato come sia necessario bilanciare il diritto alla libertà di espressione essere con il rispetto della dignità personale al fine di ottenere un modello di equilibrio tra libertà di rete e responsabilità. Deroghe alla libertà di parola sono legittime quando giustificate da ragioni obiettive e razionali, danno vita ad un principio in linea con le garanzie costituzionali e comunitarie.

Per fugare ogni dubbio circa la trasparenza del principio fissato dalla Corte, può essere utile riportare brani della sentenza in maniera diretta nei quali si spiega come: “Il prestatore di servizi informatici che rivesta il ruolo di hosting provider non attivo è esente da responsabilità per i contenuti illeciti immessi da terzi, ma, una volta acquisita la consapevolezza della manifesta illiceità di tali contenuti — per qualsiasi via — è obbligato a rimuoverli tempestivamente per mantenere l’esenzione da responsabilità”.

Scenari futuri

Una pronuncia che farà di certo ancora discutere e costituirà giurisprudenza, contribuendo anche ad aggiornare il quadro giuridico italiano sull’accountability delle piattaforme digitali.  La tutela dei diritti della personalità nel contesto della comunicazione online ne esce di certo rafforzata e si conferma il trend giuridico più recente che comincia a fissare dei paletti anche nella società dell’informazione, ribadendo come la responsabilità personale non possa nascondersi dietro il paravento tecnico dell’intermediazione passiva.