A mettere dei paletti e a stabilire determinati limiti all’istituto della reggenza per gli incarichi dirigenziali nella Pa è la deliberazione numero 26/2024 della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna.
Spesso si fa riferimento alla reggenza negli incarichi dirigenziali, sia nei provvedimenti sia nelle interlocuzioni istituzionali. Questo solleva varie questioni rilevanti. Per affrontare la questione, è necessario comprendere i principi fondamentali della gestione degli incarichi dirigenziali vacanti.
Che cosa rappresenta l’istituto della reggenza?
L’istituto della reggenza rappresenta un meccanismo per gestire incarichi dirigenziali vacanti o temporaneamente scoperti all’interno di un’organizzazione pubblica o privata. In sostanza, quando un posto dirigenziale rimane vacante per un certo periodo di tempo, anziché lasciarlo completamente scoperto, si nomina un reggente che assume temporaneamente le responsabilità e le funzioni proprie di quell’incarico.
La reggenza è solitamente prevista da normative interne all’organizzazione o da disposizioni legali o regolamentari. Può essere utilizzata in una vasta gamma di contesti, inclusi settori pubblici come le istituzioni governative, le scuole e gli enti locali, nonché nel settore privato, come nelle imprese e nelle organizzazioni non profit.
Le ragioni per cui si ricorre alla reggenza possono essere molteplici: dalla ricerca di un sostituto permanente all’incarico, alla necessità di garantire continuità operativa durante un periodo di transizione, fino alla gestione di situazioni emergenziali o temporanee.
I limiti alla reggenza per gli incarichi dirigenziali nella Pa
La reggenza di un incarico dirigenziale vacante rappresenta pertanto un’opzione temporanea e eccezionale, come ribadito dalla Corte dei conti. È fondamentale comprendere che questo strumento non può essere utilizzato per occupare permanentemente posizioni vuote nel sistema dirigenziale, né per garantire un avanzamento di carriera continuo per il reggente. La delibera 26/2024 della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, ha chiarito questo punto in modo inequivocabile.
Un istituto temporaneo ed eccezionale
Innanzitutto, se la reggenza diventasse una prassi per coprire permanentemente posti vacanti, si potrebbero verificare diverse conseguenze negative. Una gestione continuativa mediante reggenza potrebbe indicare problemi nel processo di selezione e di reclutamento per il personale dirigenziale, evidenziando lacune nella pianificazione delle risorse umane e nella successione dirigenziale. Ciò potrebbe compromettere la stabilità e la continuità delle attività dell’organizzazione, in quanto un dirigente temporaneo potrebbe non avere l’autorità o la competenza necessaria per prendere decisioni strategiche a lungo termine.
Inoltre, l’utilizzo prolungato della reggenza potrebbe portare a una perdita di motivazione e fiducia all’interno dell’organizzazione, sia tra i dipendenti che tra gli erogatori dei servizi. Se i dirigenti vedono la reggenza come un modo per evitare di affrontare le sfide di reclutamento e selezione, potrebbero sentirsi demotivati e disimpegnati. Allo stesso modo, se i cittadini percepiscono che le posizioni dirigenziali sono occupate in modo temporaneo senza una reale intenzione di trovare una soluzione permanente, potrebbe perdere fiducia nell’efficacia e nella stabilità dell’organizzazione.
Per quanto riguarda il reggente stesso, è importante sottolineare che, come già evidenziato prima, la reggenza non dovrebbe essere considerata come un’opportunità per un avanzamento di carriera continuo. Se un reggente assume un incarico con l’aspettativa di ottenere una promozione permanente senza competere in un processo di selezione equo e trasparente, ciò potrebbe generare conflitti di interesse, ingiustizie e demotivazione tra i colleghi e compromettere la meritocrazia all’interno dell’organizzazione.
Le anomalie nel trattamento economico
Il trattamento economico dei dirigenti in reggenza prevede uno stipendio base e due componenti aggiuntive, una legata alla posizione e l’altra ai risultati ottenuti. Queste componenti retributive riflettono le responsabilità del reggente e la sua performance durante l’incarico. Tuttavia, è importante notare che il compenso per le reggenze presenta delle peculiarità rispetto alla normativa relativa ad altri dirigenti pubblici, generando disuguaglianze apparenti e irrazionali.
Il Collegio sottolinea che è irragionevole che un incarico di reggenza non sia associato a obiettivi (come era accaduto nel caso esaminato dalla Corte) e venga remunerato solo in base alla posizione temporanea attribuita, piuttosto che ai risultati conseguiti durante l’incarico.
In conclusione è fondamentale che qualsiasi decisione che comporti l’impiego di risorse pubbliche rispetti il principio di trasparenza e di accountability. Pertanto, l’Amministrazione, se lo riterrà opportuno, dovrebbe orientarsi verso un approccio basato sui risultati anziché sulla posizione, e dovrebbe verificare il raggiungimento degli obiettivi prima di erogare qualsiasi compenso.
Il testo della deliberazione della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it
Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia, li tutte le posizioni dirigenziali sono coperte da reggenze, che in barba alla rotazione degli incarichi, vengono rinnovate da più di 6 anni.