Arrestati dopo circa 40 anni, una decina di brigatisti rossi, ossia persone che superano mediamente i 70 anni di età e che da quando hanno avuto asilo politico in Francia, non hanno commesso più reati di terrorismo e non sono stati più convolti in fatti di sangue.
La ragione che li ha spinti a diventare terroristi negli anni ‘70, sicuramente non c’è più e sicuramente sono cambiate o stravolte tutte le situazioni e le percezioni. A prescindere dalla valutazione degli atti di terrorismo o della valutazione politica che si poteva fare a quei tempi e in quel contesto, oggi sicuramente sono altre persone.
Non si sta arrestando i terroristi degli anni ‘70, ma delle persone che senza dubbio, nel tempo hanno digerito, riflettuto e maturato tante cose.
Adesso si canta vittoria per questi arresti.
Quale vittoria?
Ma vittoria per cosa? Forse i parenti delle vittime, molto probabilmente, perché colpiti negli affetti, non vorrebbero e non riuscirebbero a perdonare, pertanto potrebbero avere una ragione di soddisfazione. Ma lo Stato in quanto Stato, si trova in mano niente di niente.
A prescindere dalle varie prescrizioni dei reati e tutte quelle cose che mettono in movimento avvocati e magistrati, resta il fatto che il carcere, teoricamente, non dovrebbe essere una vendetta, ma dovrebbe avere una funzione rieducativa sancita dalla Costituzione nell’art. 27 co. 3. Pertanto, questi soggetti di una certa età, completamente fuori dal contesto degli anni di piombo e che si trovano oggi a vivere già da anni in modo ordinario, come si dovrebbero rieducare per il reinserimento nella società civile?
Rieducazione o vendetta?
Praticamente, a cosa serve il carcere per questi soggetti, oltre a soddisfare i parenti delle vittime, a fare un po’ di propaganda governativa nei confronti dell’opinione pubblica e a spendere i soldi dei contribuenti per mantenerli in carcere?
I parenti delle vittime, comunque non saranno soddisfatti, visto che potranno essere felici solo per un istante, perché gli ex terroristi non potranno scontare comunque grandi pene, se non altro per la media statistica delle aspettative di vita, sempreché anche i parenti delle vittime siano ancora in vita e le condanne restino ancora in piedi, oltre al fatto che gli imputati, la vita ormai l’hanno vissuta tranquillamente.
I parenti delle vittime dovrebbero avere lo stesso sentimento che gli imputati avevano contro il potere costituito del tempo riuscire a farsi piacere un piatto fin troppo freddo.
Certo, è sempre difficile perdonare, in quanto l’animo umano non è mai così nobile da rinunciare alla vendetta, perché di questo si tratta. E chi scrive, sarebbe uno che personalmente, li avrebbe perdonati solo dopo averli fustigati e impiccati. Ma lo Stato è altra cosa e le vendette giuste non esistono. Quindi, se deve essere vendetta, vendetta sia.
Che muoiano tutti in carcere per il resto dei loro giorni, ma che nessuno si nasconda dietro l’ipocrisia di un giusto processo e una giusta condanna, qualunque essa sia.
Giustizia non potrà essere più fatta, perché lo Stato ormai ha fallito e se li arresta, fallirà due volte, perché punirà ormai altre persone in altro contesto, a cui basterà la punizione di vivere nell’epoca del lock-down, per mangiarsi le mani e rimpiangere di aver lottato contro governi di gran lunga più giusti e nobili rispetto a quelli dei giorni nostri.
Col senno di poi, magari oggi gli avrebbero fatto anche la scorta.
Fonte: articolo di Roberto Recordare