lavoratori precoci pensioniIl Piano Boeri sulla Riforma della legge Fornero, presentato nelle scorse settimane in via ufficiale dal’Inps delude i lavoratori precoci. Boeri non inserisce, infatti, tra i punti da correggere l’introduzione di un canale di uscita al raggiungimento del tetto di 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica, una proposta invece inserita nell’ambito del progetto di legge Damiano sulla flessibilità in uscita e caldeggiata dalla parte sindacale oltre che dalla gran parte dei lavoratori interessati.

 

I precoci, com’è noto, sono quei lavoratori che hanno iniziato a lavorare presto, molti anche prima della maggiore età, spesso con qualifica di operaio o impiegato, e che, pertanto, possono vantare attualmente anche oltre 40 anni di contributi ad un’età anagrafica relativamente bassa. A costoro la legge Fornero chiede di lavorare sino a 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne) per agguantare la pensione. Soglie però che già dal 1° gennaio 2019 saranno ampiamente superate con il prossimo adeguamento e che continueranno a salire di circa due o tre mesi ogni due anni per toccare i 45 anni di contributi entro il 2035. Allontanandosi sempre più pericolosamente dalla soglia psicologica dei 40 anni, che per molti segna il limite invalicabile per lavorare.

 

Che comunque vada apportata qualche modifica nei confronti dei lavoratori che vantano lunghe anzianità contributive ne è convinto anche Boeri. Il Presidente dell’Inps, pur non avendo previsto una tutela specifica nel testo della proposta di legge sottoposta al Governo, propone di valutare se la presenza di correzioni attuariali renda non più necessaria l’indicizzazione alla speranza di vita dei requisiti contributivi per l’accesso alle pensioni anticipate, “ad esempio congelando i requisiti a 43 anni per gli uomini e 42 anni per le donne”. Come dire che oltre queste soglie non si potrà andare.

 

Contro questa ipotesi si è espressa la parte sindacale. I segretari confederali di Cgil Cisl e Uil hanno infatti ribadito la necessità di introdurre un tetto massimo a 41 anni di contributi, come previsto nella proposta di legge sui pensionamenti flessibili targata Damiano-Baretta nel 2013, per agevolare le uscite di coloro che hanno lavorato per una vita intera. La parte sindacale ricorda proprio la dimensione sociale di tale intervento perchè interessa in particolare operai e manodopera non qualificata che percepisce stipendi bassi pur svolgendo lavori spesso particolarmente usuranti e che è stata duramente colpita dalla Legge Fornero del 2011.

 

La palla spetta comunque al Governo che ha annunciato più volte la presentazione nel 2016 di una propria proposta di riforma delle pensioni, una proposta che non altererà l’impianto complessivo della Legge Fornero (non si tornerà indietro) ma che comunque dovrebbe garantire una maggiore flessibilità in uscita. Una delle principali accuse alla Riforma del 2011 è infatti di aver irrigidito in modo inaccettabile i requisiti per il pensionamento rendendo impossibile un anticipo dai 3 ai 4 anni anche nei confronti di coloro che sarebbero disposti a lasciare parte dell’assegno nelle casse dello stato.